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Quel ghetto d'inferno al centro di Roma. Così si accolgono i rifugiati
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di Redazione

Quel ghetto d'inferno al centro di Roma. Così si accolgono i rifugiati

Nel centro di Roma, nel quartiere ricco di verde che va da Porta Pia fino a tutta la Nomentana. E’ il luogo delle ambasciate e lì c’è pure quella che fu di Somalia, ormai da tempo abbandonata. E’ un pezzo di casa per i somali che, da rifugiati, sono stati accolti nel nostro paese. Ma è una accoglienza formale e non sostanziale. La legge prevede che i Paesi dell’area Shengen riconoscano lo status di rifugiato per chi fugge perché perseguitato, da un paese in guerra. In quel luogo fatiscente ci sono 150 somali. Senza acqua calda, senza riscaldamento, in condizioni igienico sanitarie disastrose.

Per cucinare e cuocere qualcosa imbevono di alcol i fazzoletti di carta e scaldano le vivande. Un fornello approssimato e azzardato. Dormono su materassi che hanno recuperato, in locali che non hanno più nemmeno i vetri alle finestre. Tra loro anche dei minorenni. Shukri Said, presidente dell’associazione Migrare, è riuscita a destare l’attenzione su questa vicenda da parte di qualche media e di qualche parlamentare. Un ghetto, quasi un lager. A metà novembre le forze dell’ordine hanno fatto irruzione. Hanno pensato di trovarci dei clandestini. Un blitz per portare tutti i presenti in questura, vedere i loro documenti e poi, dopo 24 ore, rilasciarli perché regolari. E loro, di nuovo, verso quel pezzo di “Somalia” che era la loro ambasciata. Una interrogazione dei radicali e ieri la visita di Jean Leonard Touadi e di Beppe Giulietti, proprio insieme a Shukri Said.

Tra i 150 rifugiati c’è amarezza, scoramento ma un grande rispetto. “Siamo stati una colonia italiana, vediamo l’Italia come la nostra seconda patria. Perché veniamo trattati in questo modo”. Molti di loro hanno anche provato ad andare in altri paesi dell’area Shengen, dove i loro compatrioti hanno ottenuto gli stessi diritti e vengono davvero ospitati. Ma le regole sono spietate. La legislazione prevede che possano essere accolti solo dai paesi in cui il loro status è stato riconosciuto.

E così vengono rispediti nell’inferno di via dei villini 9, a Roma. Perché cercano un altro paese? Perché lì l’ospitalità e i diritti di rifugiato prevedono una casa, corsi per una integrazione culturale e sociale nel paese che li ha riconosciuti, la possibilità di trovare lavoro. Per loro, a Roma, c’è solo la vecchia ambasciata. Un’infamia, per il nostro Paese. Dopo la visita Touadi e Giulietti hanno deciso di chiedere al ministro Maroni spiegazioni attraverso una interrogazione urgente. E c’è da risolvere un altro giallo. Hanno perso le tracce di uno di loro. Dopo il blitz Ahmed – lo chiameremo così – è stato ricoverato in un ospedale romano per ricevere alcune cure. Poi, successivamente, è tornato qualche volta all’ambasciata e ad un certo punto è sparito. Gli amici sono andati in ospedale. Hanno chiesto di lui. Ma se ne sono perse le tracce.


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