Le lobby del no alle riforme tornano all'attacco. In commissione Industria del Senato sono 2.400 gli emendamenti per modificare il decreto del governo Monti sulle liberalizzazioni: 620 del Pd e 850 del Pdl. È il centrodestra che, mentre a parole difende le intenzioni dell'esecutivo, nei fatti recepisce il malcontento delle categorie toccate.
Molta la sensibilità nei confronti degli ordini professionali. Tra le categorie, le più scatenate sono quelle di farmacisti e avvocati. I primi vogliono limitare l'aumento di farmacie e mantenere il monopolio sui farmaci di fascia C, in tandem con Farmindustria contraria a che i medici estendano le ricette aperte ai farmaci generici. Gli avvocati si battono per il no all'abolizione delle tariffe, al preventivo, al tirocinio di sei mesi in università e a limitare i soci di capitale negli studi. In passato queste lobby l'hanno sempre spuntata.
E non sarà facile nemmeno per Monti: in Parlamento quasi metà degli onorevoli è iscritto a un ordine professionale.
Ecco come funzionano le lobby dei veri intoccabili di Franco Stefanoni
Commercialisti, avvocati, medici, notai, farmacisti. Le lobby del
privilegio.
Chiarelettere, Principio Attivo, 240 pp, 15 euro, in libreria
SCHEDA
La metà dei componenti del Parlamento italiano è iscritta a un ordine professionale. Un gruppo trasversale: il partito dei professionisti. Stiamo parlando di più di due milioni di persone in Italia, divise in 28 categorie: avvocati, medici, notai, ingegneri, giornalisti, farmacisti... Hanno enti previdenziali propri, un patrimonio di circa 50 miliardi di euro investiti in beni immobili e titoli finanziari. Quello degli ordini professionali è un mondo chiuso e ancora tutto da raccontare. Una macchina del privilegio, con meccanismi e regole scritte e non scritte.
Questo libro lo racconta, attraversando inchieste e scandali, modalità di accesso non sempre trasparenti e sanzioni disciplinari che arrivano con incredibile ritardo. Nati con l’alibi di difendere il cittadino-consumatore, gli ordini professionali proteggono solo se stessi, tramandandosi il potere in maniera quasi ereditaria (il 44 per cento degli architetti è figlio di architetti, il 41 per cento dei farmacisti è erede di farmacisti, il 37 per cento dei medici è figlio di un medico). Ogni tentativo di riforma è bloccato (così Fabrizio Cicchitto, Pdl, definisce la tentata riforma Bersani del 2006: “Un esempio estremista di vendetta sociale”). All’interno delle stesse professioni c’è chi prova a opporsi (l’Anarchit – Associazione nazionale architetti italiani, Altrapsicologia, il Movimento nazionale liberi farmacisti...): invocano l’eliminazione degli albi e un radicale cambiamento che metta in prima fila libertà e merito, abbattendo ogni
privilegio. La loro battaglia è la battaglia di tutti i cittadini italiani.
AUTORE
Franco Stefanoni è giornalista de “il Mondo”. Da anni si occupa di liberi professionisti e ordini professionali, raccontandone fatti e misfatti. È autore di FINANZA IN CRAC (Editori Riuniti, 2004), IL CODICE DEL POTERE (2007), IL FINANZIERE DI DIO. IL CASO ROVERARO (2008), MAFIA A MILANO (con Mario Portanova, Giampiero Rossi, nuova edizione 2011) tutti pubblicati da Melampo.
I VERI INTOCCABILI
di Franco Stefanoni
in Italia c’è un partito invisibile che accomuna milioni di persone, al di là delle appartenenze politiche. È quello dei professionisti, tutelati da una sfilza di ordini. Sono loro i veri intoccabili.
Nessuno è mai riuscito a scalfire i privilegi di cui godono, neppure nei periodi di recessione, quando intere categorie di cittadini sono chiamate a sopportare nuovi sacrifici. Il caso più recente esplode nell’estate del 2011, nel pieno della crisi economica. Nell’ambito della manovra finanziaria, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti tenta più volte di introdurre una norma sulla liberalizzazione degli ordini professionali. Subito gli avvocati-onorevoli alzano le barricate, minacciando di non votare la fiducia in Parlamento. Dissentono anche gli stessi membri del Pdl, il partito di governo. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa e gli avvocati Maurizio Paniz e Niccolò Ghedini prendono le difese degli ordini. Il provvedimento sparisce e un altro, molto più morbido, lo sostituisce.
