di Arturo Di Corinto
Internet si è rivelata un eccezionale strumento di mobilitazione nelle insurrezioni nordafricane, ma nelle stesse occasioni ha anche mostrato la sua intrinseca fragilità. Nel momento in cui era maggiore la mobilitazione sul web infatti, tutti i paesi interessati hanno provato a limitarne l'uso, riuscendoci, anche solo per poche ore. Perché è così facile “disconnettere” un paese e perchè è così difficile impedire alle persone di usare la rete? La prima riposta è facile: Internet viaggia prevalentemente su linee telefoniche commerciali e quindi se un governo ordina alle aziende che le gestiscono di bloccarne il traffico, nazionale e internazionale, sia voce che dati, diventa impossibile comunicare. E' una misura drastica che provoca danni economici tanto ingenti che pare sia stata utilizzata solo in Nepal e Burma, mentre più frequenti sono i blocchi a livello nazionale. Un tipo di intervento che è possibile superare con le radio analogiche, collegamenti satellitari, packet radio, oppure occupando le frequenze militari e gli “spazi bianchi dell'etere”.
Più spesso però per “bloccare Internet”, i governi chiedono agli internet service provider di inibire i servizi di accesso alla rete oppure di “spegnere” DNS (Domain Name System) o singoli Ip, impedendo di raggiungere siti specifici, che è quello che secondo la Open Net Initiative succede “normalmente” in circa 36 paesi nel mondo che censurano così contenuti politici, religiosi, pornografici e gioco d'azzardo.
Ma allora perchè nonostante tutto gli insorgenti della rete riescono lo stesso a comunicare via web, facebook, twitter, eccetera? Perchè se la rete telefonica o cellulare funziona, ovvero si possiede un telefono satellitare, si può tentare la connessione a un fornitore di accessi straniero, anche usando un normale modem dialup a patto di conoscere il numero di telefono dell'operatore che ci apre la porta su Internet (come Telecomix.org), fuori dal dominio d'influenza del governo che ha ordinato il blocco, accedendo a e pubblicando informazioni su siti residenti all'estero. Nel caso della rivolta egiziana la stessa Google ha messo a disposizione un elenco di questi numeri (http://www.google.com/crisisresponse/egypt.html). Il problema con il modem è che la prima parte della connessione è analogica, quindi se il governo intercetta le comunicazioni telefoniche sono guai. Ma se un computer usa Tor, le normali connessioni vengono cifrate e l'Isp censore non è capace di bloccarne il percorso consentendo al computer di raggiungere un altro nodo Tor all'esterno del paese che opera la censura e da qui può raggiungere il sito altrimenti proibito. http://it.peacereporter.net/libera
Un sistema particolarmente resistente che permette di sfuggire alla censura è Speak2Tweet, un software che consente di registrare o di ascoltare i messaggi vocali inviati via telefono a Twitter: http://twitter.com/speak2tweet
Tunisia, Egitto, Lybia, hanno rinunciato a spegnere la rete solo quando hanno compreso che era come turare la falla di una diga col sughero. In Egitto è stato ordinato ai maggiori provider, anche della rete mobile, di sospendere tutte le attività, mentre solo il provider Noor continuava ad operare per servire banche e operatori di borsa. Ma abbiamo scoperto che molti dirigenti e funzionari simpatizzavano coi rivoltosi aprendogli le porte di Internet. In Tunisia sono state usate tecniche di jamming, di interferenza e blocco selettivo come il Dns poisoning e l'Ip filtering, insufficienti, tanto che il gruppo Anonymous (salito alla ribalta per gli attacchi a difesa di Wikileaks), era stato comunque in grado di realizzare defacement di siti (ne cambiavano la homepage) e di mandare messaggi di rivolta ai server tunisini.
Non si sa invece cosa sia successo la notte scorsa in Libia dove gli strumenti di monitoraggio di Google hanno rilevato un blocco totale dei suoi servizi che è durato dalla mezzanotte del 19 alle sette del mattino, mentre ora la situazione si sta normalizzando.
Oggi nessuno nega che le migliaia di tweet e il lavoro indefesso dei blogger, soprattutto egiziani, abbiano contribuito a creare un contesto favorevole alle rivolte, ma è stato notato che senza l'occupazione di piazze e strade, difficilmente i media arabi indipendenti e quelli occidentali ne avrebbero parlato, forse derubricandolo a fenomeno di costume invece di moltiplicarne la forza. Con buona certezza si può dire che senza gli scontri a Tunisi, le pressioni internazionali, i morti e l'occupazione continua di piazza della Liberazione al Cairo, i dittatori di entrambi i paesi non sarebbero stati costretti a fuggire.