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Contro la manovra bis: è anche una questione di "diritti"
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di redazione

Contro la manovra bis: è anche una questione di "diritti"

La manovra comincia a fare acqua da ogni parte. L'unitarietà ottenuta nel consiglio dei ministri di venerdì scorso appare, a questo punto, aleatoria. Non solo parti sociali e enti locali esprimono pesanti critiche alla manovra. Ma ora anche all'interno del centrodestra le voci dissenzienti crescono. A nemmeno 72 ore dall'approvazione e a meno di 48 dal sigillo posto dal Quirinale, sono in molti a chiedere modifiche e a prepararsi a emendare le misure. La lega uole evitare i pesanti tagli ai comuni. Lo dice Maroni nel corso della conferenza stampa sulla sicurezza. Il Pd presenta una proposta alternativa. Casini afferma: "mai in questa maggioranza" e poi Cgil sul piede di guerra per lo spostamento dei contratti a diensione locale. Un modo per attaccare articolo 18 e statuto dei lavoratori. Infine anche Bagnasco. "Salvare le famiglie, stanno alla base della società italiana".

La manovra che fa grondare sangue al premier nei prossimi giorni farà grondare di sudore tutta la maggioranza che, c'è da immaginarlo, non riuscirà a mantenere l'ennesima promessa: quella di non mettere la fiducia alla Camera dei Deputati. O meglio. La fiducia potrà essere superata solo se il decreto verrà pesantemente emendato. Ciò che preoccupa particolarmente articolo 21 fa riferimento ad alcune questioni particolari. Innanzitutto il nuovo - e ci viene da dire l'ennesimo - tentativo di attaccare la Costituzione.

A questo punto non è solo l'art. 41 na direttamente l'articolo 18 dello statuto dei Lavoratori. Quello che portò, ormai qualche anno fa, tre milioni di cittadini al Circo Massimo insieme alla Cgil. Il ministro Sacconi non ha dato retta alle parti sociali che avevano chiesto di delegare ogni questione relativa al lavoro alla loro discussione. Sacconi è intervenuto a gamba tesa e ha deciso che la contrattazione sul lavoro a livello locale, quella che lui definisce di prossimità, può fare a meno dei tanti paletti dei contratti collettivi nazionali.

Ovviamente dice "previo accordo fra le parti sociali". Ma in ogni caso definendo che gli accordi locali possono anche decidere di mettere da parte i licenziamenti per giusta causa (eccezione fatta per i licenziamenti per donne incinte e quelli discriminatori). E cosa può accadere per eventuali demansionamenti che, in ogni caso, arrivano il più delle volte quando si esercitano azione di mobbing nei confronti dei lavoratori?

«Ma - come dice il segretario confederale Fulvio Fammoini - il governo se ne infischia e annuncia il ribaltamento dell'accordo del 28 giugno che prevedeva la sovra ordinazione dei contratti nazionali sul resto della contrattazione». Con le nuove disposizioni, spiega Fammoni, «i contratti sottoscritti a livello aziendale (anche da rappresentanti aziendali di comodo e senza il voto dei lavoratori?) potrebbero operare in totale deroga ai contratti nazionali e addirittura alle 'disposizioni di legge vigente'». Inoltre, prosegue il sindacalista, «sono previste tutte le materie possibili e naturalmente anche il tema della libertà di licenziamento e dell'articolo 18: l'ossessione del ministro del Lavoro».

E come al solito, fa sapere Fammoni «si introduce un criterio di retroattività, pagando così la cambiale da tempo promessa alla FIAT. Non si può - avverte -, anche se lo dice questa legge, con un contratto aziendale disapplicare altre norme di legge. Non è solo una scelta gravissima ma ritengo abbia evidenti vizi di incostituzionalità». Altri punti del provvedimento sono contestati dalla CGIL. «Al governo non basta - aggiunge Fammoni - perchè c'è anche una norma molto grave verso i disabili, legalizzando praticamente la scelta dei reparti o aziende confino per questi lavoratori. Così come c'è - prosegue il dirigente sindacale - un nuovo schiaffo alle parti sociali e alle regioni sul tema dei tirocini». In generale, quindi, sono «norme sbagliate, ideologiche e punitive, che durante una fase così grave di crisi attaccano i diritti dei lavoratori.

