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Articolo 21 - ESTERI
11 Settembre 2001/2011. Dieci anni dopo un mondo meno libero e in profonda crisi
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di Gianni Rossi

11 Settembre 2001/2011. Dieci anni dopo un mondo meno libero e in profonda crisi Ci sono date che segnano sui libri di storia come dei confini. Il prima e il dopo che hanno cambiato i destini del mondo, di un’epoca, al di là dell’effettiva causa che ha determinato quell’avvenimento specifico. L’attacco terroristico alle due torri gemelle di New York e gli altri due aerei dirottati sui cieli del Nord America, l’11 Settembre del 2001, ha di fatto segnato la fine di un periodo esaltante della società capitalistica avanzata e l’inizio di un viaggio del mondo globalizzato verso una “Terra di mezzo” che per ora significa solo crisi: economica, finanziaria, pubblica e privata, sociale e culturale.
Non è stata la furia omicida di Al Qaeda ad innescare la crisi, ma è il contesto della violenza terroristica, la risposta armata, le leggi illiberali, il crollo dell’economia, ha determinato la nascita della nuova era. I segni della crisi del sistema erano già evidenti dagli inizi degli anni Novanta e già i segnali di guerra contro l’Islam avevano dirottato l’attenzione delle forze politiche, dei governi e degli analisti verso obiettivi “secondari”, tralasciando di vedere in profondità le cause di ciò che stava incrinando il “sistema di vita american way”, predominante nel mondo dopo la caduta del Muro di Berlino, la disfatta delle ideologie e del comunismo reale sovietico e cinese. Il mondo si è ritrovato, dopo l’11 Settembre a contrastare con le armi e con mezzi repressivi il subdolo attacco terroristico, senza risolvere in dieci anni i focolai di questa malattia violenta, aumentando ovunque in Occidente uno spirito razzista nei confronti dell’Islam, limitando per altro alcune libertà individuali e mettendo sotto “osservazione e controllo” tutti i sistemi di informazione e comunicazione, con le più sofisticate tecnologie da “Grande Fratello”. Ma ha perso la battaglia contro il disfacimento della propria economia, contro la decadenza del modello di sviluppo iper-liberista.
Da una parte, tutte le maggiori potenze del G8 e del G20 hanno dispiegato enormi risorse finanziarie e tecnologiche per combattere un “nemico invisibile e ingannevole” come il terrorismo fondamentalista di Osama Bin Laden (ucciso solo pochi mesi fa, dopo anni di latitanza coperta strumentalmente dalle oligarchi pachistane). Questo massiccio indebitamento ha innescato la spirale perversa dei deficit di bilancio statali e la rincorsa, prima fra tutti degli Stati Uniti, ad emettere Bond del Tesoro, i cosiddetti debiti sovrani, in pratica a chiedere prestiti “da strozzinaggio” a quei paesi in forte crescita (Cina, paesi asiatici, paesi arabi del Golfo, Russia,ecc.), pur di rimanere a galla e finanziare le spese militari e delle amministrazioni pubbliche. Nel frattempo il declino del sistema capitalistico aveva portato con sé la “finanziarizzazione” dell’economia spinta all’eccesso, fuori controllo da regole internazionali (Fondo Monetario, Banca Mondiale, WTO, ONU, BCE), grazie alle tecnologie on-line e alla globalizzazione dei mercati 24 ore su 24.
La spinta dell’economia reale era ormai ferma al palo dal decennio precedente, tranne che per la ricerca e sviluppo delle alte tecnologie civili e militari, oltre che per le fonti energetiche. Ecco allora che alcuni settori merceologici hanno visto impennarsi i loro valori (petrolio, gas, metalli rari e preziosi), mentre altri settori si sono “gonfiati” a dismisura con i “giochi” della speculazione fuori controllo. Un’oligarchia mondiale si è nel frattempo arricchita oltre misura, alla faccia di controlli antispeculativi e antitrust, proprio perché le “autorità” erano “distratte” sul lato della lotta ai santuari del terrorismo, alla tenuta sotto controllo mediatico-culturale delle opinioni pubbliche. Dalla fine del 2007 ad oggi, però, il crack è diventato l’incubo orribile, cui far conto ogni giorno e ogni notte da parte delle cosiddette élites governative. Le prime risposte, da parte sia di governi conservatori sia progressisti, sono state improntate nel cercare di tamponare le falle con l’intervento massiccio dei fondi statali, per “salvare” banche e imprese dai fallimenti.
E così gli stati già indebitati fino al collo per le spese militari e antiterrorismo, hanno aggravato i loro bilanci fino ad arrivare all’insostenibilità di questi mesi. Certo, i più grandi, i più forti tradizionalmente stanno ancora giovandosi di posizioni di rendita. Ma oramai, dai potenti Stati Uniti alla più traballante Italia, si sta arrivando al “redde rationem”!
I mercati sono ancora “liberi” di giocare alla speculazione selvaggia, grazie anche al fiume di denaro, che gli stessi stati indebitati dal 2009 in poi hanno fornito alle principali istituzioni bancarie e finanziarie, senza contropartite e  senza imporre nuove “regole del gioco”. Un’intera generazione di giovani e meno giovani stanno assaporando la medicina amara del capitalismo iper-liberista senza freni; alcuni milioni di persone sono morte sull’altare della “guerra totale” al terrorismo per riportare “una libertà durevole”, come sognavano le alte gerarchie americane e i loro “solerti alleati”. Per fortuna, ogni tanto, la storia delle genti si mette di traverso!
La cosiddetta “Primavera araba” ha aperto una breccia sul mondo islamico, ha di fatto isolato le tendenze fondamentaliste e denunciato al mondo occidentale le nefandezze delle oligarchie arabe in combutta con i poteri forti occidentali. Siamo ancora agli inizi di questa “rivoluzione sahariana”, ma farà bene l’Europa ad assecondarne gli sviluppi e a indirizzarne le tendenze verso canoni di libertà e di etica politica, che sono insiti in questi movimenti.
In Occidente siamo, purtroppo, ancora lontani da una “rivoluzione culturale” che ponga l’essere umano al centro dello sviluppo armonico ed etico della società. I movimenti progressisti sono ancora succubi ideologicamente e culturalmente dei canoni ottocenteschi, per l’organizzazione dei partiti, e di quelli della fine del Novecento per la “visione del mondo”. Per troppo tempo, la sinistra e le forze del progresso si sono lasciate ammaliare da ricette sul tipo del “capitalismo compassionevole”, di una “socialdemocrazia sposata la mercato”. I movimenti giovanili, il “popolo della NetGeneration” vede molto più in là.
O le attuali gerarchie al potere nei partiti progressisti italiani ed europei si aprono a questa nuova etica politica, alle spinte “indignate” di ampi settori della società, oppure sarà compiuto il misfatto dell’attacco terroristico dell’11 Settembre. Contro la cecità della violenza si può vincere solo con scelte condivise fatte alla luce del sole, con l’obiettivo di ampliare le libertà, fortificare le solidarietà, tutelare lo sviluppo ecosostenibile, tornando all’etica della politica. Sarà una “rivoluzione culturale” che impegnerà tutti, da destra a sinistra, rimescolando valori e priorità. Ma è l’unica strada possibile, pacifica e gioiosa per uscire dalla crisi inarrestabile di un capitalismo ormai giunto alla sua saturazione implodente.
 

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