di Reporters sans frontières
2009 in cifre
76 Giornalisti uccisi (+21% rispetto al 2008)
33 Giornalisti rapiti
573 Giornalisti arrestati
1456 Giornalisti aggrediti o minacciati
570 Media censurati
157 Giornalisti fuggiti dal loro paese
1 Blogger morto in prigione
151 Blogger o cyber-dissidenti arrestati
61 Blogger aggrediti
60 Paesi colpiti dalla censura di internet
2008 2009 Variazione
Giornalisti uccisi 60 76 + 26 %
Giornalisti arrestati 673 573 - 14 %
Giornalisti aggrediti o minacciati 929 1456 + 56 %
Media censurati 353 570 + 61 %
Giornalisti rapiti 29 33 + 13 %
Blogger morti 1 1 -
Blogger o cyber-dissidenti arrestati 59 151 + 155 %
Blogger aggrediti 45 61 + 35 %
Paesi colpiti dalla censura di internet 37 60 + 62 %
Reporters sans frontières ha registrato i casi dove il legame tra la professione della vittima e l’incidente è dimostrato o altamente probabile. Le cifre indicate censiscono i casi di cui l’organizzazione è giunta a conoscenza, escludendo quelli per i quali le vittime hanno scelto volontariamente di mantenere il segreto, spesso per proteggere la propria sicurezza. Pertanto il bilancio presentato per l’anno 2009 si basa nuovamente sulla stessa metodologia adottata negli anni precedenti, permettendo così un possibile confronto.
L'anno 2009 è stato caratterizzato da due avvenimenti drammatici: il più grande massacro di giornalisti commesso in una sola giornata, ovvero l’uccisione di 30 professionisti dei media perpetrata da una milizia privata di un governatore a sud delle Filippine, e l’ondata di arresti e condanne senza precedenti di giornalisti e bloggers in Iran, dopo la contestata rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad.
Inoltre, per fuggire dalla prigione o dalla morte, circa 160 giornalisti di tutti i continenti hanno scelto la via dell’esilio, in condizioni talvolta estremamente pericolose. Fotoreporter iraniani che attraversano la frontiera con la Turchia per evitare l’arresto o giornalisti della radio somali che fuggono verso Paesi limitrofi per evitare una morte certa, tutti questi professionisti sono dei preziosi trasmettitori di informazioni che si cerca di mettere a tacere in ogni modo.
“Le guerre e i periodi elettorali hanno rappresentato le principali minacce per i giornalisti nel 2009. Documentare un conflitto è più che pericoloso poiché i giornalisti sono spesso considerati dei bersagli e rischiano di essere uccisi o rapiti. Ma fare il proprio lavoro di reporter in periodo elettorale può rivelarsi altrettanto pericoloso e condurre direttamente in prigione o in ospedale. Le violenze pre o post-elettorali commesse contro i giornalisti nei Paesi poco democratici sono state particolarmente rilevanti nel 2009.”
Un’altra costante – che non costituisce una sorpresa –, i blogger e i siti Internet sono presi di mira sempre più dalla censura e dalla repressione. Non esiste praticamente più alcun Paese, al giorno d’oggi, che sfugga a questo fenomeno. Ogni qualvolta Internet o i nuovi media (social network, cellulari, etc.) giocano un ruolo preponderante nella diffusione dell’informazione le possibili ritorsioni sono estremamente severe. I blogger sono ormai tanto sorvegliati quanto i giornalisti dei media tradizionali.
Infine, la nostra preoccupazione principale per l’anno 2009 riguarda l’esodo massiccio di giornalisti provenienti da Paesi repressivi come l’Iran o lo Sri Lanka. Le autorità di questi Paesi hanno compreso che, inducendo i giornalisti a fuggire, avrebbero ridotto considerevolmente il pluralismo delle idee e il livello di critica. Questa tendenza è pericolosissima e bisogna assolutamente che sia denunciata con forza,” ha dichiarato Jean-François Julliard, segretario generale di Reporters sans frontières in occasione della pubblicazione di questo bilancio 2009
Aumento del 26% dei giornalisti uccisi.
La quasi totalità dei giornalisti uccisi nel 2009, con l’eccezione di un documentarista spagnolo, Christian Poveda, assassinato in Salvador, sono stati uccisi nel proprio Paese. “Meno conosciuti dall’opinione pubblica internazionale rispetto ai reporter più famosi, sono proprio questi giornalisti locali che pagano, ogni anno, il prezzo più pesante per garantire il nostro diritto ad essere informati sui conflitti, la corruzione o la distruzione dell’ambiente”, ha dichiarato Jean-François Julliard, segretario generale di Reporters sans frontières.
