di redazione
Mercoledì 10 novembre alle ore 11.30 presso la Sala stampa della Camera dei Deputati si terrà la presentazione del libro “Strozzateci Tutti". Interverranno al dibattito gli autori Marcello Ravveduto, Pietro Nardiello, Sergio Nazzaro, Nello Trocchia e Francesco Piccinini. Al loro fianco:Beppe Giulietti (Portavoce di Articolo 21), Fabio Granata (Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie), Raffaele Cantone (già P.M. adesso all’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione), Roberto Morrione (direttore di Liberainformazione), Roberto Natale (presidente Fnsi, ii giornalisti Santo Della Volpe, Alberto Spampinato, lo storico Nicola Tranfaglia. Modererà il dibattito Marino Sinibaldi (direttore di Radio RAI 3).
Ventitré scrittori del Sud uniti dall’impegno antimafia
«Se trovo quelli che scrivono libri di mafia e vanno in giro in tutto il mondo a farci fare così bella figura, giuro che li strozzo». Silvio Berlusconi
Un estratto del racconto di Francesco Piccinini tratto dal libro “Strozzateci Tutti” che ci illustra l’infiltrazione delle mafie a Parigi
NOI NON C’ENTRIAMO NULLA
(…)Cosimo Di Lauro è uno dei responsabili della faida di Scampia, la sua mancanza di carisma, la
sua dipendenza dalle droghe ha spinto i Licciardi a sostenere gli scissionisti nella guerra
contro i Di Lauro. Il potere costruito da Ciruzzo O’ Milionario nel suo quasi ventennale controllo
del territorio è finito a causa della stessa droga che lui vendeva.
Polvere. Bianca. Buona per fare soldi. Buona per spaccare il cervello di chi se la tira. I suoi
figli, il suo “esercito”, come amava chiamarli, sono stati la sua rovina. Da Parigi a
Secondigliano, quel ragazzo che girava su macchine potenti e si “atteggiava” a Corvo era
diventato una presenza eccessiva. Amato dalle ragazzine, odiato dagli avversari. Cosimino è
agli antipodi di suo fratello Vincenzo, il vero reggente del clan. Figli dello stesso padre, eppure
così diversi. Vincenzo è il contabile, capace di muovere denaro e farlo fruttare. Cosimino è
quello che i soldi li spende. A Parigi non lesina coppe di champagne, fa shopping per le strade
del faubourg Saint Honoré e se ha bisogno di un appoggio corre verso la rue Charenton, da sempre
cuore delle attività di Sistema nella capitale francese.
Chiedo al taxi di allungare. Di uscire dalla peripherique e attraversarla tutta. Non ci passo quasi
mai. Il XII arrondissement, nella sua parte bassa, non è un quartiere interessante: poca vita notturna,
pochi centri culturali, troppe stazioni. Come per tutte le migrazioni anche quella napoletana è
legata ai mezzi di trasporto e non è un caso che il più grande agglomerato partenopeo sia sorto
qui: tra Gare de Lyon e la Gare de Bercy, qui arrivano i treni dall’Italia, qui arrivavano gli emigranti, qui c’è la più grande piazza di spaccio
intramuros. Per un’ironia della sorte la rue Charenton inizia con un cimitero. Guardo le croci e ripenso alla guerra di camorra. Penso che non ci sarà mai una stima esatta e definitiva, troppi morti, troppi conti ancora da regolare, la pax che ne emerse non è mai stata duratura, ogni tanto, anche ad
anni di distanza, mi è capitato di sentir dire: «Mo’ ricomincia la guerra». I pensieri si fanno
pesanti, abbasso la testa, mi chiedo cosa voglia il mio conducente tunisino mentre mi guarda dallo
specchietto retrovisore e tiene la radio accesa sull’ultimo pezzo di Akenaton. Mi chiedo se sappia,
se abbia capito. I parigini davanti allo strapotere delle mafie hanno chiuso gli occhi, ma chi è in
strada, chi si confronta ogni giorno con la città sa e vede.
Così, mentre risaliamo la Little Naples osservo i suoi terribili palazzi anni Sessanta affacciarsi su
di noi. La rue Charenton odora di kebab e ferrovia. Lunga, interminabile, una strada che nasce
ai piedi della vecchia Bastiglia per poi, gettarsi nella periferia più lontana. Mentre la radio
spara un altro pezzo hip hop arriviamo all’angolo con la place d’Aligre, con la scusa del traffico
gli chiedo di fermarsi perché voglio proseguire a piedi. Per capire bisogna immergersi in questo
dedalo di strade che separa Bastille dalla Gare de Lyon. Ripercorro vicoli che conosco a memoria:
destra, sinistra, destra, come se un invisibile Gps guidasse le mie gambe.
Se a Parigi c’era un luogo in cui mi sentivo accolto questo era la place d’Aligre. Il suo mercato
coperto, i suoi negozianti, le case bohemiennes che affacciavano sul faubourg Saint Antoine mi
facevano sentire protetto. Amavo la vitalità dei condomini che organizzavano i cineforum, dei
bar con esposizioni di artisti di strada, dei suoi abitanti sempre pronti a mangiare insieme in
piazza. Oggi quella piazza è diventato il centro del traffico di stupefacenti della città. Pali, corrieri,
cappucci.
Tutto mi ricorda da dove vengo. Uomini messi ai due lati della piazza per verificare
chi entra e chi esce, panchine occupate da ragazzi coi volti coperti.
I loro sguardi mi perquisiscono, sfuggo il contatto visivo, osservo con la coda dell’occhio. Se
non sei un acquirente e non sei un flick – il soprannome che i ragazzi di banlieue danno ai
poliziotti – diventi solo una persona di passaggio, basta non guardare troppo. Ogni volta che
rivivo questa scena mi scappa un sorriso, d’abitudine. Registri che conosco a memoria, mani
veloci, gesti rapidi ma mai convulsi. Tutto avviene come da copione, come a Scampia o in ogni
altra piazza di spaccio del mondo. (…)