di Paola Barbati*
La tv recita la lunga lista dei magistrati uccisi dal terrorismo. Una lista terribile di sangue che ha segnato gli anni che vanno dalla fine degli anni ’60 ai primi anni ‘80, tra attentati (da piazza Fontana a via dei Georgofili, dall’Italicus alla stazione di Bologna) ed esecuzioni sommarie portate a termine spesso in strada, davanti agli occhi di mogli e figli delle vittime.
Molti sono stati , in quegli anni, i processi, durante i quali abbiamo ascoltato in aula i proclami letti dai terroristi, che affermano di non riconoscere i tribunali e di non accettare i verdetti dei magistrati, considerati rappresentanti di uno stato autoritario e non di diritto, una lobby potente e inattaccabile che vessa i cittadini a suo piacimento.
Finiti gli anni di piombo dobbiamo arrivare ai nostri giorni per ritrovare le stesse parole di spregio nei confronti della magistratura, lo stesso violento rifiuto a sottomettersi al giudizio. Frasi come “brigatismo giudiziario”, “I magistrati sono dei pazzi per natura altrimenti non avrebbero scelto di fare questo lavoro”,” geneticamente sono tarati non appartengono alla razza umana”, “cancro della democrazia “, “comunisti” solo per citarne alcune, frasi così, rivolte ai magistrati non le avevamo mai sentite prima: ce ne fa omaggio ora la seconda autorità dello stato: il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Non si rivolge a tutti i magistrati ovviamente, forse intuendo che neppure un personaggio come lui, che tutto si permette, può toccare chi per lo stato ha perso la vita, oggi compie anche dei distinguo: i magistrati morti, uccisi dalle brigate rosse sono stati degli eroi, quelli che indagano sui suoi affari e magari riscontrano dei reati e perfino indicono dei processi a cui lo vorrebbero presente, sono dei comunisti, pericolosi per la democrazia, delle metastasi, un’associazione a delinquere.
Sono parole che coloro che gli anni del terrorismo li hanno vissuti non possono accogliere senza un senso di disgusto e un brivido di terrore: perché le stesse parole e lo stesso disprezzo e insofferenza per la legge e la democrazia che vibrava nei proclami degli eversori riecheggia ora nelle parole di chi lo Stato lo rappresenta. E viene naturale chiedersi chi è oggi l’Eversore?
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