di Redazione
Uscirà a metà maggio “Caos arabo”, un libro di inchieste scritte da giornalisti arabi sull’Iraq, il Libano, la Giordania, la Siria, i Territori Palestinesi, l’Egitto. Inchieste sull’abbandono dei profughi, sulla censura, sulla corruzione, sull’abuso di potere, sul razzismo, sull’infanzia abbandonata, sul lavoro minorile, sulla mancanza di tutele dei lavoratori, sull’oppressione delle minoranze. Insomma una raccolta di inchieste arabe sui mali delle società arabe. Queste inchieste oltre a offrire una lettura di prima mano dei motivi delle rivolte in atto, indicano anche chi le ha alimentate, chi ha creato uno spazio comune arabo contro i totalitarismi. Nell’introduzione il curatore del libro, Riccardo Cristiano, ha scritto: “Il mondo arabo suscita da decenni passioni forti, ma sono soprattutto passioni contro. I più sono prima di tutto contro i terroristi islamici e tanti ne fanno derivare odio o disprezzo per la religione alla quale essi si ispirano; altri invece sono prima di tutto contro l’imperialismo occidentale, e trovano nel Medio Oriente il miglior modo per detestare gli americani e i loro alleati. Così quel mondo, così vicino, così importante per le cronache e le passioni che alimenta, non riesce a esprimere un solo simbolo positivo capace di entrare nel nostro immaginario collettivo; non un vocabolo, una pietanza, una canzone... Non c’è riuscito neanche un martire della libertà come Samir Kassir, assassinato dai soliti ‘ignoti’ sicari di cui si servono i regimi per zittire i più efficaci avvocati della democrazia.
Ecco perché quando abbiamo saputo che un terzo della popolazione libanese era scesa in piazza con lui contro la dominazione siriana nel nome di haqiqa (verità) e hurriyya (libertà) nel marzo del 2005 e che poche settimane dopo ‘ignoti’ sicari di regime lo avevano assassinato, non abbiamo voluto capire. Perché per vedere ci sarebbe voluta passione «per». Togliendosi i paraocchi sarebbe stato possibile già allora capire che era cominciata la nuova battaglia araba, quella per la verità e la libertà. Togliendosi i paraocchi si sarebbe cominciato già allora a scrutare dietro questi vocaboli, come si fece dietro alla glasnost e alla perestrojka, ai tempi di Gorbaciov. Ma non è stato così; presi dalle nostre passioni «contro» non ci abbiamo creduto, o non abbiamo voluto crederci. Fino al giorno in cui la storia ci ha obbligato a guardarla in faccia: tutti increduli, alcuni sgomenti.
Samir Kassir era un arabo, un giornalista, un politico, un professore, un saggista, un cristiano di rito ortodosso, un laico. Ma tutto questo non basta a capire chi fosse. Se fosse stato europeo ne avremmo parlato come di un progressista. E certa- mente lo era, ha anche fondato il Partito della Sinistra democratica. Ma siccome non era europeo ma figlio di un mondo nel quale la politica è stata disumanizzata, la parola migliore per definirlo è «umanista»; e penso che avrebbe tenuto molto a dire che questo termine si può tradurre con un vocabolo compiutamente arabo, nahdawi, letteralmente «uomo della rinascita»: una rinascita che i regimi non vogliono. Per questo è stato assassinato, per aver mobilitato tanti arabi nel nome della libertà dai regimi, dal colonialismo e, non certo da ultimo, dal terrorismo. Davvero, è andata proprio così! Un giornalista, un intellettuale, un uomo disarmato sapeva mobilitare tantissima gente nel nome della Primavera: una Primavera araba, simile alla Primavera di Praga.
La sua opera da noi è conosciuta come quella di tanti altri intellettuali di qualità. Eppure non è così che stanno le cose: l’o- pera di Samir Kassir non è solo racchiusa negli scaffali delle libre- rie di Beirut, o degli studiosi di tante altre città, il suo lavoro è proseguito in tutto il mondo arabo, nel lavoro di tanti, alcuni molto giovani, che hanno combattuto e combattono quotidiana- mente la grande battaglia del XXI secolo per la hurriyya, la libertà. Da anni scrivono come possono, in un mondo dove i regimi hanno occupato tutti gli spazi e lasciato solo piccole feritoie. Kassir è certamente uno dei simboli e degli ispiratori di questa protesta, rivolta o rivoluzione che sia, uno di quelli che ha saputo avviarla quando ancora non si erano diffusi i social network, e molti di coloro che oggi ispirano la rivolta araba grazie alle nuove tecnologie hanno imparato da lui ad alzare la voce, a disubbidire, a dissentire. Tra di loro ci sono anche gli autori delle inchieste qui raccolte. ”
Proprio Samir Kassir alimentò quella “Dichiarazione di Damasco” che è stata firmata da numerosi dissidenti siriani, arrestati per questo, e considerata l’atto di nascita del movimento di opposizione nella Siria degli Assad. Un’opposizione che proprio in queste settimane sta dimostrando tutta l’enormità dell’oppressione cui il popolo siriano è stato sottoposto per quarant’anni.
Molti degli articoli pubblicati in questo libro hanno vinto proprio il premio giornalistico Samir Kassir, istituito dall’Unione Europea e dalla Fondazione Samir Kassir. E per gentile concessione dell’editore pubblichiamo proprio una delle denunce scritte da un giornalista siriano e pubblicata dalla Fondazione Samir Kassir. Un’inchiesta di drammatica attualità, che apre il volume.
Il libro viene presentato oggi mercoledì 4 maggio alle 17.00, presso la FNSI, a un dibattito sul tema: “Il coraggio dei giornalisti all’origine delle rivolte in Medio Oriente?” Interverranno Roberto Natale, presidente FNSI, Corradino Mineo, direttore di Rainews 24, Erfan Rashid, giornalista dell’Agi, Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa da Beirut.