Articolo 21 - IDEE IN MOVIMENTO
Che fine ha fatto la Carta di Roma? Un’analisi sul razzismo nei media italiani
di Laura Cugusi*
Il cinema italiano con i migranti.
Nella Venezia invasa dai VIP sbarcati in massa al Lido nelle settimane appena trascorse si è parlato spesso di migranti. Non solo perché le migrazioni erano il tema di diversi film in concorso al Festival del Cinema, ma perché alcuni autori ed attori italiani hanno approfittato di questa eccezionale attenzione mediatica per esporsi in prima persona esprimendo la propria opinione in forte contrasto con le politiche dello Stato italiano ed il comportamento dei media nei confronti dei migranti.
Alla conferenza stampa per il suo “Terraferma”, Emanuele Crialese ha denunciato duramente l’inadeguatezza dello Stato e dell’informazione nell’affrontare il tema.
Ermanno Olmi alla presentazione de “Il villaggio di cartone” (una storia di immigrazione clandestina e una riflessione sui valori cristiani) non ha risparmiato giudizi severi sulla classe politica italiana e su un’idea di giustizia a volte disumana.
L’8 Settembre il regista Andrea Segre, ospite alle giornate degli autori con il film “Io sono lì”, premiato al Festival (premio FEDICC, CCS e Lina Mangiacapre), ha lanciato l’appello “Il Cinema con i migranti”:
“noi registi, attori, produttori e artisti del mondo del cinema vogliamo lanciare un messaggio all'opinione pubblica e alle istituzioni, per contribuire con la nostra voce, oltre che con i nostri racconti, alla costruzione di una società meno soggetta a chiusure e derive xenofobe e più preparata a comprendere i flussi di immigrazione e a dialogare con i nuovi cittadini.”
Tra i primi firmatari compaiono Guido Lombardi, Marco Paolini, Giuseppe Battiston, Valerio Mastrandrea, Elio Germano, Roberto Citran, Gaetano Di Vaio, Luca Bigazzi, Francesco Bonsembiante, Marco Tullio Giordana, Daniele Vicari, Daniele Gaglianone e tanti altri.
La notizia è stata raccolta dalle principali testate giornalistiche e agenzie di stampa.
Nonostante l’attenzione mediatica è molto probabile che questo appello sia destinato a cadere nel vuoto come i tanti altri (innumerevoli) moniti che si sono susseguiti all’indomani di ogni scandalo di matrice razzista a mezzo stampa, alcuni talmente eclatanti da poter essere candidati come episodi di istigazione all’odio razziale o di incitamento alla violenza.
Il razzismo in Italia è in aumento. Il 7 Settembre il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg ha accusato i politici italiani di utilizzare slogan razzisti, sottolineando nell'ultimo rapporto sul nostro paese che pochi passi avanti, se non addirittura nessuno, sono stati fatti negli ultimi tre anni dalle autorità italiane nel garantire il rispetto dei diritti umani di rom e immigrati .
Putroppo gli stessi giornali che scrivono pagine e pagine sui buoni sentimenti e propositi dei protagonisti del Festival di Venezia sono gli stessi che poche pagine più in là titolano “Italiano malmenato alla periferia di Milano” oppure “Romeno scatena rissa fuori da una discoteca” e che negli ultimi mesi hanno continuato a sfornare articoli dall’identico titolo (ormai usato e abusato da 15 anni): “Continuano gli sbarchi a Lampedusa”, “Riprendono gli sbarchi”, “Torna l’emergenza”.
Questa schizofrenia di doppi e tripli standard non fa che aggravare la situazione disastrosa dei media italiani in tema di immigrazione, ma ciò che è peggio, non fa che aggravare le condizioni di vita dei migranti stessi, rinforzando i pregiudizi di una società già abbastanza ostile.
Le tappe della Carta di Roma.
Forse non molti sanno che… più di 3 anni fa, il 18 giugno del 2008, dopo un lavoro collaborativo durato più di 18 mesi, FNSI, Ordine dei giornalisti e UNHCR hanno approvato ufficialmente la Carta di Roma, un protocollo deontologico per i media sulla trattazione giornalistica di argomenti riguardanti migranti, rifugiati e vittime della tratta di esseri umani.
Come si legge nel documento di presentazione ufficiale,
“le linee guida fornite dalla Carta di Roma pongono l’attenzione sulla necessità di sostenere un’informazione responsabile che prenda le distanze da comportamenti non corretti e superficiali e dalla diffusione di informazioni alterate o generalizzate, quando non imprecise. Tale strumento chiede al giornalismo italiano di trattare questi argomenti con la massima accortezza soprattutto per quanto riguarda l’impiego di termini corretti dal punto di vista giuridico – allegando al documento un glossario che riporta le specifiche di ogni status (rifugiato, richiedente asilo, migrante irregolare ecc.) – e le associazioni non appropriate di notizie ai soggetti protagonisti della notizia stessa, che possano creare danni in termini di allarmismo ingiustificato e di conseguente indebolimento della credibilità accordata alla categoria dei giornalisti.”
Il 10 ottobre del 2008 la Carta di Roma è stata salutata in pompa magna al Quirinale in una cerimonia ufficiale a cui hanno preso parte tutti i firmatari che hanno celebrato la Giornata dell’Informazione con la presentazione dell’iniziativa. I fotografi hanno immortalato la solenne stretta di mano tra Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr in Italia e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Come scriveva Articolo21 in quei giorni:
“la Carta di Roma ha ricevuto un’investitura istituzionale e un riconoscimento che gli consentono di entrare a pieno titolo tra gli strumenti di lavoro del giornalismo italiano. Un passaggio formale che rappresenta una sorta di chiusura del cerchio di un iter lavorativo avviato nel gennaio 2007 all’indomani della strage di Erba -un evento drammatico (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/12_Dicembre/12/tunisino.shtml) reso ancora più grave da ciò che ne era seguito a livello mediatico – quando l’Alto Commissariato aveva inviato una lettera a tutti i direttori di testata invitando a fare una riflessione su come i media documentavano e raccontavano il fenomeno migratorio.”