Niente ma proprio niente a sostegno dell'occupazione e dei giovani. Norme - conclude Fammoni - che contrasteremo fino in fondo, come spero faranno le altre parti sociali, e fino a quando saranno ritirate o cassate».

Bocciatura completa per la manovra, quindi, da parte della Cgil. In un documento il sindacato di corso d'Italia definisce il provvedimento 'depressivo': 'condanna il paese alla recessione e alla disgregazione sociale" per il suo tratto di iniquita'. La Cgil annuncia poi che nei prossimi giorni definirà una propria proposta per dimostrare che, con gli stessi saldi previsti dal Governo, 'si può ragione di equilibrio dei conti e crescita'.

Nel frattempo la confederazione guidata da Susanna Camusso fa appello 'alle altre organizzazioni sindacali, alle forze sociali, alle istituzioni più vicine alle comunità, al mondo dell'associazionismo e del volontariato e della cooperazione sociale per opporsi alla iniquità delle decisioni del governo e per impedire la disgregazione della società italiana'. Di seguito il testo del documento:

La manovra del Governo riassume in sé tutte le negatività che avevamo previsto e tentato di scongiurare, assieme alle altre parti sociali. Con questa manovra il Governo condanna il paese alla recessione e alla disgregazione sociale per difendere le grandi ricchezze e gli interessi che rappresentano la sua base di consenso. Con questa manovra le chiacchiere sulla riduzione delle tasse e sul federalismo giungono al capolinea. La manovra del Governo impedisce alle Regioni e ai Comuni di svolgere le funzioni proprie previste dalla Costituzione. La manovra del Governo è:

- depressiva, in quanto non destina risorse alla crescita né all'economia né all'occupazione, riduce il reddito e i consumi dei cittadini, mancano totalmente gli investimenti, impedisce agli enti territoriali virtuosi di impegnare le loro risorse per rilanciare le opere pubbliche e il tessuto delle imprese locali;

- socialmente iniqua poiché colpisce lavoratori, pensionati, famiglie, soggetti sociali deboli e non ha il coraggio di intervenire sull'evasione fiscale, sulle rendite finanziarie, sulle grandi ricchezze;

- centralista anche se riduce il perimetro dello Stato, poiché ignora le obiezioni e le proposte che sono giunte dal paese attraverso le parti sociali, le Regioni, le Autonomie locali, salva gli enti nazionali inutili e colpisce indiscriminatamente il pubblico impiego;

- istituzionalmente scorretta in quanto interviene per decreto senza motivi di urgenza in campi affidati alla autonomia delle parti sociali;

- velleitaria e antisindacale in quanto pretende di cancellare per legge uno strumento di regolazione generale dei diritti dei lavoratori come il Contratto Nazionale di lavoro;

- costituzionalmente dubbia in quanto discrimina tra persone riducendo le garanzie di pari opportunità dei soggetti più deboli e incentiva la violazione della legislazione esistente;

- inefficace in quanto non affronta in maniera strutturale le cause del deficit, ne' pone le basi per ricostruire avanzo primario e ridurre realmente il debito;

- provvisoria e improvvisata, in quanto non è in grado di scongiurare ulteriori declassamenti del Paese e ulteriori costi di rientro nei parametri richiesti dall'Europa;

- sbagliata in quanto nasconde dietro le richieste della Bce scelte ideologiche che non hanno nulla a che vedere con il riequilibrio e le riforme strutturali (richieste peraltro dalla stessa Europa) per la crescita; - confusa e indeterminata negli obbiettivi e negli effetti presentati.

La Cgil nei prossimi giorni definirà una propria proposta per dimostrare che, con gli stessi saldi previsti dal Governo, si può ragione di equilibrio dei conti e crescita. La Cgil, di fronte allo spregio della forma, delle norme costituzionali, delle situazioni reali di vita delle persone e delle famiglie fa appello alle altre organizzazioni sindacali, alle forze sociali, alle Istituzioni più vicine alle comunità, al mondo dell'associazionismo e del volontariato e della cooperazione sociale per opporsi alla iniquità delle decisioni del governo e per impedire la disgregazione della società italiana. La Cgil valuterà le forme della mobilitazione più opportune per cambiare il segno economico e sociale dei provvedimenti del Governo Berlusconi.


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