L’anno 2009 è iniziato molto male con l’offensiva militare israeliana a Gaza. Oltre a negare ai media stranieri l’accesso ai territori palestinesi, il governo israeliano ha condotto dei raid violenti contro gli edifici ospitanti i media, violando così il diritto umanitario internazionale. Due reporter sono stati uccisi durante questi attacchi. Nel Caucaso russo i giornalisti e i difensori dei diritti dell’uomo hanno dovuto affrontare un anno pieno di pericoli. Natalia Estemirova in Cecenia, Malik Akhmedilov in Daghestan, così come i testimoni della guerra sporca portata avanti da Mosca e dai suoi alleati locali nella regione, sono stati eliminati in tutta impunità.
I gruppi islamici radicali hanno provocato la morte di almeno 15 giornalisti in tutto il mondo. In Somalia, per esempio, la milizia Al-Shabaab moltiplica i bersagli da assassinare e gli attentati suicidi. In totale, sono morti nove reporter di cui quattro della stazione Radio Shabelle, che tenta di fornire informazioni nonostante il caos dilagante nel Paese. In Pakistan i reporter sono presi di mira dai talebani nel nord-ovest del Paese.
Infine il numero dei rapimenti continua ad aumentare. La maggior parte dei casi è concentrata in Afghanistan, Messico e in Somalia. Se i giornalisti del New York Times, David Rohde e il suo operatore, sono riusciti a fuggire dai talebani, il reporter afgano Sultan Munadi è stato ucciso durante l’operazione militare organizzata per liberarlo.
“Tre anni dopo l’adozione della risoluzione 1738 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per la protezione dei giornalisti nelle zone di conflitto, i governi sembrano ancora incapaci di assicurare la sicurezza dei professionisti dei media”, ha aggiunto Reporters sans frontières.
Altre forme di violenza come le aggressioni e le minacce sono aumentate di un terzo (passando dai 929 casi del 2008 ai 1425 casi del 2009). E’ soprattutto nel continente americano che i giornalisti sono maggiormente esposti (491 casi), in particolare quando denunciano il narcotraffico, la corruzione o i potentati locali. L’Asia viene al secondo posto con 354 casi, soprattutto in Pakistan, Sri Lanka e Nepal. Il numero dei media censurati aumenta pericolosamente con più di 560 casi di giornali, radio o televisioni a cui è stato proibito di diffondere informazioni o che sono stati costretti alla chiusura, come è stato il caso di un giornale satirico in Malesia, di una dozzina di giornali riformisti in Iran, di Radio France Internationale nella Repubblica Democratica del Congo o anche della BBC World Service in Rwanda.
Il numero dei giornalisti arrestati (673 nel 2008, 542 nel 2009) è leggermente diminuito, soprattutto grazie alla relativa riduzione delle limitazioni alla libertà di espressione in Asia. E’in Medio Oriente che si riscontra il maggior numero di casi di fermi e di arresti.
Bilancio 2009 | Uccisioni | Arresti | Aggressioni o minacce | Media censurati | Rapimenti |
Africa | 12 | 115 | 170 | 80 | 7 |
Asia-Pacifico | 44 | 110 | 364 | 104 | 16 |
Americhe | 6 | 80 | 501 | 27 | 7 |
Europa/Ex-URSS | 7 | 101 | 223 | 162 | 1 |
Medio Oriente/Nord Africa | 7 | 167 | 198 | 197 | 2 |
Totale | 76 | 573 | 1456 | 570 | 33 |
Violenze elettorali
I 30 giornalisti, assassinati sull’isola di Mindanao, stavano facendo un servizio su un candidato politico, oppositore di un leader locale, che si voleva presentare alle elezioni regionali del 2010. Allo stesso modo il giornalista tunisino Tawfik Ben Brik è stato imprigionato qualche giorno dopo la ri-elezione del presidente Ben Ali, mentre il suo collega Slim Boukhdhir ha subito, nello stesso periodo, una violenta aggressione. In Gabon, molti giornalisti sono stati aggrediti e altri minacciati di morte nei giorni successivi all’elezione di Ali Bongo alla testa del Paese. Una mezza dozzina di media sono inoltre stati bloccati temporaneamente per aver osato parlare delle violenze post-elettorali e per aver criticato i membri del nuovo governo. Infine è soprattutto la controversa rielezione di Mahoud Ahmadinejad che ha provocato un’ondata repressiva delirante nei confronti dei media iraniani.