La Carta di Roma è un codice deontologico e un manuale simile alla Carta di Treviso (che regolamenta l’informazione sui minori) e, in teoria, prevede anche che i temi dell’immigrazione e dell’asilo diventino materia di formazione e di aggiornamento professionale per i giornalisti. Inoltre prevede l’istituzione di un Osservatorio indipendente che, d’intesa con istituti Universitari e di ricerca e altri organismi, sottoponga a periodico monitoraggio l’evoluzione dell’informazione su richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti.
In teoria.
“L’Osservatorio è un impegno concreto.”
“Non possiamo fare solo nobili dichiarazioni di principio che poi lasciamo nei cassetti. Non vogliamo che la Carta di Roma faccia questa fine.”
“Siamo certi che diventerà una buona abitudine quella di riincontrarci ogni sei mesi per ricordare e valutare gli avanzamenti”.
Roberto Natale, Presidente della FNSI.
"E' importante che il documento non resti lettera morta e solo una bella dichiarazione di intenti e di principi. Occorre ora attivarsi perché la 'Carta di Roma' trovi un'applicazione pratica su tutti i giornali"
Nicoletta Morabito, Consigliere Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti.
“Questo glossario è necessario perché qualcuno le parole le ha sprecate - ha detto-. Come non accorgersi che sui migranti c’è stato un vero e proprio esercizio della pigrizia da parte del giornalismo italiano? Per questo è state fatta la Carta di Roma e esiste un osservatorio sui media. Speriamo che questi strumenti servano a non far dormire più i giornalisti”.
Prof. Mario Morcellini.
Il sito del cosiddetto Osservatorio della Carta di Roma (http://www.cartadiroma.org/) è fermo alla pagina di lancio, 20 Luglio del 2010, giorno in cui venne pubblicato il primo (e unico) rapporto semestrale sui media italiani (corredato di grafici e “success stories” che finora sono serviti solo agli addetti ai lavori per darsi qualche pacca sulla spalla.) L’esito del lavoro di osservazione è un’ennesima drammatica fotografia dello status quo, sostanzialmente uguale alla situazione che ha portato proprio alla stesura della Carta di Roma.
Ciò che colpisce di più ascoltando l’audio della conferenza di presentazione del primo rapporto dell’Osservatorio
(disponibile qui http://www.radioarticolo1.it/audio/2010/07/20/5612/limmigrazione-nella-lente-dei-media-con-calabresi-de-gregorio-menichini-tarquinio-toti)
è la comune intenzione dei promotori di non “dare le pagelle” a nessuno e di fare in modo che non si crei una sorta di opposizione tra giornalisti e ricercatori sul tema. Ma per quale motivo i controllori e i controllati dovrebbero per forza essere solidali?
Roberto Natale in quell’occasione prevedeva che il “percorso (della Carta di Roma) avrà tempi lunghi. Come ogni processo che si propone di cambiare.”
Ma probabilmente la lentezza del cambiamento dipende proprio dall’eccessiva cautela con cui si procede ad applicare effettivamente il codice.
A questo proposito è opportuno ricordare che con la riforma dell’Ordine approvata il 2 agosto 2011 sono state cancellate dalla proposta la commissione deontologica nazionale e il giurì per la correttezza dell’informazione: un’ulteriore dimostrazione della scarsa volontà di autoregolamentazione delle istituzioni giornalistiche.
Dal lancio dell’iniziativa nel 2007 ad oggi si è parlato della Carta di Roma in maniera piuttosto autoreferenziale solo all’interno del settore professionale e del network di soggetti promotori: qualche comunicato stampa sull’Ansa, sul sito della FNSI, di Articolo21 e dell’Unhcr, qualche trasmissione radiofonica, qualche iniziativa accademica
(freerumble.com/audio.php?t=audio&id=983
http://www.fotoinfo.net/articoli/detail.php?ID=1473
http://www.comunicazione.uniroma1.it/osservatori.asp#due
http://www.coris.uniroma1.it/testo.asp?id=4593)
in una schietta analisi di Carlo Gubitosa
http://www.giornalismi.info/mediarom/articoli/art_1140.html
e in un intervento di Elisabetta di Fonzo, neolaureata alla Sapienza con una tesi appunto sulla Carta di Roma, che ha proposto l’argomento alla Rubrica “Noi e gli altri” di RaiNews24.
(http://altrevoci.blog.rainews24.it/2011/01/25/noi-e-loro-i-soggetti-deboli-e-il-codice-deontologico/).
Nella sua tesi, la Dottoressa Di Fonzo aveva evidenziato alcuni limiti strutturali della Carta, tra cui: "l’approssimazione e la scarsa esaustività del documento, dal momento che non si spiega con sufficiente accuratezza il rischio di diffondere informazioni xenofobe attraverso un certo tipo di giornalismo nè si fa una constatazione introduttiva sullo stato (malandato) dell’informazione in Italia su questi temi e sui danni reali che ciò provoca nella società, nonostante gli studi sul rapporto fra media e immigrazione sono ormai una lunghissima tradizione accademica. Il glossario inoltre non fa riferimento alle distorsioni del linguaggio comune, ma solo alla distinzione giuridica fra termini. Ma più che altro è nei “tic” linguistici (negli automatismi, nelle frasi fatte e nelle semplificazioni) che si celano i pregiudizi."
Le pratiche quotidiane dei media italiani in tema di migranti.
E’ sconcertante constatare che dall’amara vicenda di Erba ad oggi la situazione anziché migliorare sia peggiorata. Quando Azouz Marzouq venne accusato ingiustamente dell’omicidio dei suoi familiari fu davvero uno scandalo. I cittadini erano indignati. L’errore giornalistico ebbe ampio spazio nei giornali e nei tg nazionali. Si aprì un dibattito sulla deontologia e nacquero iniziative come, appunto, la Carta di Roma.
