di Nicola Tranfaglia
Incomincio a pensare che non c'è più nulla da fare per guadagnare gli avversari politici che seguono le prese di posizione di Silvio Berlusconi, attuale presidente del Consiglio, ai valori della costituzione repubblicana e delle leggi ancora vigenti. Certo, quello che succede nelle ultime settimane dimostra con grande chiarezza che chi siede oggi in parlamento è molto sensibile agli argomenti di cui si avvale in maniera disinvolta il capo del governo: il denaro, la promessa di una nuova candidatura o meglio nomina diretta, la direzione di un teatro o di un ente pubblico.
Il gruppo senatoriale di Futuro e Libertà si è già sfaldato, scendendo sotto il numero minimo di dieci. E le defezioni alla Camera si succedono a ritmo serrato: con spiegazioni del voltafaccia che oscillano tra il ridicolo e il grottesco.
Da Barbareschi che, da ottimo attore, si era addirittura commosso al raduno di Mirabello e che ora si sente deluso da Fini, al piemontese Roberto Rosso che era con Berlusconi dal 1994 e soltanto ora scopre che può perseguire meglio il suo fantomatico liberalismo ritornando sotto le ali accoglienti del Caimano.
Non è il caso di parlare di comiche e tanto meno di comiche finali. Qui siamo al giudizio storico e politico impietoso
su personaggi di scarso o nullo livello etico e culturale.
Chi ha occasione qualche volta di andare fuori d’Italia per lavoro o per diporto è regolarmente preso in giro dagli abitanti degli altri stati europei e occidentali che assistono a una commedia di bassa lega, degna di un paese che definire in declino è ancora troppo poco.
Ma quel che preoccupa chi ha ancora passione per l’Italia (di cui sto raccontando, in molte città del Sud e del Nord la storia ormai lunga di cento cinquant’anni ) è soprattutto il fatto che il presidente del Consiglio parla quasi esclusivamente dei fatti suoi e, in nulla e per nulla, degli italiani.
Appena ha un microfono o una telecamera che lo inquadra -il che accade spesso essendo proprietario di tre canali commerciali e molto presente nella televisione pubblica -Silvio Berlusconi parla di giustizia: del progetto in quindici giorni di riformare la Corte Costituzionale, di attuare il processo breve, di punire i pubblici ministeri, di eliminare quel contropotere costituito a suo avviso da troppi magistrati.
C’è da avere paura perché l’attuazione di un simile programma, se riuscirà a farlo, togliere alla nostra costituzione i contrappesi necessari per limitare il potere esecutivo e distruggere completamente quello stato di diritto che i costituenti disegnarono dopo vent’anni di fascismo per garantire all’Italia risorta dalla dittatura le regole necessarie a una vita civile moderna e democratica.
Siamo arrivati ormai a uno scontro finale tra il populismo autoritario che Berlusconi è riuscito a proporre e in parte a realizzare durante i suoi anni di governo e un’opposizione che appare ancora incerta e divisa per questioni personali o di gruppo.
Né purtroppo l’opposizione, sempre frammentata, ha ancora spiegato agli italiani che attendono su quale piattaforma programmatica vuole convincerli ad abbandonare Berlusconi e a sostituirlo al governo della cosa pubblica. E l’incubo rischia di durare ancora.