Le elezioni pluraliste, simbolo di democrazia e di libera espressione, possono diventare un incubo per i giornalisti. In periodo elettorale, troppo spesso i media di Stato non sono autorizzati a coprire equamente le attività dei candidati, come nel caso della controversa elezione afgana o del simulacro elettorale orchestrato in Guinea equatoriale. I giornalisti più coraggiosi si espongono alle rappresaglie della parte avversa. Molto spesso, durante gli scrutini, l’accesso ai media non è neanche rispettato, come è per esempio avvenuto durante le elezioni provinciali nelle zone tamil nello Sri Lanka.
I problemi maggiori sorgono al momento dell’annuncio dei risultati elettorali. In Iran, per esempio, i sostenitori di Mahmoud Ahmadinejad, sopraffatti da un movimento di opposizione ampiamente diffuso da Internet e dalla stampa riformista, si sono lanciati in una repressione estremamente violenta contro centinaia di giornalisti e bloggers, accusati di essere spie al soldo dello straniero o agenti destabilizzanti.
Quest’anno, l’audacia di cui hanno fatto prova i giornalisti nei periodi pre o post-elettorali è stata sanzionata con la detenzione, maltrattamenti e pene detentive, in alcuni casi, decisamente pesanti. Questo scenario repressivo del dopo-scrutinio deve spingere la comunità internazionale a trovare i mezzi per proteggere la stampa in maniera più efficace, dopo l’annuncio di vittorie spesso rubate o condizionate.
“In ogni caso, questa ondata di violenza è di cattivo auspicio per l’anno 2010, durante il quale avranno luogo delle elezioni-chiave soprattutto in Costa d’Avorio, Sri Lanka, Birmania, Iraq e nei Territori Palestinesi”, dice preoccupata Reporters sans frontières, che svolge un lavoro di monitoraggio costante dei media nei periodi elettorali.
Più di cento blogger e cyber-dissidenti imprigionati
Per la prima volta dall’apparizione di Internet, Reporters sans frontières ha registrato almeno 120 casi di bloggers, cyber-dissidenti ed utenti internet imprigionati nel mondo per aver espresso sul web le proprie opinioni. Questa cifra illustra la repressione che imperversa contro la rete in una decina di Paesi. Molti Stati hanno adottato una politica di criminalizzazione assoluta nei confronti dell’espressione online, annullando le speranze di una Rete Internet senza censura.
Internet è il motore della contestazione democratica in Iran, Cina e altrove. E’ soprattutto questo a spingere i governi autoritari a punire severamente i suoi fruitori, come i bloggers azerbaigiani condannati a due anni di carcere per un loro video satirico sulle élite politiche nazionali.
Se nel 2009 la Cina popolare è rimasta il censore principale di Internet nel mondo, anche l’Iran, la Tunisia, la Thailandia, l’Arabia Saudita, il Vietnam e l’Uzbekistan hanno ugualmente optato per l’oscuramento sistematico di siti e blogs e per la sorveglianza continua dell’espressione online. Internet in Turkmenistan funziona, per esempio, sotto il totale controllo dello Stato.
Sempre quest’anno, bloggers e semplici cittadini che si sono espressi sulla rete sono stati aggrediti, minacciati o interrogati quando la popolarità dei siti e dei social networks da loro usati si è consolidata.
L’egiziano Kareem Amer è ancora detenuto, mentre il famoso attore birmano Zarganar ha ancora 34 anni di prigione da scontare. Figure carismatiche della difesa della libertà di espressione su Internet, come i cinesi Hu Jia e Liu Xiaobo o i vietnamiti Nguyen Trung e Dieu Cay, fanno parte delle centinaia di vittime della cyber-polizia governativa.
Anche la crisi economica e politica fa ormai parte degli argomenti suscettibili di scatenare le strategie censorie delle autorità, in particolare sulla rete Internet. In Corea del Sud, per esempio, un blogger è ingiustamente detenuto per aver commentato la situazione catastrofica del Paese. In Thailandia una mezza dozzina di frequentatori della rete sono stai interrogati o intimiditi per aver parlato di crisi in seno alla monarchia. Il semplice fatto di aver messo in relazione la salute del re con la caduta dei titoli in Borsa a Bangkok ne ha fatto il bersaglio scelto dalle autorità. Infine a Dubai la censura ha colpito i media locali quando questi hanno evocato il crollo del mercato interno.
I Paesi democratici non restano a guardare: mentre parecchi Stati europei optano per nuove misure di controllo della rete in nome della lotta contro la pedopornografia o la contraffazione, l’Australia ha annunciato l’intenzione di rendere obbligatorio un sistema di filtraggio, estremamente pericoloso per la libertà d’espressione. La giustizia turca ha aumentato il numero dei siti Internet, in particolar modo YouTube, censurati per aver espresso critiche nei confronti del primo presidente della Repubblica Mustafa Kemal Ataturk.
