di Antimo Lello Turri
Latina. Prosegue il processo “Damasco 2”, il rito penale che prende il nome dall'omonima operazione di polizia che si concluse la mattina del 6 luglio 2009 con l'arresto di diciassette persone su mandato della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. All'alba di quella mattinata estiva, la cittadina di Fondi era attraversata dalle sirene spiegate delle auto di servizio di oltre duecento agenti di polizia di Stato e carabinieri. Tra i nomi degli arrestati spiccavano quelli di Carmelo Giovanni Tripodo e Antonio Venanzio Tripodo, figli del boss calabrese Domenico detto Mico. Il giorno a seguire i giornali locali titolavano “'Ndrangheta fondana” e “I re del Mof”, riferendosi al presunto controllo criminale esercitato dagli arrestati sul mercato ortofrutticolo di Fondi, uno dei più grandi d'Europa.
Il 21 febbraio scorso, il pentito di Cosa Nostra Carmine Barbieri è stato ascoltato in videoconferenza durante l'udienza del processo “Damasco 2”. Barbieri, che aveva già esternato lo scorso anno le medesime dichiarazioni di fronte al sostituto procuratore della Dda Cristina Palaia, ha raccontato di aver avuto accesso al Mof di Fondi grazie a Venanzio Tripodo. Il pentito di mafia, infatti, gestiva insieme ad altri un'azienda ortofrutticola. Durante il collegamento video ha dichiarato: «Essendo io imprenditore mafioso che operava nel settore ortofrutticolo mi rivolsi al mio immediato referente, cioè al rappresentante provinciale di Cosa Nostra e cugino di Giuseppe Madonia, Luigi Ilardo. Questi a sua volta mi mise in contatto con il rappresentante mafioso, e più esattamente con il rappresentante ‘ndranghetista che controllava il mercato di Fondi, vale a dire Venanzio Tripodo». Incalzato dalle domande delle parti in aula, Carmine Barbieri ha precisato il ruolo che avrebbero avuto i Tripodo all'interno del Mof: «Stando a quanto mi raccontava lo stesso Tripodo, sapevo che aveva un’influenza di tipo criminale su quanto accadeva al Mof, compreso il rapporto con i Casalesi a cui girava una parte degli introiti delle estorsioni».
Per comprendere l'affare mafioso che ruota attorno al Mof di Fondi, si deve tornare con la memoria all'operazione “Paganese” della Dda di Napoli, portata a termine nella primavera dello scorso anno. La magistratura antimafia aveva infatti portato alla luce il modo in cui i clan controllavano il trasporto su gomma dei prodotti ortofrutticoli e non solo. Nei camion erano occultati ingenti quantitativi di droga e di armi da guerra provenienti dalla Bosnia. Gli stessi camion che ogni giorno partivano dal profondo meridione d'Italia per approvvigionare di frutta e verdura il mercato ortofrutticolo di Fondi. Nell'ordinanza della DDA di Napoli si leggeva: «Nel tempo dopo conflitti anche armati, si è assistito ad una progressiva spartizione dei mercati tra le varie organizzazioni criminose e ad incontri al vertice fra i capi di tali sodalizi. Veniva cioè suggellata la pace tra i gestori delle diverse ditte di trasporto ed i relativi clan predeterminavano le aree, meglio i mercati, di rispettiva competenza. Ciò non determinava, ovviamente la fine del meccanismo illecito, ma piuttosto l'aggravava perché rendeva del tutto impossibile la libera concorrenza dei mercati».
Altra testimonianza eccellente nel processo “Damasco 2” è stata resa ieri dallo storico pentito di camorra Carmine Schiavone, cugino del boss dei casalesi Francesco Schiavone “Sandokan”. L'ex cassiere della mafia di Casal di Principe, ha spiegato in video conferenza che i Tripodo avrebbero gestito i traffici di droga a Fondi, riferendosi al periodo compreso tra i primi anni Ottanta e il 1991. <<Noi -riferendosi al clan dei casalesi- acquistavamo la cocaina a 3 milioni al chilo e un nostro uomo aveva sposato la sorella del ministro degli Interni del Perù che ci copriva. Poi la vendevamo in Italia, anche ai Tripodo che la acquistavano per 15 milioni di lire al chilogrammo>>. Quando al cugino di Sandokan è stato chiesto se avesse mai visto Carmelo Tripodo versare somme di denaro a qualche loro referente, ha risposto: <<Personalmente>>.
'Ndrangheta, Casalesi, famiglie dell'alleanza di Secondigliano e accordi con Cosa Nostra siciliana. Questi gli elementi del sistema criminale che attanaglia l'economia legale fondana e che fa chiudere i battenti a troppe ditte di gente perbene che non ce la fa. Uno per tutti era stato il caso dell'Elispanair che dopo un devastante incendio doloso nel maggio 2009 aveva chiuso bottega sotto gli occhi indifferenti di pezzi della politica e delle istituzioni. Ma questo cartello mafioso che detta le regole del gioco, si serve di una rete di personaggi locali che fungono da prestanome, apripista e spalleggiatori. Pregiudicati e non, nati e vissuti a Fondi e nel sud pontino. Ecco pronta, quindi, la miscela fluida e perfettamente collaudata della Quinta Mafia che utilizza questo territorio per crescere ed assaltare la vicinissima Roma, dove compra alberghi, ristoranti e caffè a pochi passi dai Palazzi del potere e dalle grandi e prestigiose sedi di holding economico-finanziarie.