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Articolo 21 - ESTERI
Ai Weiwei e la repressione cinese
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di Chen Xinxin

Ai Weiwei e la repressione cinese Implacabili, le autorità cinesi rafforzano la stretta sui dissidenti. E alzano il tiro. Nel mirino è finito, di nuovo, Ai Weiwei, l’artista cinese di fama internazionale che ha contribuito alla realizzazione del futuristico Nido d’Uccello, lo stadio di Pechino costruito per le Olimpiadi. Il Partito-Stato si conferma, agli occhi del mondo, incapace di trovare una nuova via per rispondere al dissenso, mentre osserva, preoccupato, l’evolversi delle rivolte contro governi autoritari in Medio Oriente e Nord Africa. E senza troppi timori seguita lungo la strada di quella che viene considerata la più dura ondata di repressione dai fatti di Tian’anmen.

Noto per le sue battaglie contro il governo di Pechino, Ai è stato fermato oggi dalla polizia nell’aeroporto della capitale, prima che riuscisse a imbarcarsi su un volo diretto a Hong Kong. La notizia è trapelata attraverso Twitter e ha fatto subito il giro del mondo. Intanto gli agenti sono arrivati, con le solite “buone maniere”, nel suo studio di Pechino e sono stati fermati anche alcuni collaboratori dell’artista, che aveva appena annunciato di voler aprire uno studio in Germania per sfuggire alle ritorsioni cinesi.

Ai è da tempo oggetto di intimidazioni da parte dei vertici del potere cinese, che non tollera il dissenso. Nel 2008, si era scontrato con le autorità annunciando il boicottaggio della cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici e aveva lavorato per smascherare il tentativo di copertura della strage di piccoli scolari nel devastante terremoto del Sichuan. Picchiato e minacciato, lo scorso anno era stato costretto per tre giorni agli arresti domiciliari. A gennaio le autorità hanno demolito il suo nuovo studio di Shanghai. Poi è stata annullata una sua mostra prevista nella capitale, perché giudicata non adeguata in un periodo delicato per la Repubblica Popolare.

L’artista, che ha spesso denunciato la mancanza di libertà d’espressione in Cina, il blocco della circolazione di informazioni, lo scorso anno in un’intervista a Repubblica, parlava di un sistema in cui «la giustizia dipende dalla violenza del potere», accusando l’Occidente di «aver rinunciato a richiamare Pechino al rispetto dei valori fondamentali per paura di perdere qualche affare» e di essere complice della «durata» e della «crescita» di un governo autoritario come quello di Pechino.

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