Negli anni seguenti invece, scandali simili sono stati trattati superficialmente dalla stampa e progressivamente ignorati. Forse qualcuno ricorderà il caso di Mohamed Fikri, accusato ingiustamente dell’omicidio di Yara Gambirasio e arrestato sul traghetto per Tangeri in seguito all’intercettazione di una sua conversazione in arabo tradotta male (aveva detto “Che Dio mi protegga” e non “che Dio mi perdoni per quello che ho fatto” ).
Le reazioni a quel vergognoso e imbarazzante episodio sono state molto più leggere che nel caso di Erba, dimostrando che il livello di sensibilità generale ad eventi di questo tipo anziché alzarsi si è ulteriormente abbassato ed ormai vengono implicitamente accettati comportamenti inammissibili secondo il Codice Deontologico e la Carta dei Doveri del giornalista.
Un altro caso degno di nota è stato quello dei rumeni “Racz e Loyos”, i cui volti sono stati sbattuti in prima pagina dalla maggior parte dei giornali all’indomani di una violenza sessuale ai danni di una 15enne avvenuta la notte di San Valentino del 2009. Nonostante fossero stati accusati ingiustamente, nonostante le stesse autorità giudiziarie avessero ammesso che per “leggerezze investigative” un uomo innocente ha passato 1 mese in carcere, nonostante persino Vespa abbia ammesso la verità, il rumeno Racz è e resterà nella memoria di tutti come lo stupratore della Caffarella.
Nessuno verrà chiamato a risarcire i danni a questa persona e a tutta la comunità rumena.
Non esiste una forma di deterrenza significativa per autori ed editori che danno così tanto spazio a notizie non verificate.
Ma quando “capita” un incendio doloso in un campo rom la stampa si guarda bene dal collegare il fatto con il bombardamento quotidiano di notizie di cronaca i cui responsabili, veri o presunti, sono rom o stranieri.
La diffusissima pratica di scrivere “probabilmente rumeno”, “forse dell’Est”, “dai tratti nordafricani”,“magrebino”, “con un accento che pareva slavo” etc etc. negli articoli di cronaca è talmente abusata che al lettore assuefatto ora bisogna specificare che “l’aggressore è un italiano”, quando si parla di crimini compiuti da nostri connazionali, suggerendo che è normale pensare automaticamente a un immigrato.
Una delle plausibili spiegazioni all’aggravarsi del razzismo sia nei media che nella società potrebbe essere l’assenza di sanzioni per i comportamenti scorretti e l’assenza di gratificazioni per quelli lodevoli. Non si viene incoraggiati a rispettare le regole, né si affrontano conseguenze quando le si infrangono. Cos’ha da perdere allora un editore che si trova tra le mani una notizia di cronaca nera ancora non verificata né approfondita, ma “ghiotta” dal punto di vista sensazionalistico? Niente. E infatti la pubblica. Confidando in un rapido oblio della faccenda, nel caso le informazioni si rivelassero false o incomplete.
Un’altra pratica allarmante è rappresentata dall’utilizzo dei tag nei giornali online, che aiutano il lettore a ricercare le “notizie correlate” e i link ad “altri articoli sull’argomento”. Apparentemente si tratta di un meccanismo di ricerca neutrale e automatico che raggruppa le informazioni su un certo tipo di argomento. Ma se l’argomento è la cronaca, le notizie correlate non sono soltanto le notizie di cronaca… più precisamente sono le notizie che riguardano sia la cronaca, sia gli immigrati (tradizionalmente protagonisti della maggior parte dei fatti di cronaca che i giornali decidono di riportare).
Qui accade ciò che Eli Pariser ha descritto in “The filter bubble”, e cioè che le ricerche su internet diventano sempre più personalizzate in base agli interessi manifestati precendentemente, con il risultato che ormai si tende a trovare ciò che si sa e che ci si aspetta già, rinforzando i propri pregiudizi e accumulando informazioni sempre più autoreferenziali.
Un caso emblematico da segnalare è l’articolo di Magdi Cristano Allam su “Il Giornale” del 5 Settembre che illustra una teoria interessante secondo la quale il terrorismo nasce nelle moschee.. perché se si fa una ricerca sul sito dell’Ansa, digitando la parola moschea il 99% delle notizie riguarda il terrorismo…
Allam senza saperlo sta confermando invece la tesi secondo la quale i giornali e le agenzie di stampa parlano di immigrazione solo quando parlano di violenza, infatti basterebbe fare la ricerca su Ansa.it con la parola chiave “terrorismo” e scoprire che anche in quel caso in tutte le notizie compare la parola “moschea”. Purtroppo però bisogna ricordare che nel caso di un atto terroristico come quello compiuto da Breivik in Norvegia non si è quasi mai parlato di terrorismo, né si è dato sufficiente spazio alle motivazioni del folle gesto, tra cui la volontà di compiere una crociata anti-islamica.
Uno squilibrato di estrema destra che uccide 80 persone perché vede il nemico nell’Islam non provoca nessun allarmismo sul pericolo di una cattiva informazione sull’Islam. Infatti nel linguaggio giornalistico l’Islam è diventato sinonimo di terrorismo, ed il terrorismo è diventato sinonimo di islam: i due significati si sono fusi ed è difficile utilizzare un termine senza richiamare l’altro.
“Queste atrocità perpetrate all’interno delle moschee sono sempre accadute da quando esiste l’islam, che si conferma come una religione intrinsecamente violenta e storicamente conflittuale. (…) Mi era già capitato in passato di fare ciò che ho appena fatto, ossia registrare gli attentati che si perpetrano nelle moschee, ed è sempre emerso lo stesso risultato: le moschee nel mondo generano violenza. Se le vogliamo significa che siamo propri votati al suicidio”.
Parola di Magdi “Cristiano” Allam.
Possibili rimedi alla schizofrenia giornalistica.