“Da un anno all’altro il numero dei Paesi colpiti dalla censura online si è moltiplicato per due. Si tratta di una tendenza preoccupante che sottolinea il rafforzamento del controllo esercitato sui nuovi media da parte dei governi proprio quando il popolo Web aumenta e si fa più attivo. E’ per denunciare con maggior rigore tale criminalizzazione dell’espressione online che Reporters sans frontières sta organizzando, per il 12 marzo prossimo, una nuova mobilitazione contro i Nemici di Internet”, ha affermato Lucie Morillon, responsabile dell’Ufficio Internet e Libertà di RSF.
I media sotto processo
Al 30 dicembre 2009 ci sono almeno 168 giornalisti in prigione nel mondo. Bisogna risalire all’inizio dell’anno 1990 per ritrovare un numero così elevato di giornalisti incarcerati. Sebbene il portavoce speciale delle Nazioni Unite per la libertà di espressione abbia a più riprese affermato che la prigione è una pena sproporzionata per le questioni inerenti la stampa, numerosi governi mantengono questo tipo di sanzione nelle loro legislazioni nazionali e non esitano ad usarla. Le pene inflitte ai giornalisti a Cuba, in Cina, nello Sri Lanka o in Iran sono severe quanto quelle previste per gli autori di crimini di sangue o per i terroristi.
La prigione e la violenza sono ancora troppo spesso le sole risposte che le autorità offrono ai professionisti dei media. Così in Medio Oriente non passa giorno senza che si verifichi un’aggressione o un fermo. In Iraq, per esempio, più di sessanta giornalisti sono stati aggrediti o interrogati nel 2009. Nei Territori Palestinesi più di cinquanta giornalisti sono stati fermati da Hamas a Gaza e da Al-Fatah in Cisgiordania. L’Africa e l’Asia si contendono il primato del numero di giornalisti detenuti. Nel 2009 si registrano più di dieci casi d’arresto in Niger, in Gambia e in Somalia, mentre l’Eritrea si conferma la prima prigione africana per i giornalisti, con 32 professionisti dell’informazione dietro le sbarre. In Asia il numero dei fermi è fortunatamente diminuito, tuttavia le forze di polizia cinesi o pakistane continuano ad interrogare giornalisti stranieri e locali, se questi osano superare la linea rossa stabilita dalla censura governativa. In Honduras il colpo di Stato del 28 giugno 2009, sostenuto dalla stampa conservatrice, ha scatenato una vera e propria caccia ai giornalisti sospettati di simpatie nei confronti del presidente destituito Manuel Zelaya e alla sospensione, nonché la chiusura, delle loro redazioni. Infine Cuba si fa notare anche quest’anno per almeno 24 casi di arresti e due nuove detenzioni di lunga durata portando a 25 il numero dei giornalisti attualmente in carcere nell’isola.
Quando i potenti non fanno arrestare i giornalisti optano per strategie di persecuzioni giudiziarie sistematiche. In Algeria il direttore di testata Omar Belhouchet ha ricevuto quest’anno ben una quindicina di convocazioni davanti ai giudici. In Turchia o in Marocco, la stampa dell’opposizione è vittima di querele a ripetizione che sfociano quasi sempre nella loro condanna o nella chiusura delle testate incriminate, poiché i tribunali sostengono quasi sempre i querelanti e non i professionisti dell’informazione accusati.
L’esilio per sopravvivere
Per la prima volta Reporters sans frontières ha inserito in questo bilancio annuale il numero dei giornalisti costretti a lasciare il proprio Paese dopo essere stati vittime di intimidazioni o minacce di morte. Sono circa 157 i professionisti dei media costretti a scegliere la strada dell’esilio, spesso in condizioni molto difficili. L’esodo dei giornalisti e dei bloggers iraniani – più di una cinquantina – o dei loro colleghi dello Sri Lanka – non meno di 29 casi registrati quest’anno – è stato massiccio. Per non parlare dell’Africa, con la cinquantina di giornalisti somali fuggiti dal caos dilagante e la decina di reporter eritrei costretti a lasciare il proprio Paese per paura di diventare il bersaglio della peggiore dittatura del continente. Il fenomeno dell’esilio dei giornalisti colpisce anche la Guinea, l’Afghanistan, il Pakistan, il Messico, la Colombia e l’Etiopia.
Questo nuovo indicatore sottolinea la paura che regna in molti Paesi in seno alla professione giornalistica. Sul cammino dell’esilio i giornalisti si imbattono in numerose insidie e il loro futuro diviene precario ed incerto. Molti restano in attesa, per mesi o addirittura anni, di una protezione e di un ipotetico nuovo inizio professionale.