di Stefano Corradino*
La proposta del governo di cambiare nome a una delle norme principali del diritto del lavoro italiano è tutt’altro che un’operazione stilistica o terminologica. Nomina sunt consequentia rerum dicevano i latini… La “manomissione delle parole”, come titola il saggio di Gianrico Carofiglio può tradursi in una pericolosa manipolazione del pensiero e del contenuto, uno svuotamento del significato e dei principi ispiratori di una lunga e difficile battaglia di democrazia e di civiltà.
Lo Statuto fu concepito e adottato quarant’anni fa per riconoscere ai lavoratori diritti e principi fondamentali che, in assenza di una normativa, finivano per essere ignorati, minacciati, negati. Il diritto di associazione sindacale e di sciopero, il rispetto dei contratti e delle regole per arginare l’arbitrarietà dei licenziamenti, le condizioni di salute e di sicurezza…
Nulla di rivoluzionario ma la naturale articolazione dei valori espressi nel primo articolo della Costituzione e che alcuni esponenti del centro destra considerano un retaggio del bolscevismo e per questo lo vorrebbero modificare radicalmente magari decretando che l’Italia è un repubblica fondata sul lavoro… precario.
Ma lo Statuto sancisce, innanzitutto, la libertà di opinione del lavoratore affermando, proprio nell’articolo1 che “i lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero”. Un concetto che si lega indissolubilmente con i principi espressi dall’articolo21 della Costituzione nel sancire che non ci può essere un trattamento differenziato in relazione alle opinioni del lavoratore e ciò vale sia nell’esercizio della sua professione sia nella fase di selezione per l’assunzione. Un enunciato che gli estensori ritenevano essenziale per contrastare i numerosi casi di licenziamento di operai che, nel dopoguerra, conducevano attività politica o che, anche indirettamente, militavano in forze politiche o sindacali non gradite alle aziende.
E’ per questa ragione che Articolo21 ha lanciato l’appello “Giù le mani dall’art. 41 della Costituzione” perchè riteniamo vada difeso con le unghie il concetto che l’iniziativa economica privata è sì libera ma non può in nessun caso recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. E non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale.
La filosofa francese Simone Weil affermava costernata quasi un secolo fa che il lavoro “non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte…”
A cento anni di distanza, mentre dovremmo celebrare la faticosa conquista di diritti inalienabili e porci il problema di come estenderli anzichè restringerli rischiamo di fare un pericoloso, inesorabile balzo all’indietro.
* Pubblicato su Blitz Quotidiano
L’articolo 41 della costituzione e l’art. 1 della carta europea tutelano la dignità umana - di Domenico d’Amati / Pensate alla crisi e lasciate in pace la nostra Costituzione - di Valerio Onida/ Stefano Rodotà: "Questo è un assalto frontale alla Costituzione e al lavoro"- di Checchino Antonini ( da Liberazione)
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