di Vito Lo Monaco*
La proposta governativa di decreto legislativo sul Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione mette in soffitta la legge Rognoni-La Torre. Essa, anche per questo, va modificata e integrata. Lo affermano in un appello al Parlamento e al Governo quanti hanno accolto l’invito del Centro studi Pio La Torre al convegno di giovedì 7 luglio, tenutosi a Roma a Palazzo Marini della Camera dei Deputati.
Anm, Arci, Articolo21, Centro Pio La Torre, CGIL, Confindustria, Gruppo Abele, Legacoop, Libera associazioni, nomi e numeri contro le mafie - assieme a tanti esperti del diritto della criminalità organizzata, temono un indebolimento della legislazione antimafia. Timore rafforzato dalla notizia di un’altra iniziativa del Governo tesa ad “alleggerire” il 41 bis, consentendo a pericolosi capimafia di uscirne. Nel frattempo, il Parlamento è impegnato a pronunciarsi sulle autorizzazione a procedere contro propri membri imputati di gravi fatti di corruzione, un ministro della Repubblica è imputato di concorso esterno alla mafia, mentre si susseguono le ricorrenze dei grandi delitti e stragi politico mafiosi: in Aprile scorso quella dell’uccisione di La Torre e Di Salvo, a maggio quella della strage di Capaci, il prossimo 19 luglio quella di via D’Amelio, in agosto Chinnici e a settembre Dalla Chiesa.
Oltre la coltre fumosa della retorica antimafia, rimane la preoccupata attesa dell’opinione pubblica, e di quanti sono impegnati nello Stato e nella società civile nel contrasto alla mafia, di conoscere verità storica e giustizia terrena sul rapporto politica-mafia-affari. Schizza da tutti i fatti di sangue più gravi della nostra storia repubblicana che la giustizia, quando è stato possibile, è riuscita a colpire solo esecutori e mandanti mafiosi, mai quelli politici. All’azione più incisiva contro la criminalità organizzata ha dato un grande contributo, riconosciuto storicamente, la legge Rognoni-La Torre, approvata nel 1982 solo dopo l’uccisione dello stesso La Torre e successivamente del prefetto Dalla Chiesa. Quella legge, introducendo nel Codice Penale il 416 bis ha segnato la svolta, dall’Unità, dello Stato contro la mafia, tipizzando il reato di associazione mafiosa, definendo reato penale il rapporto mafia-politica, rendendo obbligatoria la confisca dei beni illecitamente accumulati dai mafiosi. Essa ha dato gli strumenti giuridici ai Chinnici, Falcone, Borsellino per istruire il maxiprocesso, passato alla storia dei processi di mafia come il primo concluso con condanne confermate definitivamente. Il Codice Antimafia presentato dal Governo, se non corretto, segnerebbe un passo indietro nel contrasto concreto alla criminalità organizzata quale braccio operativo illegale di una parte del Potere.
Le forze politiche e parlamentari di maggioranza e opposizione raccolgano l’appello, ascoltino le varie voci dell’antimafia sociale e istituzionale. I mass media trasmettano con chiarezza il pericolo che corre non solo la legislazione antimafia, ma l’intero sistema democratico, accantonando quanto è stato fatto a prezzo di molto sangue innocente. Con l’attuale decreto legislativo ritorna lo spauracchio della vendita dei beni confiscati e la rinuncia alla loro restituzione alla società, inoltre,non sono previste le nuove fattispecie di reati delle attività, anche transnazionali, mafiose, dall’autoriciclaggio all’immigrazione a quelli ambientali.
Il Codice Antimafia, che da tempo sollecitiamo, deve far fare un grande salto in avanti al contrasto alla mafia e alle sue reti transnazionali e spezzare definitivamente il cordone ombelicale che lega una parte della classe dirigente tramite gli affari alla mafia.
*presidente Centro La Torre