Mani pulite, vent’anni dopo. Altro che storia passata, questo libro racconta l’Italia dell’illegalità permanente. Un documento storico che rimarrà per sempre sul tradimento della politica. La cronaca di fatti e misfatti parte da Milano, 17 febbraio 1992, arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio: il primo tangentomane che fa tremare l’impero, a due mesi dalle elezioni. Saranno elezioni terremoto, quelle del 1992, stravinte dal partito degli astenuti (17,4 per cento) e dalla Lega nord. Intanto la Prima Repubblica va in galera ed è ancora solo superficie. Falcone e Borsellino trucidati a Palermo (e nel 2012 molti processi ancora aperti sulle stragi). Un anno dopo la corruzione è ormai un fatto nazionale, nessun partito escluso (70 procure al lavoro, 12.000 persone coinvolte per fatti di tangenti, circa 5000 arresti).
“L’Italia sta risorgendo”, saluta così l’anno nuovo il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Peccato che sia l’inizio del 1994, l’anno di Berlusconi e dell’inizio della restaurazione. Scatta l’operazione Salvaladri, con gli imputati che mettono sotto accusa i magistrati. È il mondo alla rovescia e gli italiani assistono allo spettacolo. Alcuni protestano, molti si abituano
e finiscono per crederci.
Poi gli anni dell’Ulivo, della Bicamerale e dell’inciucio centrodestra- centrosinistra, che produce una miriade di leggi contro la giustizia: ad personas, ad castam e ad mafiam. Fino al 2001, che avvia il quinquennio della definitiva normalizzazione: il ritorno di Berlusconi, decine tra imputati e condannati di nuovo in Parlamento, le leggi ad personam, i reati aboliti, i giudici trasferiti... E poi ancora i due anni del secondo governo Prodi e i tre del terzo governo Berlusconi, che fra indulti e altre leggi vergogna ripiombano il paese negli scandali e nella crisi finanziaria. Infine il governo Monti, sempre in attesa di una seria legge anticorruzione, vent’anni dopo.
Gianni Barbacetto è giornalista de “il Fatto Quotidiano”. Per Chiarelettere ha pubblicato MANI SPORCHE (con Peter Gomez e Marco Travaglio, 2007) e LE MANI SULLA CITTÀ (con Davide Milosa, 2011).
Peter Gomez è direttore de “il Fatto Quotidiano” online. Per Chiarelettere ha pubblicato SE LI CONOSCI LI EVITI (con Marco Travaglio, 2008), IL BAVAGLIO (con Marco Lillo e Marco Travaglio, 2008), PAPI. UNO SCANDALO POLITICO (con Marco Lillo e Marco Travaglio, 2009), IL REGALO DI BERLUSCONI (con Antonella Mascali, 2009). Da ricordare anche il bestseller scritto con Lirio Abbate, I COMPLICI (Fazi 2007).
Marco Travaglio è vicedirettore de “il Fatto Quotidiano” e autore di inchieste di successo, molte delle quali firmate con Peter Gomez. Oltre a quelli già citati, ricordiamo i suoi libri più recenti: AD PERSONAM (Chiarelettere 2010), COLTI SUL FATTO (Garzanti 2010) e SILENZIO, SI RUBA (dvd+libro, Chiarelettere 2011) che raccoglie gli interventi della rubrica settimanale “Passaparola”, in rete ogni lunedì fino al settembre 2011. Dopo il successo di PROMEMORIA, 15 ANNI DI STORIA D’ITALIA AI CONFINI DELLA REALTÀ, è in scena nei teatri italiani con ANESTESIA TOTALE, PRIMO SPETTACOLO (POCO SPETTACOLARE) DEL DOPO-B, insieme a Isabella Ferrari. Dopo cinque anni di ANNOZERO, quest’anno prosegue la sua collaborazione insieme alla squadra di Michele Santoro con SERVIZIO PUBBLICO.
MANI PULITE
La vera storia, 20 anni dopo
di Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio
Chiarelettere, Principio attivo
In libreria dal 16 Febbraio 2012
pp. 912
euro 19,60
ean 9788861900530
formato: brossura con alette 13,7 x 20,5
“IL RACCONTO DEI FATTI SPAZZA VIA LE SCIOCCHEZZE E LE MENZOGNE CHE PER ANNI SONO STATE DIVULGATE DAI MEZZI DI INFORMAZIONE... QUEST’OPERA È UN VADEMECUM CHE AIUTERÀ A RICORDARE CIÒ CHE È ACCADUTO, PERCHÉ È L’OBLIO DEI MISFATTI CHE LENTAMENTE CONSUMA LA LIBERTÀ DELLE ISTITUZIONI.”
