di Santo Della Volpe
La Rai rispecchia sempre la Cultura dominante ed emergente del nostro Paese, nel bene e nel male: sia per i legami con la politica, che porta questa grande azienda ad anticipare e sperimentare gli assetti politici nuovi o consolidati, sia per la vastità dell’arco di proposta culturale, che ci fa sempre cogliere il Nuovo, anche se poi rischia di perdere il “vento” perché le novità possono soccombere di fronte ai legami con il governo, ancor più fortificati dalla pessima legge Gasparri.
E di fronte ai risultati elettorali e soprattutto del Referendum, la Rai dimostra questa sua caratteristica: di nuovo è al centro delle scosse telluriche,pur avendone sentito in anticipo l’arrivo e l’importanza.
Tutto è cominciato nell’autunno scorso: Rai3 aveva capito che si era messo in moto qualcosa di profondo nella società italiana. Semplicemente una generazione si era affacciata alla maturità del pensiero, avendo vissuto sempre con Berlusconi in TV e quasi sempre a Palazzo Chigi; e cercava nuovi punti di riferimento. La ribellione giovanile, sempre esistita e sempre sacrosanta, cercava sé stessa e persone che la rappresentassero. Le cercava in libreria, su Facebook, su Internet. Scambiava indirizzi e richieste di amicizia,più o meno virtuali, tra banchi di scuola, musiche, film e libri, facendo di colpo apparire vecchio quel mondo che ogni giorno veniva rappresentato in televisione, anche quei fumetti che tanto li avevano appassionati qualche anno prima, da pre-adolescenti. Ed il bunga-bunga faceva diventare di colpo vecchio e bavoso,quello che aveva cercato di essere il loro nonno televisivo, sin da quando erano piccoli. Era un mondo alla ricerca di conferme e di consapevolezza, di Falcone e di Ilaria Alpi, di un futuro che appariva incerto e che giorno dopo giorno diventava sempre più chiuso. Sbocchi lavorativi zero, scuola contenitore e non formazione, tagli alla conoscenza , sperimentazione impossibile, unico sbocco all’estero ed infine, altri tagli finanziari al mondo della cultura, alla possibilità di fare anche un film tra amici da presentare ad un festival minore .Orizzonti per la creatività chiusi e spezzati dal governo,il cui “nonno” appariva non solo inadatto a creare un futuro per le nuove generazioni,ma diventava sempre di più ostacolo. Un vecchio però che di mettersi da parte non ci pensava proprio. Anzi: mandava la polizia in piazza contro le proteste, con il suo ministro che diceva in pubblico “con la cultura non si mangia”; che lasciava i lavoratori in lotta chiusi all’Asinara, i ricercatori sui tetti ed in Tv ripeteva che tutto andava bene e che la crisi non esisteva. Bastava aprire il computer sui nuovi social network per capire che invece nel mondo dei giovani, circolavano ben altre considerazioni e ragionamenti.
Ebbene la RAI con Saviano e Fazio, “Vieni via con me”, hanno saputo cogliere questo mondo; in quella occasione si è visto emergere dal mondo virtuale di Internet una massa di 9 milioni di persone che ha seguito con passione una trasmissione “Cult”, non per pochi, ma per una fetta sempre più grande del Paese. La Rai ha saputo ha saputo chiamare davanti al piccolo schermo 3 milioni di persone che non vedevano più la televisione,più altri 4 milioni che si sintonizzavano su altri canali, perché ha affondato la propria creatività semplicemente nella rappresentazione di una realtà in formazione: facendola vedere e contemporaneamente aiutandola a prendere forma e coscienza: con i dialoghi ed i monologhi, le scalette recitate dalla ricercatrice sui tetti o dall’operaio in cassa integrazione, da Benigni come dal giovane precario, da Bersani e da Fini, legando politica e società in fermento, facendo apparire persino goffa e maldestra la presenza del leghista Maroni, ottenuta con minacce più o meno velate. Ma non conta più questo: conta che la RAI c’era, che è riuscita ad essere azienda culturale. Chi al governo capisce di televisione (eccome se ne capisce!!) ha sùbito fiutato l’evento: e lo ha percepito come pericolo, ottenendo che simili trasmissioni non si facessero più (sinora almeno..), piegando la Rai al ruolo di vassallo sciocco, rappresentatrice di realtà fittizie. Ma appena Ballarò o Anno Zero o Presa Diretta facevano vedere quel che dentro la società italiana si muoveva e fermentava,gli ascolti schizzavano verso l’alto mentre il governo gridava all’insulto politico,incapace di capire che se ne fai tacere i protagonisti in TV, non per questo essi spariscono dai media, oggi forti e ramificati nei percorsi alternativi dei Social Network, emergendo poi nelle piazze piene del “Se non ora quando” delle donne a febbraio o nella sorprendente manifestazione per la Costituzione del 12 marzo a Roma, sorretta e lanciata da migliaia di giovani insieme ai Bisio e Cortellesi.
