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Genova: detenuto tossicodipendente di 25 anni vittima del carcere e del proibizionismo
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di redazione*

Genova: detenuto tossicodipendente di 25 anni vittima del carcere e del proibizionismo

Dal 17 agosto scorso Ciprian Florin Gheorghita, 25 anni, romeno, era recluso nel carcere di Marassi, dopo che i carabinieri della stazione di San Teodoro (Genova) lo avevano arrestato perché in possesso di alcuni grammi di hascisc e per “resistenza”. Condannato a 13 mesi di carcere (di cui 6 già scontati), avrebbe terminato la pena il 9 settembre prossimo. Ma ieri pomeriggio lo hanno trovato agonizzante nel bagno della cella, con accanto un sacco nero di plastica che emanava ancora gas butano, e due fornelletti da camping. È morto poco dopo nell’infermiera mentre provavano a rianimarlo. A novembre la fidanzata di Ciprian Florin era stata fermata nella sala colloqui dagli agenti della polizia penitenziaria dopo che le unità cinofile avevano fiutato dell'hascisc, una piccola dose nascosta nelle scarpe. Da quel momento alla donna era stata vietato l'incontro con il fidanzato. Più recentemente il romeno era stato trovato in possesso di un cellulare all’interno della cella e per questo al giudice di sorveglianza era stata proposta l’adozione di una misura di sorveglianza più restrittiva.
I detenuti al Marassi sono circa 730 detenuti (il 60% dei quali stranieri), a fronte di una capienza di 456 posti letto. Ciprian Florin avrebbe potuto ottenere il beneficio della c.d. legge "svuota-carceri", avendo il fine pena ad agosto. Purtroppo così non è stato. Non certo un'eccezione, visto che ad oggi nel carcere di Genova hanno ottenuto il beneficio solo in 15 persone e solo in 3 nel vicino carcere di Pontedecimo.
Il Sappe, sindacato della Polizia penitenziaria, parla di suicidio. Per il direttore del carcere, Salvatore Mazzeo, invece si è trattato di un incidente: “Il detenuto era tossicodipendente e seguito dal Sert, con ogni probabilità ha inalato il gas per lo sballo, in carcere è una pratica alternativa alla droga”.

Il ritrovamento vicino al ragazzo morente di un sacchetto di plastica riempito di gas sembra però avvalorare l’ipotesi del Sappe. Di solito lo “sballo” viene ottenuto inalando il butano dalla bomboletta posta sotto le narici, mentre la pratica di riempire di gas il sacchetto e poi di infilarselo in testa è utilizzata prevalentemente per uccidersi.

Lo scorso anno, su un totale di 66 detenuti suicidi, in 8 hanno scelto questo metodo, sicuramente meno cruento rispetto all’impiccagione, e tuttavia meno utilizzato perché non dà l’assoluta sicurezza di morire: infatti chi si impicca, a meno che venga “soccorso” entro pochissimi minuti, non sopravvive mai (e non c’è modo di avere “ripensamenti” all’ultimo istante), mentre il tentativo di suicidio con il gas può essere interrotto volontariamente (togliendosi il sacchetto dalla testa, per istinto di autoconservazione) o involontariamente (il sacchetto può rompersi, o sfilarsi, quando la persona cade a terra). E in chi sopravvive la mancanza di ossigeno (anossia), può causare danni cerebrali irreversibili, il coma o la paralisi.
Nei primi 40 giorni dell’anno salgono a 6 i suicidi in carcere e a 12 il totale dei detenuti morti.

*Osservatorio permanente delle morti in carcere


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