di Francesco Peloso*
L’incubo giapponese contiene, nella sua folle e immensa dimensione, i tratti della catastrofe globale: lo tsunami, le immagini di dighe spezzate, il mare che entra a divorare la terra. Le riprese televisive, internet, il fiume di fotografie che accompagna il dilagare scomposto della natura, sono dentro il nostro immaginario di questi anni, come lo tsunami del 26 dicembre 2004 con i cadaveri sulle spiagge, le migliaia di turisti in fuga, quelli che continuavano a prendere il sole.
Oggi è il Giappone a cadere in ginocchio, una delle prime potenze industriali del mondo, simbolo, una volta di più, della fragilità umana e dei limiti del turbo capitalismo di questi decenni veloci e furenti. C’è però un altro elemento che segna con forza l’incalzare degli eventi. E’ il collasso cui sono sottoposte le centrali nucleari in Giappone, il rischio di fughe e piogge radioattive, l’enormità dell’incidente nucleare che, da almeno dal 1945, incombe su tutti noi.
Faccio parte di una generazione che si è confrontata nel corso degli anni ’80 (non c’è stato solo l’edonismo, please), con il problema nucleare in almeno due occasioni. L’incidente di Chernobyl e l’impetuoso sviluppo del movimento verde in Germania, Francia e anche in Italia, tracciò una prima distanza netta dall’industrialismo classico del movimento operaio e la necessità di tenere presenti altri fattori: l’ambiente in cui si vive, la qualità della vita, la ricerca di nuove fonti di energia, di nuovi modi di produrre e lavorare e via dicendo. Si svolse poi in quegli anni la coda finale di quel confronto militare fra i due blocchi, est e ovest, che vedeva nel dispiegamento dei missili “Cruise” americani in Sicilia e in Europa, la risposta agli “SS20” sovietici. Il movimento per la pace impose all’attenzione dell’opinione pubblica le tematiche della nonviolenza, del rifiuto dell’comunismo di scuola russa, della partecipazione dei cittadini alle “grandi decisioni” che interessano la vita di tutti, la scelta obbligata dei negoziati per risolvere i conflitti. Si arrivò infine a un referendum popolare che bocciò l’opzione del nucleare civile in Italia e comportò la conseguente chiusura delle centrali attive nel nostro Paese.
Sui rischi che derivano dalla presenza di una centrale nucleare in un dato territorio, il dibattito è aperto da tempo e le opinioni come è pure giusto divergono, c’è però una realtà difficilmente discutibile: quando qualcosa va storto in un impianto del genere le conseguenze sono sempre gravissime per le persone comuni, insomma per noi tutti. Non è dunque un caso se spesso, i governi, occultano, minimizzano, cercano di non far conoscere l’entità e il numero degli incidenti che avvengono nelle proprie centrali.
Il prossimo 12 giugno saremo di nuovo chiamati a pronunciarci attraverso un referendum su problemi molto diversi fra loro: nucleare, privatizzazione dell’acqua e legittimo impedimento. Questioni sollevate insieme in ragione delle decisioni di questo governo, talmente grottescamente di destra che sembra quello di un fumetto e noi ormai trasformati negli abitanti di Gotham city. Così il Joker di turno armeggia per cancellare la giustizia, fare a pezzi la scuola pubblica, tagliare ogni bene comune e renderlo privato. En passant bacia le mani ai dittatori mentre controlla e manipola le tv, trasforma il potere in una gigantesca e definitiva casa d’appuntamenti con tanto di minorenni, chiama qualche camorrista a guidare il partito al sud, fa sparare ai barconi pieni d’immigrati. Naturalmente non agisce da solo, un’ampia corte lo aiuta giorno e notte nel suo instancabile lavoro.
Non so se arriverà Batman a salvarci o magari sul Colosseo, in una sera estiva, spunterà Spiderman per fare giustizia. Ricordo però l’immagine di una ragazza sorridente, durante le grandi manifestazioni delle donne di qualche settimana fa, che portava in mano un cartello sul quale era scritto: “bastava non votarlo”. Ecco, appunto, basta non votarlo, scegliere qualcos’altro. Non è molto si dirà, e invece è già abbastanza se si guarda alle macerie di questo Paese. E ai referendum, comunque la si pensi, a votare andiamoci; intanto perché l’acqua è di tutti, è un diritto umano come si comincia a dire, e poi perché, se ci lasciamo sfilare via anche l’ultimo strumento che ci resta, quello del voto, presto non ci rimarrà più nulla.
*da Il mondo di Annibale