Per questo oggi la RAI è terreno di contesa ma è ancora più è in pericolo: perché il problema RAI è quello di una azienda che ha tutte le possibilità, capacità e potenzialità di far vedere e di leggere la realtà di questo paese. E per questo viene vista come un pericolo da chi ha una lettura di solo potere rappresentativo della televisione, cioè di un pianeta “dove esiste solo quello che si fa vedere in TV e che dal modo con cui si fa vedere, discende il potere politico di chi governa”. L’informazione e la comunicazione (come le regole indipendenti ,la magistratura non controllata e non strumento piduista delle veline di palazzo) diventano nemiche perché esistono e fanno il minimo del loro mestiere:per la Rai significa cogliere le novità, farle emergere dai sottosuoli, rilanciando e riproponendo ciò che ,peraltro, già esiste nella realtà. Nella morsa finale di un sistema di potere basato su quello costruzione di una rappresentazione continua e fittizia della realtà di proprio conio,la RAI rischia di finire male: perché non è possibile accettare in silenzio che il TG1 scenda al 21% di spettatori, quando solo tre - quattro anni fa scendere sotto il 30% di spettatori era considerato un pericolo per l’azienda. Perché al governo Berlusconi massacrare la RAI significa far sparire dal video gli unici che posso far vedere quel che succede veramente in Italia e cioè la marea montante contro la sua politica ed il suo potere . E quindi vuole evitare di far emergere questi contenuti semplicemente cercando di vietare certe trasmissioni (vedi Rai3) che , se non esistessero, gli farebbero due favori; niente notizie reali e abbassamento del numero di spettatori, che inevitabilmente porterebbero alla RAI alla crisi e la sua azienda personale in ottima salute (com’è che Mediaset perde ascolti ma aumenta il fatturato?).
Il vero problema della RAI oggi è il pericolo di avere sempre meno spettatori, una crisi strisciante che diventerebbe strutturale e rischia di portare l’azienda al collasso finanziario, pur essendo ancora oggi l’azienda culturale più importante del Paese. Per questo il messaggio che oggi dobbiamo lanciare ai giovani , a chi si sta mobilitando per il cambiamento sociale e politico è uno solo: unire le forze per difendere la Rai in quanto servizio pubblico, difendere il canone chiedendo di far emergere in RAI chi vuole leggere la realtà, chi vuole fare veramente informazione e comunicazione,intrattenimento intelligente e approfondimento culturale. Chiedere che sia garantita la messa in onda dei programmi più amati dal pubblico, in libertà e piena disponibilità di mezzi, aumentando così anche la raccolta pubblicitaria,oltre che onorando il canone. Salvaguardare perciò la raccolta pubblicitaria per portare risorse che siano indirizzate a far aumentare il pluralismo informativo (e quindi gli spettatori) e ad adeguare tecnologicamente l’azienda nell’era digitale (di fronte alla quale siamo ancora indietro).
Da parte nostra, come dipendenti e giornalisti Rai, non possiamo che aprire gli occhi, vedere e fare: la schiena dritta sempre, ma anche muoversi. Perché di fonte ad una Rai invasa e che si vorrebbe ancora più occupare con farfalline e farfallini, l’unica risposta è il rilancio della nostra capacità professionale e la difesa così del nostro posto di lavoro. Non c’è altra strada: con la Resistenza,ricordiamocelo, ci fu la difesa e l’occupazione delle fabbriche. Per noi ,oltre la resistenza, c’è l’affermazione ed il rilancio del nostro ruolo di informazione pulita,; che sappiamo fare. Ce la devono lasciar fare, dobbiamo chiederlo ed ottenerlo,con la nostra forte mobilitazione, anche appoggiandoci all’esterno con chi ce la chiede; per noi e soprattutto per motivi aziendali. Perché portiamo pubblico, spettatori e soldi nelle casse aziendali. Non c’è altra strada: altrimenti il rischio è che noi si grida verso l’alto,mentre ci tolgono la fabbrica delle idee da sotto i piedi. Un giorno ,mentre noi parliamo passeggiando nei vialetti o nei corridoi, potremmo non trovare più la RAI a Saxa Rubra ma in tribunale, sezione fallimentare.
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