di Ottavio Olita
“…niente più ti lega a questi luoghi,/neanche questi fiori azzurri…./pieno di musiche e di uomini che ti son piaciuti”: e se la destinataria di questa splendida canzone d’amore fosse proprio la Rai? La Rai che sceglie di tornare al servizio del Paese; la Rai che smette d’essere terreno di conquista dei partiti; la Rai che decide di non inseguire più l’audience a tutti i costi, con programmi volgari o cretini; la Rai che risponde con entusiasmo e non con diffidenza, cautela, distacco, se non addirittura disseminando il terreno di continui ostacoli, alle proposte intelligenti, coraggiose che ancor oggi conduttori, registi, dirigenti, giornalisti, uomini e donne di spettacolo le fanno. Questa è la Rai che dovrebbe rispondere all’appello di Fazio, Saviano, Abbado, Benigni e di tanti altri perché vada con loro, perché segua una strada di qualità che viene anche premiata dagli ascolti.
Una media di sette milioni 650 mila spettatori con punte di 9 milioni per Benigni. E la fidelizzazione non è avvenuta “a prescindere”. E’ stata una scelta di campo ragionata e decisa dal confronto. Un dato della linea dell’audience è illuminante. A metà del monologo di Saviano, l’ascolto è calato per pochi minuti, tanto da essere momentaneamente superato di pochissimo dal “Grande Fratello”. Gli spettatori di “Vieni via con me” si sono guardati intorno. Hanno voluto vedere cosa proponevano le altre reti. Subito dopo sono ritornati massicciamente a seguire Saviano e tutto il programma che è stato un inno all’insostituibilità della funzione della parola, sia nel suo uso semplice: l’immediata comprensibilità degli elenchi, delle definizioni; sia nel suo uso complesso: la forza trascinatrice della riflessione e dell’elaborazione; sia nella sua utilizzazione poetica. Perché il poeta Benigni cattura, commuove, fa ridere, emoziona restando sempre comprensibile per tutti, con la scelta d’essere popolare nell’uso di un messaggio immediatamente accessibile al quale affidare contenuti elevati. Una straordinaria maschera della Commedia dell’Arte italiana che ha una precisa identità, che non ha bisogno di nascondere il volto ed il corpo per colpire i potenti. Un programma ideato ancora una volta da uno dei personaggi televisivi tra i principali artefici della modernizzazione dell’intrattenimento Rai. Quel Fabio Fazio del quale ogni tanto sarebbe corretto ricordare il grandissimo contributo che sta dando allo svecchiamento della Rai in parallelo con l’esclusione dai suoi programmi di qualunque banalità o, peggio, volgarità. E al suo fianco un capo struttura come Loris Mazzetti.
La Rai dovrebbe finalmente imparare a riconoscere chi l’ama sul serio e non chi la utilizza strumentalmente. Dovrebbe riconoscere i meriti dei Santoro, degli Iacona e delle Gabanelli, dei Ruffini, dei Di Bella, degli Augias, dei Minoli e di tanti altri che l’hanno scelta da anni senza mai abiurarla, nonostante tutto. Così come dovrebbe capire che oltre 1.400 giornalisti che hanno affollato i seggi elettorali nelle redazioni per esprimere il loro parere sul direttore generale lo hanno fatto solo ed esclusivamente perché hanno un’idea della Rai proiettata al futuro, non più schiava dei lacci e lacciuoli imposti dai partiti o condizionata dalla “pax berlusconiana” che ha prodotto il fenomeno chiamato “Raiset”, perché vogliono una nuova governance che ragioni sull’azienda in relazione alle sue enormi potenzialità e capacità, senza dover per forza fare i conti con condizionamenti anche economici esterni. L’Usigrai rappresenta queste istanze e nient’altro. Che poi sono le stesse valutazioni che hanno portato i tecnici, gli impiegati, gli amministrativi aderenti alle principali sigle sindacali a proclamare lo sciopero generale del 10 dicembre. Sciopero al quale l’esecutivo dei giornalisti della Rai ha dato all’unanimità la propria adesione, indicendo per lo stesso giorno un’astensione audio-video. Chiamiamola, anche questa, una protesta per amore.
Amore che ha prodotto anche un’altra importante scelta fatta dall’Usigrai e che l’azienda ha condiviso: assumere i nuovi giornalisti con selezioni pubbliche. Così nelle redazioni regionali sono entrati tanti giovani competenti, preparati, appassionati che diverranno una grande risorsa per l’azienda. Risorsa che deve essere assolutamente tutelata dai vecchi vizi delle logiche di appartenenza che ha condizionato affermazioni professionali, progressioni di carriera, incarichi e che ha spesso portato all’emarginazione di fior di professionisti. Alla fine della lottizzazione dovrà corrispondere un recupero di adeguati parametri di misurazione del merito.
Chi o cosa determinerà il cambiamento? Un nuovo assetto dirigenziale che escluda i partiti politici, che coinvolga competenze culturali, professionali, aziendali. Un cambiamento che deve rilanciare la funzione, nel Paese e per il Paese, della sua principale azienda culturale sulla base di proposte che esistono già - o che verranno avanzate - e che dovranno essere giudicate sulla base della loro effettiva capacità di restituire alla Rai una funzione trainante del sistema culturale italiano. Solo in queste condizioni “Vieni via con me” potrà avere la stessa conclusione del testo del grande Paolo Conte ”It’s wonderful, its wonderful, good luck my baby……..”