I giornali italiani, unici in Europa, resistono ancora nella tendenza a concentrarsi esclusivamente sugli affari interni del paese, tralasciando significativamente gli esteri e le relazioni internazionali. La risposta automatica che viene data dai giornalisti che tentano di giustificare questo tipo di pratica è “agli italiani non interessa”, una scusa retorica e superficiale che ignora il fatto che molti italiani hanno smesso di leggere i giornali e mettono in atto un cosciente boicottaggio alla stampa proprio perché la giudicano poco accurata, poco professionale, carente negli approfondimenti e corrotta dagli interessi politici.
L’attenzione della stampa italiana per il fenomeno dell’immigrazione si limita quasi esclusivamente alla cronaca e all’emergenza sbarchi a Lampedusa o nelle coste del Sud della Penisola. La questione dell’immigrazione irregolare via mare non viene mai contestualizzata e raccontata come un fenomeno continuo e in evoluzione da circa un ventennio, ma al contrario, citato solo sotto l’etichetta “emergenza” e quasi univocamente descritto come un avvenimento straordinario che in apparenza si verifica senza preavviso, inspiegabilmente, trovando impreparati gli attori coinvolti e le autorità e costringendo lo Stato italiano ad interventi, appunto, di emergenza.
Solo in rari casi il fenomeno viene collegato alla situazione politica dei paesi di partenza e di origine dei migranti che approdano sulle coste italiane, spesso in cerca di asilo politico, spesso in cerca di un lavoro, spesso in condizioni di disperazione, spesso no*.
In particolare, una grave lacuna è rappresentata dal disinteresse per la ricerca di collegamenti tra la situazione passata e attuale nella vicina Libia, da cui partono la maggior parte delle imbarcazioni che arrivano in Italia. I media italiani presentano una narrativa parziale e incompleta del fenomeno, limitandosi a riportare l’occorrenza dello sbarco o gli episodi di violenza nei centri di detenzione.
Ciò che colpisce di più è che la retorica, la narrativa e la contestualizzazione dell’immigrazione e della situazione nei paesi di origine dei migranti non sono cambiati minimamente da prima a dopo le Rivoluzioni. Ciò di cui si parla ora è proprio lo stesso di cui si parlava nel 2010. La stampa italiana non è ancora riuscita ad interiorizzare il cambiamento, né ad ammettere gli errori di valutazione.
Perciò sta continuando strenuamente a cercare di far entrare questo fenomeno nelle categorie classiche dello scontro di civilizzazioni in cui l’occidente vuole la libertà e un non meglio specificato “medio-oriente” vuole la repressione attraverso la sharia. Si parla del mondo arabo solo quando si verificano episodi di violenza e quando sono coinvolti gruppi islamisti. In questo modo i media stanno contribuendo a lasciare i cittadini nell’ignoranza, privandoli di strumenti fondamentali per decifrare gli eventi e le loro possibili conseguenze future.
Tutti gli italiani vengono danneggiati da questo comportamento, perché in questo modo non viene garantito il diritto di essere informati.
Anche se la Carta di Roma è stata integrata nei programmi universitari e nei master ed è diventata materia di esame per accedere all’Ordine dei Giornalisti, allo stato attuale ciò non fa che aumentare lo scarto tra quelli che hanno a cuore l’etica sull’immigrazione, hanno studiato a fondo la deontologia e hanno una visione ideale (ma sarebbe il caso di dire idealizzata…) della professione del giornalista, e la realtà delle redazioni italiane, in cui le pratiche quotidiane sono ben diverse da ciò che predica l’etica.
I cronisti di giustizia e interni sono quelli che più spesso scrivono di immigrazione, senza conoscere approfonditamente la materia e la terminologia ad essa legata.
L’approssimazione e la semplificazione sono all’ordine del giorno. La maggior parte delle notizie vengono copiaincollate dalle agenzie e non vengono neanche firmate.
E’ necessario il contributo di persone esperte sul tema, come ammettono i promotori della Carta di Roma e gli editori delle principali testate, ma raramente le redazioni prevedono un budget per questo tipo di figure. Roberto Natale, presidente della FNSI, durante la conferenza di presentazione del primo rapporto dell’Osservatorio aveva ammesso : “Il rischio è che la nostra informazione concorra a distorcere anziché ad alimentare l’opinione pubblica. Come giornalisti ci siamo detti che dovevamo smetterla di andare al traino di interessi politici negativi, cioè la strumentalizzazione mediatica (…) che porta consenso elettorale. Quella che Gad Lerner ha chiamato imprenditoria della paura.”
I protagonisti diretti delle vicende e i professionisti che conoscono bene il tema non vengono mai interpellati. I politici vengono citati testualmente nonostante le falsità che declamano.
Il problema riguarda principalmente la scarsità e inadeguatezza delle fonti: non si può parlare solo tramite il Ministero dell’Interno e i commenti dei politici, senza mai far prendere la parola ad uno dei 5 milioni di migranti che vivono e lavorano in Italia.
Ma il problema è anche economico e strutturale. I media campano soprattutto grazie alle entrate pubblicitarie e per questo sono propensi a fare di tutto per aumentare l’audience giocando sull’emotività.
In America e in Inghilterra, attraverso documenti di autoregolamentazione come questo dell’Unione Nazionale dei giornalisti (www.nuj.org.uk/getfile.php?id=214) , si pongono limiti chiari e inequivocabili. La pratica di identificare le persone con la loro provenienza etnica, razziale etc. è praticamente scomparsa.
Ogni giorno dando uno sguardo ai principali giornali italiani, oltre a notare una forte somiglianza tra le agende di tutte le homepage, (dall’Unità a Libero le notizie sono praticamente le stesse, nello stesso ordine e spesso con gli stessi titoli), basta sfogliare un’edizione a caso per incontrare almeno un paio di violazioni settimanali del Codice Deontologico e non solo della Carta di Roma.