È l’ennesimo tentativo andato a vuoto, che si aggiunge alle riforme avviate dai vari governi negli ultimi trent’anni, tutte clamorosamente fallite per l’opposizione delle lobby professionali,
ben rappresentate in Parlamento: nel 2011 circa il 45 per cento di deputati e senatori ha in tasca la tessera di un albo.
Gli ordini o collegi di categoria si presentano come paladini del consumatore: sono enti pubblici il cui scopo dichiarato è proteggere i cittadini dalle cosiddette asimmetrie informative, mettendoli in contatto con professionisti certificati che non abuseranno delle proprie competenze. Nella realtà si tratta di élite che proteggono soprattutto i propri iscritti. Chi li tocca muore. Nessuno può interferire nei loro interessi, nessuno può scalfire il loro potere. Avvocati, medici, ingegneri, commercialisti, notai, giornalisti, farmacisti, ma anche ostetriche, psicologi, spedizionieri doganali, periti agrari, chimici. In tutto 28 categorie, per un totale di oltre 2,1 milioni di professionisti.
Anche se gli ordini sono ufficialmente enti senza scopo di lucro, il potere economico che movimentano è enorme.
Il volume d’affari generato dai professionisti iscritti agli albi è stimato in circa 196 miliardi, pari al 15 per cento del Pil (compresa la componente sommersa). Il valore aggiunto, cioè detratti i costi sostenuti per le attività, si aggira intorno a 80 miliardi, ovvero il 6 per cento del Pil. Ogni anno, attraverso le quote di iscrizione, gli ordini raccolgono una cifra che si aggira sui 500-600 milioni di euro. È il denaro che serve a coprire le spese di funzionamento, illustrate in bilanci non sempre trasparenti e approvati senza adeguati controlli. Ma il vero forziere è custodito nelle casse previdenziali. Chi esercita la professione è obbligato a versare contributi con l’auspicio un giorno di ottenere una pensione. Il flusso finanziario rimpingua un patrimonio che nel 2011 ammonta a circa 50 miliardi.
I presidenti degli enti pensionistici, espressione degli ordini di riferimento, sono plenipotenziari nelle cui mani passano autentiche fortune investite in valori mobiliari e immobiliari, con scelte che nel tempo hanno sollevato polemiche, arresti, processi e scandali. Con la crisi finanziaria del 2008 vengono a galla operazioni rischiose e poco lungimiranti che mettono a rischio la possibilità per i giovani di avere in futuro una pensione.
Da anni in Italia si parla di snellire o abolire gli ordini, da molti ritenuti inutili, inefficienti, autoreferenziali, miopi, fautori di privilegi antistorici, conniventi con chi viola le regole, poco cristallini nella gestione degli affari, incapaci di annullare o limitare le sbandierate asimmetrie informative, conservatori, costosi, protettori di monopoli, interpreti di impropri ruoli sindacali, duri con i deboli e deboli con i duri.
Ma la legge è dalla loro parte. L’impalcatura ordinistica, anche se risalente a epoche lontane, appare indistruttibile. Questo libro ne racconta per la prima volta vizi e virtù, strategie, interessi politici e finanziari, abusi, malcostumi, lotte intestine e politiche, attraverso un viaggio nella miriade di enti che rappresentano le varie categorie professionali. Un viaggio da cui emerge una rete di piccoli sistemi di potere caratterizzati da scarsa trasparenza verso gli iscritti ed elevata litigiosità, spesso accusati
di ostacolare l’ingresso delle nuove leve nel mondo del lavoro.
Le piccole e grandi storie raccolte in questo libro compongono un mosaico da cui emerge la peculiarità della situazione italiana, erede delle corporazioni medievali, di leggi del ventennio
fascista e di una cultura di lacci e lacciuoli. Un’ingessatura che ha pochi pari a livello internazionale e che tante volte è stata contestata dall’Unione europea e dall’Antitrust. E tuttavia resiste e sembra godere di piena salute, a dispetto di mille proclami antiordini. Chi ha osato sfidarli, finora, è rimasto scottato