di Bruna Iacopino
Tawfik Mohammed aveva 64 anni, era egiziano ed era un soggetto considerato "socialmente pericoloso". Ha deciso quindi di farla finita e lo ha fatto appendendosi alle sbarre della sua cella dopo aver strappato un lenzuolo. Si potrebbe sintetizzare così l’ennesimo atto di uno stillicidio che ormai va avanti senza soluzione di continuità e che dall’inizio dell’anno ha già fatto registrare dentro gli istituti di pena nostrani ben 7 decessi dall’inizio dell’anno, di cui ben 3 per suicidio. I dati sono quelli forniti dall’Osservatorio permanente delle morti in carcere, che oltre a denunciare che: “ Il detenuto era affetto da tempo da una forte depressione che aveva minato il suo equilibrio psichico” denota come il suicidio sia avvenuto all’interno di una struttura del carcere, la cosiddetta Casa del Lavoro, che presenta da tempo aspetti particolarmente problematici: “Formalmente si tratta di una Casa di Lavoro, pensata per agevolare il recupero di quei condannati che, pur avendo terminato di scontare la pena, non vengono rimessi in libertà in quanto ritenuti “socialmente pericolosi”. In realtà è un luogo di disperazione, dove gli internati restano rinchiusi per mesi ed anni senza processo e senza “fine pena” certo.”
E dove già lo scorso anno erano stati registrati ben 3 suicidi e 14 tentativi salvati in extremis, provocando un’apparente presa di posizione anche da parte politica. Nel giugno dello scorso anno, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria comunicava ai sindacati, a proposito del carcere di Sulmona, che “la chiusura della casa lavoro” era stata sottoposta all’attenzione del Ministero della Giustizia, in seguito alla richiesta avanzata dagli stessi nel mese di aprile. Mentre un’interrogazione parlamentare era stata presentata in tal senso, ormai un anno fa, dal deputato Pd Giovanni Lolli: in essa si lamentava il sovraffollamento della struttura, in cui ai 205 presenti, si sarebbero dovuti aggiungere altri 200 internati, una carenza cronica di personale, e l’inadeguatezza della stessa a svolgere una reale attività di rieducazione attraverso i lavoro, svolto da pochi, per periodi brevi e solo dopo 4-5 mesi di internamento.
Situazione rimasta immutata a distanza di un anno se ancora l’Osservatorio torna a denunciare: “La Casa di Lavoro di Sulmona avrebbe una capienza di 75 posti: invece in celle di nove metri quadrati, concepite per un massimo di due persone, oggi sono in 4-5, con brande a castello e nessuno spazio per muoversi. È l’unica struttura del genere considerata di ‘massima sicurezza’, rimasta in funzione insieme a quella di Saliceta San Giuliano di Modena. Gli altri due istituti, a Castelfranco Emilia e Favignana, hanno smesso di svolgere la loro funzione di ‘recupero sociale’. Così in due anni Sulmona ha visto quadruplicare il numero degli ospiti internati, saliti da 50 a 200.”
“ Da tempo - ribadisce Eugenio Sarno segretario dello Uilpa penitenziari – abbiamo posto il problema dell’inadeguatezza strutturale della sezione internati a Sulmona. Per questa tipologia di reclusi occorrono ambienti ben diversi.”
Il tutto a ridosso dell0’approvazione della relazione annuale del ministro della Giustizia in Parlamento. Laddove, alla voce carceri torna a fare capolino il tanto osannato “piano carceri” la cui partenza effettiva, dopo mesi di stallo e rinvii dovrebbe avvenire già alla fine di questo mese, almeno per quanto riguarda i progetti di edilizia penitenziaria, con la realizzazione di 11 nuovi istituti penitenziari e 20 padiglioni in aggiunta a strutture già esistenti, atte a far fronte, unitamente al ddl “svuota carceri” alla delicata questione del sovraffollamento. Problema che, stando alla relazione del guardasigilli avrebbe già visto importanti traguardi raggiunti nel 2010.
Traguardi inesistenti non solo per Sarno che ironizza facendo riferimento al suicidio di Sulmona: “Forse a questo si riferiva Alfano quando parlava dei record conseguiti in materia penitenziaria dal Parlamento, giacchè di assunzioni non se ne intravedono ed i progetti restano tali “