Articolo 21 - ESTERI
Erdogan e il sogno a tappe
di Nicola Mirenzi*
Sono stati pochi ad accorgersi della mossa, nel panorama della stampa italiana: e questo non sorprende, data la disattenzione alle questioni turche. Ma la notizia (e le riflessioni che ne seguono) merita molta attenzione, anche a qualche giorno di distanza dai fatti. Di cosa parliamo? Di Cipro e di Ankara. Cioè dello spinoso capitolo dell’ingresso di Ankara in Europa.
Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, è tornato a parlare di Cipro, spiegando che vuole che la questione cipriota sia risolta prima che il semestre di presidenza europea passi alla Repubblica di Cipro, ossia nel luglio del 2012. E se non fosse così, la Turchia minaccia addirittura un congelamento dei rapporti con l’Ue.
«Non avremo alcuna discussione con la presidenza cipriota, consideriamo una vergogna sederci al tavolo delle trattative con loro, non negozieremo con un Paese che non riconosciamo», ha detto Erdogan in un’intervista rilasciata al quotidiano turco Milliyet alla vigilia della visita che la settimana scorsa il primo ministro ha fatto alla Repubblica Turca di Cipro Settentrionale, il mini-Stato cipriota riconosciuto solo da Ankara.
(L’isola di Cipro, per chi non lo ricordasse, è divisa dal 1974, anno in cui un fallito golpe di annessione alla Grecia provocò l’intervento militare turco; i negoziati per la riunificazione sotto forma di una federazione della Repubblica di Cipro, Paese membro dell’Ue, e della Repubblica Turca, in corso da anni sotto l’egida delle Nazioni Unite, non hanno fino ad ora dato alcun risultato pratico dopo che nel 2004 i greco-ciprioti hanno bocciato in un referendum il piano proposto dall’Onu).
Il nodo di Cirpo, però, è l’ostacolo tecnico maggiore all’ingresso della Turchia in Europa, per una serie di ragioni anche strumentali, come il diritto di veto che la parte greca di Cipro può opporre all’avanzamento del negoziato. Detto questo, tuttavia, il problema è completamente politico. Visto che la radice dell’opposizione all’avanzamento del negoziato è da rintracciare nell’opposizione di Francia e Germania.
Il punto è capire perché Erdogan abbia fatto questo uscita proprio adesso.
A parte la ricorrenza della visita, c’è una motivazione anche qui politica: la Turchia, dopo aver provato negli scorsi anni ad allargare il suo spettro d’azione verso oriente e ai paesi arabi (tanto che alcuni hanno parlato, esagerando, di un cambio d’asse strategico), sta tornando a interessarsi alle questioni europee e occidentali. Perché? Perché le primavere arabe, seppur con tutti i fermenti positivi che hanno portato, hanno colto di sorpresa Ankara. Che in questo momento non riesce a raccogliere i dividendi della sua politica degli «zero problemi con i vicini», propugnata dal suo ministro degli esteri, il visionario Ahmet Davutoglu.
La Libia e la Siria hanno toccato due nodi strategici di quest’apertura. Con entrambi i paesi, Ankara aveva firmato degli accordi di libera circolazione delle persone (sì, proprio come è stato per l’Europa nella fase embrionale della comunità europea), dai quali si aspettava di ottenere anche dei vantaggi economici. Ora che però la situazione è mutata, con i problemi economici e commerciali che questi paesi devono affrontare (il primo è alle prese con una guerra vera e propria, il secondo con un quasi guerra civile) la Turchia è in qualche modo costretta a ricalibrare la sua politica estera verso occidente. Non certo per abbandonare la sua visione larga verso i paesi arabi e musulmani. Piuttosto per prendere tempo e aspettare che diventi di nuovo possibile esprimerla in tutta le sue potenzialità. Cioè. Sia verso oriente, sia verso occidente.
*da www.ilmondodiannibale.it
Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, è tornato a parlare di Cipro, spiegando che vuole che la questione cipriota sia risolta prima che il semestre di presidenza europea passi alla Repubblica di Cipro, ossia nel luglio del 2012. E se non fosse così, la Turchia minaccia addirittura un congelamento dei rapporti con l’Ue.
«Non avremo alcuna discussione con la presidenza cipriota, consideriamo una vergogna sederci al tavolo delle trattative con loro, non negozieremo con un Paese che non riconosciamo», ha detto Erdogan in un’intervista rilasciata al quotidiano turco Milliyet alla vigilia della visita che la settimana scorsa il primo ministro ha fatto alla Repubblica Turca di Cipro Settentrionale, il mini-Stato cipriota riconosciuto solo da Ankara.
(L’isola di Cipro, per chi non lo ricordasse, è divisa dal 1974, anno in cui un fallito golpe di annessione alla Grecia provocò l’intervento militare turco; i negoziati per la riunificazione sotto forma di una federazione della Repubblica di Cipro, Paese membro dell’Ue, e della Repubblica Turca, in corso da anni sotto l’egida delle Nazioni Unite, non hanno fino ad ora dato alcun risultato pratico dopo che nel 2004 i greco-ciprioti hanno bocciato in un referendum il piano proposto dall’Onu).
Il nodo di Cirpo, però, è l’ostacolo tecnico maggiore all’ingresso della Turchia in Europa, per una serie di ragioni anche strumentali, come il diritto di veto che la parte greca di Cipro può opporre all’avanzamento del negoziato. Detto questo, tuttavia, il problema è completamente politico. Visto che la radice dell’opposizione all’avanzamento del negoziato è da rintracciare nell’opposizione di Francia e Germania.
Il punto è capire perché Erdogan abbia fatto questo uscita proprio adesso.
A parte la ricorrenza della visita, c’è una motivazione anche qui politica: la Turchia, dopo aver provato negli scorsi anni ad allargare il suo spettro d’azione verso oriente e ai paesi arabi (tanto che alcuni hanno parlato, esagerando, di un cambio d’asse strategico), sta tornando a interessarsi alle questioni europee e occidentali. Perché? Perché le primavere arabe, seppur con tutti i fermenti positivi che hanno portato, hanno colto di sorpresa Ankara. Che in questo momento non riesce a raccogliere i dividendi della sua politica degli «zero problemi con i vicini», propugnata dal suo ministro degli esteri, il visionario Ahmet Davutoglu.
La Libia e la Siria hanno toccato due nodi strategici di quest’apertura. Con entrambi i paesi, Ankara aveva firmato degli accordi di libera circolazione delle persone (sì, proprio come è stato per l’Europa nella fase embrionale della comunità europea), dai quali si aspettava di ottenere anche dei vantaggi economici. Ora che però la situazione è mutata, con i problemi economici e commerciali che questi paesi devono affrontare (il primo è alle prese con una guerra vera e propria, il secondo con un quasi guerra civile) la Turchia è in qualche modo costretta a ricalibrare la sua politica estera verso occidente. Non certo per abbandonare la sua visione larga verso i paesi arabi e musulmani. Piuttosto per prendere tempo e aspettare che diventi di nuovo possibile esprimerla in tutta le sue potenzialità. Cioè. Sia verso oriente, sia verso occidente.
*da www.ilmondodiannibale.it
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