Ma non basta essersi indignati per una buona causa…
Questo articolo è un invito a tutte le persone interessate all’argomento a segnalare razzismo, uso di terminologia scorretta, violazioni del Codice Deontologico e della Carta di Roma per le informazioni riguardanti i migranti attraverso twitter, usando gli hashtag (Alcuni esempi potrebbero essere #cartadiroma #violazionecartadiroma #razzismomediaitaliani #mediavsmigration #osservatoriocartadiroma) e collezionando in questo modo le diverse segnalazioni di tutti i network interessati all’argomento, oltre ai singoli individui, per fare in modo che le iniziative di questo tipo non restino isolate e frammentate negli innumerevoli appelli alla correttezza.
Si potrebbe veramente cominciare a dare le pagelle.
La raccolta delle segnalazioni attraverso twitter potrebbe diventare uno strumento ad memoriam per individuare quelli che si adattano al “così fan tutti” e quelli che invece hanno il coraggio di cambiare.
*P.S.
Anche Roberto Natale ha dimostrato di avere una visione leggermente distorta della realtà dell’immigrazione quando alla conferenza ha affermato che “la parola clandestino rimanda a qualcuno che vive nell’ombra e mira a far qualcosa di negativo o di criminale, mentre se (sono richiedenti asilo che fuggono da una guerra) e sono in cerca di libertà meritano la nostra solidarietà”.
Ma il rispetto e la solidarietà li meritano anche i clandestini. Come tutti gli esseri umani. Non soltanto quelli disperati.
Ed ecco un tipico commento dell’italiano medio quando, per l’ennesima volta, sente parlare di “disperati”. (Da “Il Fatto quotidiano”. Commento alla recensione del film “Terraferma” di Emanuele Crialese).
finferlo
4 settembre 2011 alle 18:38
arrivo di eserciti di immigrati ” disperati”.. tutti fuggono dalla guerra, ( anche dove questa non c’è ) tutti in fuga dalla fame,( mi sembra che sian ben pasciuti ed in carne, fors’anche troppa..)poi sempre donne incinte..( indigestione di cazz..)..sempre a dire che l’accoglimento è inadeguato… che c’è il menefreghismo sociale.. che c’è la paura dello straniero……..PALLE….in un paese ormai ridotto alla miseria per sprechi, ruberie e malagestione dalla cosa pubblica…. CONTINUANO ad errivare i…” disperati “….tutti da accudire anche quando non ci son risorse per i VERI CITTADINI DI QUESTO PAESE ridotto ormai, ( come anche definito dal primo ministro….)in ….m.e.r.d….Risiedo nel bresciano, ma non scambiatemi per questo come ..leghista…il mio comune è perennemente assediato da extracomunitari che continuamente chiedono e pretendono..l’ufficio inps, a malapena i nostri riescono a prender il numeretto da tanto è affollato da tutta stà gente…sul giornale di stamane è stato arrestato un gruppo di migranti per rapina… da pochi giorni in città..provenivan tutti da….lampedusa…scippi a danno di donne, anziani furti, rapine,svuotamenti di bancomat (con l’espolisione di bombolette di gas)…furti e rapine nelle case… botte ai rapinati…spaccio di droga e tutti gli angoli delle strade..decine di queste persone che occupano i prati dei parchi dove sporcano e dove, purtroppo, nessuno di noi italiani osa più andarci….provate ad andare in stazione ferroviaria, specialmente la sera se trovate il coraggio e guardate nei servizi igienici,poi i pronto soccorso degli ospedali,monopolizzato da questa gente ma dove a pagare il tikets spetta solo al coglion..italiano,guardate ai catorci in giro per le strade dove sicuramente non verrà pagato non solo il bollo ma neanche l’assicurazione,.CATORCI tenuti insieme con lo spago,col nastro adesivo,con fogli di plastica trasparente al posto dei finestrini e del lunotto.ma per favore è ora di finirla col buonismo…
La Haine, Mathieu Kassovitz, 1995, Hubert Koundé
C’est l’histoire d’un homme qui tombe d’un immeuble de cinquante étages. Le mec, au fur et à mesure de sa chute se répète sans cesse pour se rassurer : jusqu’ici tout va bien, jusqu’ici tout va bien, jusqu’ici tout va bien. Mais l’important c’est pas la chute, c’est l’atterrissage.
La haine attire la haine.
Carta dei doveri del giornalista.
«Il giornalista ha il dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua dignità ed il suo diritto alla riservatezza e non discrimina mai nessuno per la sua razza, religione, sesso, condizioni fisiche o mentali, opinioni politiche»; «Il giornalista non deve omettere fatti o dettagli essenziali alla completa ricostruzione dell'avvenimento. I titoli, i sommari, le fotografie e le didascalie non devono travisare, né forzare il contenuto degli articoli o delle notizie»; il giornalista «non deve inoltre pubblicare immagini o fotografie […] comunque lesive della dignità della persona»
*ricercatrice e giornalista free lance
Nella Venezia invasa dai VIP sbarcati in massa al Lido nelle settimane appena trascorse si è parlato spesso di migranti. Non solo perché le migrazioni erano il tema di diversi film in concorso al Festival del Cinema, ma perché alcuni autori ed attori italiani hanno approfittato di questa eccezionale attenzione mediatica per esporsi in prima persona esprimendo la propria opinione in forte contrasto con le politiche dello Stato italiano ed il comportamento dei media nei confronti dei migranti.
Alla conferenza stampa per il suo “Terraferma”, Emanuele Crialese ha denunciato duramente l’inadeguatezza dello Stato e dell’informazione nell’affrontare il tema.
Ermanno Olmi alla presentazione de “Il villaggio di cartone” (una storia di immigrazione clandestina e una riflessione sui valori cristiani) non ha risparmiato giudizi severi sulla classe politica italiana e su un’idea di giustizia a volte disumana.
