Articolo 21 - ESTERI
L'anno di Erdogan
di Riccardo Cristiano
I sondaggi parlano chiaro. Ancora nel 2009 Erdogan erano allo zero per cento negli indici di popolarità tra gli arabi. Ora il suo rating è altissimo, è lui il leader più amato dal 20% degli arabi, per alcuni istituti anche di più. Erdogan si è costruito questo successo con una politica costruita sul coraggio. Quando è scoppiata la primavera araba ha capito che la sua strategia, "zero problem" con i vicini, doveva andare in soffitta. E' stato il primo leader del mondo islamico a chiedere a Mubarak di fare le valigie, e altrettanto ha fatto con Bashar al-Assad, dopo che questi non ha avuto il coraggio di seguire i suoi consigli e varare le riforme democratiche. Erdogan, per un certo periodo, è stato il modello dei sogni di Bashar. Come il premier turco, anche il giovanotto di Damasco sognava di aprire a oriente e occidente, di costruire un'economia capace di sfruttare le opportunità e rispondere alle sfide dell'economia globalizzata.
Solo che Erdogan quella strada l'ha seguita per davvero, costruendo ceti medi e aprendo il suo spazio interno agli investimenti europei, soprattutto dopo la firma del trattato di libero scambio con l'UE. Bashar invece ha puntato su un modello cinese nel quale l'accento invece che sull'impresa economica è rimasto sul dispotismo politico, e infatti quando l'Unione Europea gli ha proposto la firma del trattato associativo si è tirato indietro.
Una grossa mano a Bashar l'ha data, tra il 2008 e il 2009, proprio Erdogan, con la frima di oltre 50 protocolli bilaterali che hanno portato grandi investimenti turchi in Siria, addirittura più del 50% del grande hub di Aleppo. Ma quando è scoppiata la primavera araba le strade dei due leader si sono divise. Bashar ha preferito umiliare l'amico turco, promettergli le riforme e varare di contro la peggiore repressione. E' stato allora che Erdogan ha rotto frontalmente con il despota damasceno. In un momento in cui il regime siriano sembrava ai più solido e destinato a durare la scelta del leader turco è stata tanto azzardata quanto politica e coraggiosa; indubbiamente ha scommesso sulla primavera.
Da allora Ankara ospita leader dell'opposizione, dirigenti di quella Fratellanza Musulmana che l'ambasciatore siriano a Ankara ha definito "l'equivalente per noi di quel che per voi turchi è il Pkk."
i destini del leader turco e della primavera da allora in avanti si sono sempre più intrecciati e a questo punto Erdogan e Bashar sono i veri nemici. La sconfitta del raiss siriano è la vittoria del premier turco. La prospettiva che lui offre al mondo arabo è un'influenza "di democrazia propulsiva economicamente moderna" che si espanderebbe rapidamente alla Giordania e al Libano, creando un blocco Turchia, Siria, Libano, Giordania che sarebbe capace di dare un nuovo volto ai Fratelli Musulmani e a tutto il mondo arabo. Dietro questo disegno, dietro questa prospettiva, si vede anche la sconfitta politica dell'egemonia inseguita dagli iraniani (l'ideale contrappeso per la destra israeliana) e una sfida all'Arabia Saudita, il colosso sunnita che non ha mai saputo creare un modello di sviluppo, solo una gestione feudale della sua rendita petrolifera.
Ecco perché se il 2012 sarà l'anno di Erdogan sarà anche l'anno di nuova possibilità per la politica araba.
Solo che Erdogan quella strada l'ha seguita per davvero, costruendo ceti medi e aprendo il suo spazio interno agli investimenti europei, soprattutto dopo la firma del trattato di libero scambio con l'UE. Bashar invece ha puntato su un modello cinese nel quale l'accento invece che sull'impresa economica è rimasto sul dispotismo politico, e infatti quando l'Unione Europea gli ha proposto la firma del trattato associativo si è tirato indietro.
Una grossa mano a Bashar l'ha data, tra il 2008 e il 2009, proprio Erdogan, con la frima di oltre 50 protocolli bilaterali che hanno portato grandi investimenti turchi in Siria, addirittura più del 50% del grande hub di Aleppo. Ma quando è scoppiata la primavera araba le strade dei due leader si sono divise. Bashar ha preferito umiliare l'amico turco, promettergli le riforme e varare di contro la peggiore repressione. E' stato allora che Erdogan ha rotto frontalmente con il despota damasceno. In un momento in cui il regime siriano sembrava ai più solido e destinato a durare la scelta del leader turco è stata tanto azzardata quanto politica e coraggiosa; indubbiamente ha scommesso sulla primavera.
Da allora Ankara ospita leader dell'opposizione, dirigenti di quella Fratellanza Musulmana che l'ambasciatore siriano a Ankara ha definito "l'equivalente per noi di quel che per voi turchi è il Pkk."
i destini del leader turco e della primavera da allora in avanti si sono sempre più intrecciati e a questo punto Erdogan e Bashar sono i veri nemici. La sconfitta del raiss siriano è la vittoria del premier turco. La prospettiva che lui offre al mondo arabo è un'influenza "di democrazia propulsiva economicamente moderna" che si espanderebbe rapidamente alla Giordania e al Libano, creando un blocco Turchia, Siria, Libano, Giordania che sarebbe capace di dare un nuovo volto ai Fratelli Musulmani e a tutto il mondo arabo. Dietro questo disegno, dietro questa prospettiva, si vede anche la sconfitta politica dell'egemonia inseguita dagli iraniani (l'ideale contrappeso per la destra israeliana) e una sfida all'Arabia Saudita, il colosso sunnita che non ha mai saputo creare un modello di sviluppo, solo una gestione feudale della sua rendita petrolifera.
Ecco perché se il 2012 sarà l'anno di Erdogan sarà anche l'anno di nuova possibilità per la politica araba.
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