di Iolanda Stella Corradino
«Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene». Era il 1990 e Paolo Borsellino invitava gli italiani a smascherare costantemente la criminalità organizzata, utilizzando qualunque mezzo di comunicazione si avesse a disposizione. Son trascorsi circa 20 anni dall’invito del magistrato vittima di quella mafia che combatteva ed invitava a combattere. Oggi però i toni sono cambiati e stridono fortemente con gli inviti borselliniani. Paradossale è che sia il presidente del consiglio a farsi portavoce di una affermazione agli antipodi della precedente. «Se trovo l’autore della “Piovra”- ha infatti dichiarato nel novembre 2009 Silvio Berlusconi - e chi ha scritto libri sulla Mafia, giuro che li strozzo».
Il motivo è che quei libri e quelle serie Tv, per il premier, intaccherebbero l’immagine dell’Italia all’estero. Quindi, piuttosto che eliminare “il male” endemico della nostra società- la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra- il presidente del consiglio preferirebbe limitarsi a strozzare gli scrittori che ne parlano. E loro non hanno certo mancato di rispondere “presente” e di dimostrare che la loro deontologia non può piegarsi alle “minacce”.
Strozzateci tutti non è semplicemente un libro. Ma una sfida. E quindi, come sottolinea Marco Travaglio nella presentazione del libro, se « Berlusconi pensava di strozzarne uno per educarne cento, ora ha trovato almeno 23 scrittori che lo sfidano a strozzarli tutti insieme. Non sarà facile, l’unione fa la forza».
Una sfida ma non solo. Chi vorrà scoprire le pagine di questo libro-antologia incontrerà la caparbietà di ventitré scrittori nel voler denunciare quello che quotidianamente vivono. Loro in poco più di 500 pagine riescono a cancellare un «silenzio colpevole» di non aver voluto sentire e dare voce a chi da tempo, magari senza suscitare il dovuto clamore, grida che mafia camorra e ‘ndrangheta non solo esistono nel nostro Paese- tutto, anche nel nord che non vuole accettarlo - ma ne dettano i ritmi, le decisioni politico-amministrative, le scelte elettorali e che bisogna, per dirla con Sergio Nazzaro, continuare a scrivere di criminalità organizzata senza cedere al “già sentito” e “già scritto” che di fatto nascondono solo il desiderio che non venga denunciato.
Scavando con gli autori nel marcio del nostro Paese si arriva a guardare per la prima volta in maniera caleidoscopica al sotteso reticolo parastatale di criminalità organizzata, disvelandone le verità nascoste. Così si legge che solo pochissimi dei beni confiscati tra Napoli e Caserta sono stati riutilizzati e che in pochi lo sono ancora. A molte associazioni, infatti, è stato revocato dai comuni il permesso di restare ad operare in beni “pubblici”, ad altre le comunità gestenti i beni chiedevano addirittura l’affitto mensile.
A molti è stato tolto il diritto di sperare in un futuro se non migliore, quantomeno possibile. A tanti altri è stata strappata l’illusione di trovare in Italia un clima diverso dalle guerre dei paesi d’origine. Si ripropongono alla nostra attenzione le storie di vita delle seconde generazioni, figli di immigrati in terre di mafie, tra la Campania e la Calabria. Vittime spesso dei soprusi dei boss o parte delle ‘ndrine locali. Costretti come i nostri ragazzi a vivere secondo la legge del più forte, delinquendo per poter sembrare “guappi” agli occhi dei coetanei .
Coetanei ingabbiati in una realtà sociale che, se non si autodetermina, inevitabilmente finisce con l’esaltare la criminalità come mezzo per affermarsi. E lo fa pubblicamente, anche attraverso le feste cittadine o con le canzoni che via internet e su supporti digitali esaltano le gesta di camorra, ‘ndrangheta e mafia fin oltre il Reno. Ma non solo: cinema, televisione, spesso l’ignoranza, in maniera inconsapevole o volontaria, contribuiscono quotidianamente alla mitizzazione del criminale come eroe del nostro tempo; a far passare l’abusivismo, la delinquenza come espressione di un potere incontrastabile.
Ed alla fine? Alla fine nulla. Scrivere di criminalità organizzata è una lotta quotidiana, costante, che- come gli stessi autori sottolineano- «non si risolve» certo «con un libro» ma che di sicuro in quel libro può trovare un pungolo costante, un richiamo evidente, un grido inquietante per chi continua a sostenere che la criminalità organizzata sia una “invenzione”, che pluriomicidi come Vittorio Mangano possano esser definiti uomini dal comportamento eroico. Che siano da eliminare gli scrittori piuttosto che le associazioni mafiose. E così Bruno De Stefano, Nello Trocchia, Pietro Nardiello, Alessandro Chetta e Giorgio Mottola, Claudio Pappaianni, Raffaella Ferrè, Gianni Solino, Vincenzo Ammaliato, Sergio Nazzaro, Giovanni Abbagnato, Francesca Viscone, Francesco Piccinini, Andrea Meccia ed Anna Bisogno, Corrado De Rosa e Serena Giunta, Massimiliano Amato, Antonella Migliaccio e Iolanda Napolitano, Emiliano Di Marco, Carmen Pellegrino e Marcello Ravveduto sono disposti a farsi strozzare tutti pur di non tacere la verità.
Il libro sarà presentato a Roma lunedì 24 gennaio alle ore 17 presso la Fnsi.
Interverranno:
- Marcello Ravveduto, curatore dell'antologia-
- Pietro Nardiello e Giorgio Mottola, due dei 23 autori
- Roberto Natale, presidente della FNSI
- Alberto Spampinato,direttore Ossigeno per l'informazione
- Toni Mira, giornalista di Avvenire
- Enrico Fierro, giornalista del Fatto Quotidiano