di Domenico Gallo
Con tutto il rispetto dovuto al Presidente della Repubblica, che interpreta l’unica istituzione del circuito politico-rappresentativo non controllata da Berlusconi e che, nello svolgimento della sua funzione, ogni giorno, deve fronteggiare le pulsioni selvagge verso la dittatura della maggioranza, non possiamo accettare che attraverso le parole autorevoli del Presidente (ed in larga parte condivisibili) si continui ad accreditare la vulgata di uno scontro fra “politica” e toghe, che nella realtà non esiste. Occorre dire in modo chiaro e tondo che non esiste alcuno scontro fra politica e toghe. Esiste solo nella fiction, nella narrazione berlusconiana di un immaginario Paese dei balocchi, guidato da un Sovrano intemerato, novello San Giorgio, che ha salvato l’Italia dal comunismo ed adesso è insidiato dal drago dei magistrati-comunisti che brandiscono il codice per annientare gli effetti del voto.
Esiste, invece, ed è sotto gli occhi di tutti, da quando è iniziato il Berlusconismo, una intollerabile aggressione alla magistratura da parte degli uomini del potere politico, amplificata e resa più virulenta dai media a loro asserviti, che mira ad intimidire i magistrati che esercitano il controllo di legalità (sia in campo civile che penale) nei confronti degli abusi compiuti dal Sovrano e dagli uomini della sua Corte.
La continua aggressione mediatica (e non solo) effettuata contro l’esercizio indipendente della giurisdizione, condotta in prima persona da Berlusconi e dai suoi cortigiani più influenti, non può essere divulgata come “scontro fra politica e magistratura”, espressione che evoca una rissa fra due opposte fazioni.
Non di rissa si tratta. Le parole hanno un loro peso e non possono essere usate a vanvera.
Le cose vanno chiamate con il loro nome.
La giurisdizione, effettuando il controllo di legalità, svolge una funzione istituzionale (e non politica), a presidio della con vivenza pacifica fra i cittadini, che postula anche il rispetto della legalità da parte di chi svolge funzioni pubbliche.
Se la polizia e la magistratura intervengono per sgominare una banda di trafficanti di droga, qualcuno si sognerebbe di qualificare questa situazione come uno scontro fra la giustizia ed il commercio? Oppure di qualificare la repressione dei reati fiscali operata dalla Guardia di Finanza come uno “scontro fra guardie e ladri”?
Si possono discutere e criticare le singole iniziative giudiziarie come si vuole e quanto si vuole, e del resto l’esercizio della giurisdizione, fino all’intervento della Cassazione è rivolto proprio a sottoporre ciascun provvedimento giudiziario ad un penetrante controllo di giustizia e legalità.
Ma non si può qualificare l’esercizio della giurisdizione come uno “scontro” contro qualcuno.
In realtà, continuando ad alimentare questa favole dello scontro fra politica e toghe, si fa un’opera di diseducazione popolare ai meccanismi dello Stato di diritto e si nasconde la sostanza del problema: che in Italia ha preso piede un ceto politico di governo che non accetta di essere sottoposto controllo di legalità e rivendica con arroganza l’impunità per gli uomini del regime, come avviene in ogni dittatura che si rispetti.