di Silvia Loschiavo*
Alle ore 20.25 circa dello scorso giovedì 21 marzo si è verificato un sisma di magnitudo 7.0 nei pressi della città di Tachilek, non lontano dal confine tra Birmania e Thailandia. La regione colpita è anche detta Triangolo d’Oro: si tratta di un’area di montagna conosciuta per la diffusione di colture di oppio e per il commercio transfrontaliero. Il terremoto, il peggiore verificatosi nella zona negli ultimi decenni, è stato avvertito a Bangkok, Rangoon e perfino in Vietnam. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite pubblicato lo scorso mercoledì dall’OCHA (Office for the Coordination of Human Affairs) in collaborazione con numerosi partner, il numero di sfollati nei 90 villaggi colpiti dal sisma è salito a 3.000.
Per ciò che riguarda la risposta all’emergenza, le o.n.g. locali e la Croce Rossa hanno denunciato la mancanza di soccorritori esperti, equipaggiamento e cani addestrati, mentre quotidiani locali (Irrawaddy) hanno segnalato che, nelle zone dello Shan State più isolate e controllate da gruppi etnici armati, centinaia di sfollati non hanno ricevuto acqua potabile, cibo, vestiti, medicine né aiuti dal governo.
Residenti locali hanno dichiarato che la distribuzione di beni di prima necessità provenienti da privati si è rivelata più efficace rispetto alla somministrazione degli aiuti attraverso i canali governativi, spesso soggetti a ritardi e a furti.
Oltre alla mobilitazione delle agenzie delle Nazioni Unite e delle o.n.g., consistenti aiuti sono giunti dalle vicine India (1 milione di $), Cina (500.000 $), Thailandia (100.000 $) e Filippine (50.000 $).
Ma il comportamento della giunta militare nell’emergenza umanitaria dà adito, ancora una volta, a sospetti e denunce.
La più grave arriva dal quotidiano Irrawaddy, che accusa il governo di voler minimizzare gli effetti del terremoto e addirittura di nascondere il numero delle vittime del sisma allo sguardo dei media occidentali. All’ospedale di Tachilek, secondo la testimonianza di alcuni reporter, centinaia di feriti sarebbero stati “trasferiti” dalle autorità locali tra sabato 23 e domenica 24 dopo l’arrivo dei giornalisti.
Una conferma ancor più palese di questo atteggiamento è l’edizione del 27 marzo del quotidiano di Stato, il New Light of Myanmar. Mentre in prima pagina troneggia il discorso tenuto dal generalissimo Than Shwe nella giornata delle forze armate, accanto ad un reportage sul messaggio di felicitazioni inviato dal rappresentate della giunta al Bangladesh in occasione dell’anniversario della sua indipendenza, le notizie relative al terremoto sono riportate nelle pagine di fondo.
D’altronde è palese che, come già successo nel 2008, quando la Birmania fu colpita dal ciclone Nargis, la giunta militare stia utilizzando la tragedia umanitaria per lanciare una campagna di propaganda e vendere ai media occidentali la propria immagine di zelante soccorritore.
Ciò che i mezzi di informazione governativi continuano a fare è trasmettere immagini dei generali in visita nelle zone colpite dal terremoto; contemporaneamente, in apparenza per ragioni di sicurezza, nelle stesse aree è stato vietato l’accesso ai reporter locali indipendenti e a quelli stranieri.
Il giorno successivo al terremoto i giornali controllati dalla giunta hanno riportato che il sisma ha causato 73 morti. Nessuno tra i media di Stato ha successivamente provveduto ad aggiornare le informazioni relative alle vittime o ai sopravvissuti, né vi è stato interesse da parte delle agenzie internazionali ad approfondire o a consultare fonti di informazione indipendenti.
A molte famiglie che vivono nelle zone colpite più isolate - riporta l’Irrawaddy - non è dato conoscere la sorte dei propri cari.
Le agenzie indipendenti non possono che affidarsi a mezzi dettati dalla propria creatività per reperire informazioni attendibili: basarsi sul commercio di bare della città di Tarlay è uno di questi.
Dal 25 al 29 marzo sono state venduti più di 200 pezzi.
* Free Burma Italy