Piercamillo Davigo
Prologo
Estratto da MANI PULITE di Barbacetto, Gomez e Travaglio
Prefazione di Piercamillo Davigo
Chiarelettere, Milano 2012
Lunedì 17 febbraio 1992, ore 17,30. Un imprenditore di 32 anni, Luca
Magni, si presenta in via Marostica 8 a Milano, nell’ufficio di Mario Chiesa,
presidente del Pio Albergo Trivulzio. Magni è titolare di una piccola impresa
di pulizie, la Ilpi di Monza, che lavora anche per il Trivulzio, la storica casa
di ricovero per anziani fondata nel Settecento. Chiesa è un esponente del
Partito socialista italiano e non nasconde le sue ambizioni politiche: sogna
di diventare, in un futuro che spera prossimo, sindaco di Milano.
Dopo mezz’ora di anticamera, Magni viene ricevuto. Deve consegnare
al presidente 14 milioni, la tangente pattuita su un appalto da 140 milioni.
Nel taschino della giacca ha una penna che in realtà è una microspia. In
mano stringe la maniglia di una valigetta che nasconde una telecamera. «A
dir la verità – ricorderà Magni – avevo una paura pazzesca, ero agitatissimo.
L’ingegner Chiesa era al telefono e io sono rimasto dieci minuti in piedi
ad aspettare che finisse di parlare. Poi gli ho dato una busta che conteneva
7 milioni. Gli ho detto che gli altri sette per il momento non li avevo.»
Chiesa non reagisce. Domanda soltanto: «Quando mi porta il resto?». «La
settimana prossima», risponde concitato Magni. Poi saluta. E, uscendo,
quasi si scontra con un carabiniere in borghese.
Mentre l’imprenditore telefona a casa («Per tranquillizzare mia madre e
mia sorella, che sapevano dell’operazione ed erano preoccupate per me»),
una squadretta di investigatori blocca il presidente del Trivulzio, che capisce
di essere caduto in trappola. «Questi soldi sono miei», azzarda. «No,
ingegnere, questi soldi sono nostri», replicano gli uomini in divisa. Allora
chiede di andare in bagno e si libera delle banconote di un’altra tangente
da 37 milioni, incassata poco prima, gettandole nella tazza del gabinetto.
Poi viene arrestato e portato nel carcere di San Vittore.
L’intervento è stato preparato con cura. Le prove sono schiaccianti: una
ogni dieci delle banconote di Magni è stata firmata da un lato dal capitano
dei Carabinieri Roberto Zuliani, dall’altro dal sostituto procuratore Antonio
Di Pietro. La ditta di Magni, che si occupa di speciali trattamenti ospedalieri,
lavora per il Trivulzio da qualche anno. Nel 1990, con i primi appalti consistenti,
sono arrivate anche le prime richieste di denaro. Racconta Magni:
«I soldi Chiesa me li ha chiesti con poche parole secche, com’è sua abitudine:
“Mi deve dare il 10 per cento”». In meno di due anni l’imprenditore
porta a Chiesa una quarantina di milioni, in sei o sette consegne, sempre
in contanti, dentro una busta bianca. «Io non immaginavo certo che cosa
sarebbe successo dopo la mia decisione di andare dai Carabinieri. Per me era
un problema economico. Il 10 per cento è troppo, anche perché nel nostro
settore non possiamo recuperare gonfiando i prezzi. E poi le buste Chiesa
le voleva subito, mentre noi i pagamenti li vedevamo molti mesi dopo. Era
una situazione insostenibile.»
Così Magni chiede aiuto all’Arma. Il 13 febbraio telefona alla caserma
milanese di via Moscova. Il capitano Zuliani gli fissa un appuntamento per le
10 del giorno seguente, venerdì 14. Lo ascolta, raccoglie la sua denuncia e la
presenta al magistrato con cui lavora: Di Pietro. Il pm e l’ufficiale preparano
il blitz per il lunedì: quel giorno Di Pietro è di turno, quindi l’inchiesta sarà
assegnata a lui. L’appuntamento è per le 13 del 17 febbraio, alla caserma
di via Moscova. Luca Magni arriva con la sua auto Mitsubishi e con i suoi
7 milioni. Il capitano lo accompagna subito a Palazzo di giustizia: «Ero un
po’ teso – ricorderà l’imprenditore – perché non mi aspettavo di incontrare
un magistrato. Però mi sono subito tranquillizzato, perché Di Pietro è stato
molto gentile. Ha fatto uscire dalla sua stanza tutti quelli che vi stavano
lavorando, mi ha messo a mio agio e mi ha chiesto di raccontargli i fatti,
senza alcun atteggiamento inquisitorio».
In caserma, le banconote vengono siglate e fotocopiate. Si provano la
penna-trasmittente e la valigetta-telecamera (che alla fine non risulterà
granché utile). Poi un corteo di quattro auto, la Mitsubishi di Magni e tre
mezzi dei Carabinieri, parte per il Pio Albergo Trivulzio (il Pat, che i milanesi
chiamano familiarmente «Baggina» perché ha sede sulla strada che porta a
Baggio). Sta nascendo Mani pulite, l’inizio della fine di un sistema politico.
Ma nessuno, quel giorno, può ancora immaginarlo.