L’8 Settembre il regista Andrea Segre, ospite alle giornate degli autori con il film “Io sono lì”, premiato al Festival (premio FEDICC, CCS e Lina Mangiacapre), ha lanciato l’appello “Il Cinema con i migranti”:
“noi registi, attori, produttori e artisti del mondo del cinema vogliamo lanciare un messaggio all'opinione pubblica e alle istituzioni, per contribuire con la nostra voce, oltre che con i nostri racconti, alla costruzione di una società meno soggetta a chiusure e derive xenofobe e più preparata a comprendere i flussi di immigrazione e a dialogare con i nuovi cittadini.”
Tra i primi firmatari compaiono Guido Lombardi, Marco Paolini, Giuseppe Battiston, Valerio Mastrandrea, Elio Germano, Roberto Citran, Gaetano Di Vaio, Luca Bigazzi, Francesco Bonsembiante, Marco Tullio Giordana, Daniele Vicari, Daniele Gaglianone e tanti altri.
La notizia è stata raccolta dalle principali testate giornalistiche e agenzie di stampa.
Nonostante l’attenzione mediatica è molto probabile che questo appello sia destinato a cadere nel vuoto come i tanti altri (innumerevoli) moniti che si sono susseguiti all’indomani di ogni scandalo di matrice razzista a mezzo stampa, alcuni talmente eclatanti da poter essere candidati come episodi di istigazione all’odio razziale o di incitamento alla violenza.
Il razzismo in Italia è in aumento. Il 7 Settembre il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg ha accusato i politici italiani di utilizzare slogan razzisti, sottolineando nell'ultimo rapporto sul nostro paese che pochi passi avanti, se non addirittura nessuno, sono stati fatti negli ultimi tre anni dalle autorità italiane nel garantire il rispetto dei diritti umani di rom e immigrati .
Putroppo gli stessi giornali che scrivono pagine e pagine sui buoni sentimenti e propositi dei protagonisti del Festival di Venezia sono gli stessi che poche pagine più in là titolano “Italiano malmenato alla periferia di Milano” oppure “Romeno scatena rissa fuori da una discoteca” e che negli ultimi mesi hanno continuato a sfornare articoli dall’identico titolo (ormai usato e abusato da 15 anni): “Continuano gli sbarchi a Lampedusa”, “Riprendono gli sbarchi”, “Torna l’emergenza”.
Questa schizofrenia di doppi e tripli standard non fa che aggravare la situazione disastrosa dei media italiani in tema di immigrazione, ma ciò che è peggio, non fa che aggravare le condizioni di vita dei migranti stessi, rinforzando i pregiudizi di una società già abbastanza ostile.
Le tappe della Carta di Roma.
Forse non molti sanno che… più di 3 anni fa, il 18 giugno del 2008, dopo un lavoro collaborativo durato più di 18 mesi, FNSI, Ordine dei giornalisti e UNHCR hanno approvato ufficialmente la Carta di Roma, un protocollo deontologico per i media sulla trattazione giornalistica di argomenti riguardanti migranti, rifugiati e vittime della tratta di esseri umani.
Come si legge nel documento di presentazione ufficiale,
“le linee guida fornite dalla Carta di Roma pongono l’attenzione sulla necessità di sostenere un’informazione responsabile che prenda le distanze da comportamenti non corretti e superficiali e dalla diffusione di informazioni alterate o generalizzate, quando non imprecise. Tale strumento chiede al giornalismo italiano di trattare questi argomenti con la massima accortezza soprattutto per quanto riguarda l’impiego di termini corretti dal punto di vista giuridico – allegando al documento un glossario che riporta le specifiche di ogni status (rifugiato, richiedente asilo, migrante irregolare ecc.) – e le associazioni non appropriate di notizie ai soggetti protagonisti della notizia stessa, che possano creare danni in termini di allarmismo ingiustificato e di conseguente indebolimento della credibilità accordata alla categoria dei giornalisti.”
Il 10 ottobre del 2008 la Carta di Roma è stata salutata in pompa magna al Quirinale in una cerimonia ufficiale a cui hanno preso parte tutti i firmatari che hanno celebrato la Giornata dell’Informazione con la presentazione dell’iniziativa. I fotografi hanno immortalato la solenne stretta di mano tra Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr in Italia e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Come scriveva Articolo21 in quei giorni:
“la Carta di Roma ha ricevuto un’investitura istituzionale e un riconoscimento che gli consentono di entrare a pieno titolo tra gli strumenti di lavoro del giornalismo italiano. Un passaggio formale che rappresenta una sorta di chiusura del cerchio di un iter lavorativo avviato nel gennaio 2007 all’indomani della strage di Erba -un evento drammatico (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/12_Dicembre/12/tunisino.shtml) reso ancora più grave da ciò che ne era seguito a livello mediatico – quando l’Alto Commissariato aveva inviato una lettera a tutti i direttori di testata invitando a fare una riflessione su come i media documentavano e raccontavano il fenomeno migratorio.”
La Carta di Roma è un codice deontologico e un manuale simile alla Carta di Treviso (che regolamenta l’informazione sui minori) e, in teoria, prevede anche che i temi dell’immigrazione e dell’asilo diventino materia di formazione e di aggiornamento professionale per i giornalisti. Inoltre prevede l’istituzione di un Osservatorio indipendente che, d’intesa con istituti Universitari e di ricerca e altri organismi, sottoponga a periodico monitoraggio l’evoluzione dell’informazione su richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti.
In teoria.
“L’Osservatorio è un impegno concreto.”
“Non possiamo fare solo nobili dichiarazioni di principio che poi lasciamo nei cassetti. Non vogliamo che la Carta di Roma faccia questa fine.”
“Siamo certi che diventerà una buona abitudine quella di riincontrarci ogni sei mesi per ricordare e valutare gli avanzamenti”.
Roberto Natale, Presidente della FNSI.
"E' importante che il documento non resti lettera morta e solo una bella dichiarazione di intenti e di principi. Occorre ora attivarsi perché la 'Carta di Roma' trovi un'applicazione pratica su tutti i giornali"
Nicoletta Morabito, Consigliere Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti.
