di Alberto Spampinato*
La libertà di stampa non è del tutto libera in Italia, per il conflitto d’interessi del premier, per la concentrazione della proprietà dei media in poche mani, per il diffondersi di pretestuose citazioni per danni per importi astronomici contro chi scrive cose sgradite. La libertà di stampa è ancora meno libera, molto meno libera, nei territori in cui le mafie sono più radicate ed esercitano un potere diffuso: in questa parte d'Italia può essere molto rischioso trattare le notizie ''scomode'', in particolare quelle che coinvolgono affari in corso fra criminalità, politica e mondo economico.
Le notizie scomode sono notizie come le altre, tranne per un fatto: i protagonisti vogliono tenerle segrete, perché certi affari ce stanno conducendo possono svolgersi solo nel buio informativo. Perciò esercitano pressioni sui giornali e sui giornalisti, lanciano avvertimenti, pretendono l'auto-censura, la impongono con intimidazioni e minacce. L’auto-censura è molto diffusa. Consiste nel tacere una notizia sgradita, potenzialmente pericolosa. E’ come il pizzo che molti commercianti e imprese pagano per quieto vivere, come una assicurazione contro spiacevoli sorprese. Da loro, il racket pretende soldi. Dai giornalisti pretende che tacciano notizie che avrebbero il dovere di comunicare all’opinione pubblica. E’ il “pizzo di carta” che molti pagano e che ha un grave effetto sociale: l’oscuramento di importanti informazioni. Molti lo pagano per quieto vivere, per prevenire rischi. Altri lo pagano a fronte di gravi minacce. Qualcuno si rifiuta di cucirsi la bocca e subisce ritorsioni, danneggiamenti, minacce di morte…
Accade spesso. Molto spesso E' un grave problema sociale. Un problema che non si sa come risolvere e anche per questo motivo è stato rimosso, è taciuto, addirittura negato. “Per fortuna da noi queste cose non accadono”, mi dicono molti giornalisti di varie parti d’Italia quando parlo del nostro osservatorio “Ossigeno per l’informazione” che si occupa dei cronisti minacciati e delle notizie oscurate con la violenza. Me lo dicono onesti giornalisti, persone perbene sulla cui buona fede sarei pronto a giurare. Non tutti vedono queste cose. E’ come andare per i campi a raccogliere verdure selvatiche commestibili: se non conosci la portulaca oleracea, il tarassaco, la cicoria o le loro varianti regionali, non ne trovi neanche una piantina, anche se nel campo che stai attraversando ne cresce in quantità. Perciò, aggiungo, abbiamo creato il nostro osservatorio promosso dalla FNSI e dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti, e andiamo in giro a parlare di queste cose: per aiutare a riconoscere le verdure che crescono sotto i suoi piedi a chi pensa che, invece, crescano in luoghi lontani, in società e in climi molto diversi dai nostri.
Il secondo obiettivo di Ossigeno è di aiutare a parlare di queste cose apertamente, a ragion veduta e senza pregiudizi, fra giornalisti e cittadini che difendono il diritto di essere informati. Bisogna parlare di queste cose. Bisogna discutere di tutti i casi di censura e di soppressione del diritto di essere informati. Invece non se ne parla. Ci sono giornalisti minacciati, intimiditi, emarginati, costretti a tacere con la violenza o con l'uso improprio di azioni giudiziarie e citazioni per danni, e non se ne parla. Le loro storie sono ignorate. Per effetto di questa ignoranza, i minacciati non hanno la visibilità che in questi casi è la miglior corazza. A volte non hanno neppure la solidarietà formale che dovrebbe essere scontata e che aiuta a difendersi dai soprusi. Molti giornalisti intimiditi o gravemente minacciati vivono una condizione assurda, di isolamento e di emarginazione, che non ha giustificazione.
Sto ancora cercando la ragione di questo crudele disinteresse. Certamente è la conseguenza di un problema sociale e morale più grande: la negazione del fenomeno nei termini generali. Poiché i minacciati sono la dimostrazione vivente di un fenomeno che, dichiaratamente, a dire di molti, non esiste, essi diventano “invisibili”, per usare la stessa parola che ha usato l’8 dicembre scorso Benedetto XVI a propositi di altri esseri umani che sono visibili per i media solo se i loro corpi o le loro vite diventano spettacolo. Fra il giornalista minacciato e gli altri che lo ignorano si realizza una relazione che nella teoria del linguaggio si chiama disconferma: ignorando il suo dramma, gli altri gli dicono: “Tu non esisti”.
Soffermiamoci sulla relazione fra il giornalista minacciato e il mondo dell’informazione che lo ignora e chiediamoci: può un giornale, o un organismo di categoria, occuparsi seriamente di un giornalista minacciato che non esiste? Può occuparsene senza ammettere che esiste e che non è il solo ad essere minacciato; che come lui ce ne sono tanti altri che vivono la stessa condizione (noi nel Rapporto 2009 ne abbiamo contati 200 nel triennio 2006-2008) e che il suo caso configura un problema più grande del quale non si è mai parlato e del quale non si ha voglia di parlare? E’ evidente che è più semplice, e più comodo, continuare a non parlarne. Ma non è giusto, e non è neppure saggio. Perché il fenomeno, lasciato a sé stesso, si propaga, si estende, si fa prassi, e viene il momento che la cronaca costringe un giornale a parlarne. Di solito accade quando il minacciato è un personaggio noto, dotato di visibilità pubblica; o quando nel mirino entra un giornalista di quel giornale. Anche in questi casi, si stende un cordone di sicurezza. Si parla solo di quel singolo caso, isolando il caso dal contesto. Ogni giornale parla solo del suo minacciato ed, eventualmente, di altri minacciati riconducibili al giornale che se ne occupa.
Noi abbiamo deciso di occuparci di questo problema che dichiaratamente in Italia non esiste. Invece all’estero il caso italiano esiste, eccome, e fa discutere. Quest’anno ha provocato un declassamento dell’Italia nelle graduatorie internazionali dei più autorevoli osservatori che misurano la libertà di stampa nel mondo.
Noi vogliamo raccogliere tutte le tessere e ricomporre il mosaico. L’osservatorio Ossigeno è nato nel 2008 proprio con l’ambizione di colmare questa lacuna, per interrompere il meccanismo della disconferma, per dire a tutte queste vittime che esistono nonostante la società e le istituzioni non si accorgono di loro Per dire a loro, e a coloro che avvertono questo problema, che hanno almeno un punto di riferimento per sviluppare un’indagine e una riflessione e porre in nome collettivo alcuni problemi dell’informazione giornalistica che non hanno finora trovato ascolto.
*consigliere nazionale della FNSI e direttore di “Ossigeno per l’informazione” osservatorio FNSI-Ordine dei Giornalisti