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Piccole storie dall'universo carcerario
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di Valter Vecellio

Piccole storie dall'universo carcerario Ci sono storie, piccole storie, che raccontano più di tante analisi e di tanti discorsi. Perché poi solo in apparenza sono piccole storie.
Andiamo a Massa, in Toscana. Nel carcere di Massa c’è un detenuto, si chiama Salvatore Iodice. Forse è colpevole, forse no, non importa saperlo. Il signor Iodice prima di essere incarcerato, in quel carcere ci viveva buona parte della sua giornata, perché ne era il direttore. Lo accusano di aver pilotato delle gare per la realizzazione di lavori proprio di quel carcere. Chissà. A noi interessa quello che dice: “Sono stato arrestato nel luglio 2010; ho vissuto in isolamento, in un ambiente angusto e malsano. In piena estate sotto il letto crescono i muschi. Ero guardato a vista 24 ore su 24, senza alcuna possibilità di socialità. Solo quando manca un mese dalla scarcerazione l’isolamento finisce. Per 20 giorni non ho potuto ricevere lettere, ho potuto chiamare casa dopo 30. A farmi compagnia tantissimi scarafaggi e insetti di ogni tipo. E ora se nessuno mi darà una spiegazione sarò portato a credere che la carcerazione sia stata usata come strumento di tortura. Ho subito una carcerazione umiliante e degradante, chi toglie la libertà ad una persona ha l’obbligo morale di garantire i diritti minimi. Ogni Pubblico Ministero sa che in quelle condizioni si dice il vero o il falso pur di uscire dalla disperazione. Mentre gli inquirenti acquistavano visibilità, io ero alla gogna”.

   Un’altra piccola storia. La racconta Salvo Fleres garante dei detenuti in Sicilia. La storia che racconta è quella di un detenuto, il signor Francesco Cardella. Anche in questo caso non sappiamo cos’abbia fatto il signor Cardella, e neppure interessa. Forse è innocente, forse no. Il signor Cardella ha praticamente perso tutta la famiglia in un incidente stradale. Proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto svolgersi un colloquio ha perso le due figliolette di 8 e 2 anni; la suocera, i cognati. Una strage. L’unica sopravvissuta è la compagna, ricoverata in ospedale a Palermo. Cardella, deve solo trascorrere altri tre mesi in carcere, chiede di poter essere trasferito a Palermo, per poter sostenere la sorella e appoggiarsi ai fratelli. Aspetta che la burocrazia prenda una decisione. Magari arriverà quando avrà finito di scontare la condanna.

   Terza piccola storia, riguarda uno dei sei Ospedali psichiatrici giudiziari italiani, uno tra i peggiori, quello di Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono strutture che non dovrebbero esserci, che dovrebbero essere state abolite. Ma ci sono, non sono state abolite. E in quelle strutture che sono carceri che non dovrebbero essere carceri ma luoghi di cura, sono detenute alcune migliaia di persone, alcune delle quali hanno commesso crimini orribili, ma che sono dichiarate incapaci di intendere e volere, e dunque andrebbero curate, assistite; e invece vivono come detenuti, condannati come detenuti.

   Ma occupiamoci di Barcellona Pozzo di Gotto. I senatori Ignazio Marino e Donatella Poretti, presidente e vice-presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale piombano senza preavviso in quell’ospedale psichiatrico giudiziario, ed effettuano una ricognizione dei reparti, da cui emerge, cito le loro parole, "l'elevata e drammatica criticità. Con una disponibilità di risorse sempre più esigua, la situazione resta preoccupante: oltre 360 pazienti-detenuti, locali che richiedono manutenzione urgente,  personale insufficiente”. E’ quello che succede un po’ ovunque. Ma solo in Sicilia accade che da tempo immemorabile la Regione non recepisce il Decreto per il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario regionale; e gli accordi della Conferenza Stato-Regioni restano inattuati.

   C’è un prete. Un prete di buona volontà, don Pippo Inzana; è cappellano di Barcellona Pozzo di Gotto. Dice che c’è carenza di acqua, sovraffollamento, personale insufficiente, celle con letti a castello che ospitano fino a 10 persone e il letto di contenzione, che ancora si utilizza, anche se più raramente. Di fronte a tutto ciò, e senza il sostegno delle istituzioni competenti, anche il direttore, nonostante la sua intraprendenza, sensibilità e apertura, è impotente.

   Chiudiamo con il carcere di Siracusa acqua razionata, 15 o 20 minuti al giorno. Il signor Davide Amenta, deve scontare una condanna a trent’anni per omicidio. Racconta che nel momento in cui vengono aperte le docce l’acqua arriva o gelida o caldissima, col rischio di ustionarsi. Oltre al problema dell’acqua, che nessuno è mai riuscito a risolvere,  c’è quello del sovraffollamento. In celle di pochi metri quadrati devono coabitare anche quattro detenuti. La situazione è destinata ulteriormente ad aggravarsi per gli arrivi di nuovi reclusi  distribuiti nelle varie sezioni, nonostante siano tutte stracolme. Altra nota dolente è quella del servizio sanitario: il detenuto che intende farsi visitare dal medico deve mettersi in lista d’attesa almeno tre mesi prima.
  Può bastare, per ora.
 

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