di Maurizio Sciarra
IL 25 marzo si terrà lo “sciopero della cultura”, ci saranno iniziative che coinvolgeranno teatri, musei, i luoghi della musica, forse le sale cinematografiche. Iniziativa richiesta da tempo, a gran voce, dai lavoratori dello spettacolo ,che fino ad oggi non hanno ancora ricevuto alcuna assicurazione sulla soglia minima dei contributi statali che possono garantire la sopravvivenza di enti lirici, fondazioni musicali, cinema e spettacol o dal vivo. In forse, ancora, la chiusura delle sale cinematografiche, che ancora si dibattono sulla partecipazione o meno allo sciopero, che continuano a dire no con forza alla tassa sul biglietto, ma che poi applicano unilateralmente e a tappeto quell’aumento di un euro che, se dato dal governo, penalizzerebbe i consumatori. Sono le contraddizioni che questo Governo, invece che sanare, ha invece enfatizzato, con il taglio dei contributi imposti senza alcuna contrattazione con le parti sociali. Deregulation, o soltanto menefreghismo? Disegno scientifico, o soltanto snobistico abbandono di un comparto che “non dà da mangiare”, e che per di più è ostile? Certo, ed è un bene, Muti, da solo, prima di un concerto, ha fatto con Tremonti più di quanto tutti noi non siamo riusciti a fare in mesi di martellanti campagne e iniziative di piazza. Ma ben venga. La statura personale, l’autorevolezza internazionale, la situazione, possono dare quelle spallate mediatiche e di sostanza che la lunga opera dei lavoratori, dei produttori e degli autori di cinema e tv ha accuratamente preparato. E così magari il concerto per la celebrazione dell’Unità d’Italia porterà il Governo a rivedere la folle corsa all’affossamento delle attività culturali. Il cinema da tempo ha espresso le sue proposte per uscire dall’empasse: tassa di scopo su tutta la filiera che utilizza il cinema per i propri affari, un centro nazionale dell’audiovisivo che gestisca i fondi fuori da logiche di spartizione politica. Anche gli altri settori della cultura hanno proprie proposte. Non si parla più di fondi a pioggia e senza prospettive di ritorno, non si tratta di difende uno status quo per alcuni versi indifendibile, ma di interventi mirati allo svecchiamento delle strutture che producono cultura. Ma sempre tenendo presente, come la stessa Unione europea ci ricorda con il suo Libro Verde sull’industria creativa e culturale, che non è in forse il “se” dell’intervento pubblico nella cultura, ma soltanto il “come” e il “quanto di più”. Che questo Governo si allinei, per una volta, alle direttive europee, e segua il bell’esempio dei colleghi popolari europei, in prima linea nella difesa della cultura del nostro continente.