“Questo glossario è necessario perché qualcuno le parole le ha sprecate - ha detto-. Come non accorgersi che sui migranti c’è stato un vero e proprio esercizio della pigrizia da parte del giornalismo italiano? Per questo è state fatta la Carta di Roma e esiste un osservatorio sui media. Speriamo che questi strumenti servano a non far dormire più i giornalisti”.
Prof. Mario Morcellini.
Il sito del cosiddetto Osservatorio della Carta di Roma (http://www.cartadiroma.org/) è fermo alla pagina di lancio, 20 Luglio del 2010, giorno in cui venne pubblicato il primo (e unico) rapporto semestrale sui media italiani (corredato di grafici e “success stories” che finora sono serviti solo agli addetti ai lavori per darsi qualche pacca sulla spalla.) L’esito del lavoro di osservazione è un’ennesima drammatica fotografia dello status quo, sostanzialmente uguale alla situazione che ha portato proprio alla stesura della Carta di Roma.
Ciò che colpisce di più ascoltando l’audio della conferenza di presentazione del primo rapporto dell’Osservatorio
(disponibile qui http://www.radioarticolo1.it/audio/2010/07/20/5612/limmigrazione-nella-lente-dei-media-con-calabresi-de-gregorio-menichini-tarquinio-toti)
è la comune intenzione dei promotori di non “dare le pagelle” a nessuno e di fare in modo che non si crei una sorta di opposizione tra giornalisti e ricercatori sul tema. Ma per quale motivo i controllori e i controllati dovrebbero per forza essere solidali?
Roberto Natale in quell’occasione prevedeva che il “percorso (della Carta di Roma) avrà tempi lunghi. Come ogni processo che si propone di cambiare.”
Ma probabilmente la lentezza del cambiamento dipende proprio dall’eccessiva cautela con cui si procede ad applicare effettivamente il codice.
A questo proposito è opportuno ricordare che con la riforma dell’Ordine approvata il 2 agosto 2011 sono state cancellate dalla proposta la commissione deontologica nazionale e il giurì per la correttezza dell’informazione: un’ulteriore dimostrazione della scarsa volontà di autoregolamentazione delle istituzioni giornalistiche.
Dal lancio dell’iniziativa nel 2007 ad oggi si è parlato della Carta di Roma in maniera piuttosto autoreferenziale solo all’interno del settore professionale e del network di soggetti promotori: qualche comunicato stampa sull’Ansa, sul sito della FNSI, di Articolo21 e dell’Unhcr, qualche trasmissione radiofonica, qualche iniziativa accademica
(freerumble.com/audio.php?t=audio&id=983
http://www.fotoinfo.net/articoli/detail.php?ID=1473
http://www.comunicazione.uniroma1.it/osservatori.asp#due
http://www.coris.uniroma1.it/testo.asp?id=4593)
in una schietta analisi di Carlo Gubitosa
http://www.giornalismi.info/mediarom/articoli/art_1140.html
e in un intervento di Elisabetta di Fonzo, neolaureata alla Sapienza con una tesi appunto sulla Carta di Roma, che ha proposto l’argomento alla Rubrica “Noi e gli altri” di RaiNews24.
(http://altrevoci.blog.rainews24.it/2011/01/25/noi-e-loro-i-soggetti-deboli-e-il-codice-deontologico/).
Nella sua tesi, la Dottoressa Di Fonzo aveva evidenziato alcuni limiti strutturali della Carta, tra cui: "l’approssimazione e la scarsa esaustività del documento, dal momento che non si spiega con sufficiente accuratezza il rischio di diffondere informazioni xenofobe attraverso un certo tipo di giornalismo nè si fa una constatazione introduttiva sullo stato (malandato) dell’informazione in Italia su questi temi e sui danni reali che ciò provoca nella società, nonostante gli studi sul rapporto fra media e immigrazione sono ormai una lunghissima tradizione accademica. Il glossario inoltre non fa riferimento alle distorsioni del linguaggio comune, ma solo alla distinzione giuridica fra termini. Ma più che altro è nei “tic” linguistici (negli automatismi, nelle frasi fatte e nelle semplificazioni) che si celano i pregiudizi."
Le pratiche quotidiane dei media italiani in tema di migranti.
E’ sconcertante constatare che dall’amara vicenda di Erba ad oggi la situazione anziché migliorare sia peggiorata. Quando Azouz Marzouq venne accusato ingiustamente dell’omicidio dei suoi familiari fu davvero uno scandalo. I cittadini erano indignati. L’errore giornalistico ebbe ampio spazio nei giornali e nei tg nazionali. Si aprì un dibattito sulla deontologia e nacquero iniziative come, appunto, la Carta di Roma.
Negli anni seguenti invece, scandali simili sono stati trattati superficialmente dalla stampa e progressivamente ignorati. Forse qualcuno ricorderà il caso di Mohamed Fikri, accusato ingiustamente dell’omicidio di Yara Gambirasio e arrestato sul traghetto per Tangeri in seguito all’intercettazione di una sua conversazione in arabo tradotta male (aveva detto “Che Dio mi protegga” e non “che Dio mi perdoni per quello che ho fatto” ).
Le reazioni a quel vergognoso e imbarazzante episodio sono state molto più leggere che nel caso di Erba, dimostrando che il livello di sensibilità generale ad eventi di questo tipo anziché alzarsi si è ulteriormente abbassato ed ormai vengono implicitamente accettati comportamenti inammissibili secondo il Codice Deontologico e la Carta dei Doveri del giornalista.
Un altro caso degno di nota è stato quello dei rumeni “Racz e Loyos”, i cui volti sono stati sbattuti in prima pagina dalla maggior parte dei giornali all’indomani di una violenza sessuale ai danni di una 15enne avvenuta la notte di San Valentino del 2009. Nonostante fossero stati accusati ingiustamente, nonostante le stesse autorità giudiziarie avessero ammesso che per “leggerezze investigative” un uomo innocente ha passato 1 mese in carcere, nonostante persino Vespa abbia ammesso la verità, il rumeno Racz è e resterà nella memoria di tutti come lo stupratore della Caffarella.
Nessuno verrà chiamato a risarcire i danni a questa persona e a tutta la comunità rumena.
Non esiste una forma di deterrenza significativa per autori ed editori che danno così tanto spazio a notizie non verificate.
Ma quando “capita” un incendio doloso in un campo rom la stampa si guarda bene dal collegare il fatto con il bombardamento quotidiano di notizie di cronaca i cui responsabili, veri o presunti, sono rom o stranieri.
La diffusissima pratica di scrivere “probabilmente rumeno”, “forse dell’Est”, “dai tratti nordafricani”,“magrebino”, “con un accento che pareva slavo” etc etc. negli articoli di cronaca è talmente abusata che al lettore assuefatto ora bisogna specificare che “l’aggressore è un italiano”, quando si parla di crimini compiuti da nostri connazionali, suggerendo che è normale pensare automaticamente a un immigrato.
Una delle plausibili spiegazioni all’aggravarsi del razzismo sia nei media che nella società potrebbe essere l’assenza di sanzioni per i comportamenti scorretti e l’assenza di gratificazioni per quelli lodevoli. Non si viene incoraggiati a rispettare le regole, né si affrontano conseguenze quando le si infrangono. Cos’ha da perdere allora un editore che si trova tra le mani una notizia di cronaca nera ancora non verificata né approfondita, ma “ghiotta” dal punto di vista sensazionalistico? Niente. E infatti la pubblica. Confidando in un rapido oblio della faccenda, nel caso le informazioni si rivelassero false o incomplete.
Un’altra pratica allarmante è rappresentata dall’utilizzo dei tag nei giornali online, che aiutano il lettore a ricercare le “notizie correlate” e i link ad “altri articoli sull’argomento”. Apparentemente si tratta di un meccanismo di ricerca neutrale e automatico che raggruppa le informazioni su un certo tipo di argomento. Ma se l’argomento è la cronaca, le notizie correlate non sono soltanto le notizie di cronaca… più precisamente sono le notizie che riguardano sia la cronaca, sia gli immigrati (tradizionalmente protagonisti della maggior parte dei fatti di cronaca che i giornali decidono di riportare).
Qui accade ciò che Eli Pariser ha descritto in “The filter bubble”, e cioè che le ricerche su internet diventano sempre più personalizzate in base agli interessi manifestati precendentemente, con il risultato che ormai si tende a trovare ciò che si sa e che ci si aspetta già, rinforzando i propri pregiudizi e accumulando informazioni sempre più autoreferenziali.
Un caso emblematico da segnalare è l’articolo di Magdi Cristano Allam su “Il Giornale” del 5 Settembre che illustra una teoria interessante secondo la quale il terrorismo nasce nelle moschee.. perché se si fa una ricerca sul sito dell’Ansa, digitando la parola moschea il 99% delle notizie riguarda il terrorismo…
Allam senza saperlo sta confermando invece la tesi secondo la quale i giornali e le agenzie di stampa parlano di immigrazione solo quando parlano di violenza, infatti basterebbe fare la ricerca su Ansa.it con la parola chiave “terrorismo” e scoprire che anche in quel caso in tutte le notizie compare la parola “moschea”. Purtroppo però bisogna ricordare che nel caso di un atto terroristico come quello compiuto da Breivik in Norvegia non si è quasi mai parlato di terrorismo, né si è dato sufficiente spazio alle motivazioni del folle gesto, tra cui la volontà di compiere una crociata anti-islamica.
Uno squilibrato di estrema destra che uccide 80 persone perché vede il nemico nell’Islam non provoca nessun allarmismo sul pericolo di una cattiva informazione sull’Islam. Infatti nel linguaggio giornalistico l’Islam è diventato sinonimo di terrorismo, ed il terrorismo è diventato sinonimo di islam: i due significati si sono fusi ed è difficile utilizzare un termine senza richiamare l’altro.
“Queste atrocità perpetrate all’interno delle moschee sono sempre accadute da quando esiste l’islam, che si conferma come una religione intrinsecamente violenta e storicamente conflittuale. (…) Mi era già capitato in passato di fare ciò che ho appena fatto, ossia registrare gli attentati che si perpetrano nelle moschee, ed è sempre emerso lo stesso risultato: le moschee nel mondo generano violenza. Se le vogliamo significa che siamo propri votati al suicidio”.
Parola di Magdi “Cristiano” Allam.
Possibili rimedi alla schizofrenia giornalistica.
I giornali italiani, unici in Europa, resistono ancora nella tendenza a concentrarsi esclusivamente sugli affari interni del paese, tralasciando significativamente gli esteri e le relazioni internazionali. La risposta automatica che viene data dai giornalisti che tentano di giustificare questo tipo di pratica è “agli italiani non interessa”, una scusa retorica e superficiale che ignora il fatto che molti italiani hanno smesso di leggere i giornali e mettono in atto un cosciente boicottaggio alla stampa proprio perché la giudicano poco accurata, poco professionale, carente negli approfondimenti e corrotta dagli interessi politici.
L’attenzione della stampa italiana per il fenomeno dell’immigrazione si limita quasi esclusivamente alla cronaca e all’emergenza sbarchi a Lampedusa o nelle coste del Sud della Penisola. La questione dell’immigrazione irregolare via mare non viene mai contestualizzata e raccontata come un fenomeno continuo e in evoluzione da circa un ventennio, ma al contrario, citato solo sotto l’etichetta “emergenza” e quasi univocamente descritto come un avvenimento straordinario che in apparenza si verifica senza preavviso, inspiegabilmente, trovando impreparati gli attori coinvolti e le autorità e costringendo lo Stato italiano ad interventi, appunto, di emergenza.
Solo in rari casi il fenomeno viene collegato alla situazione politica dei paesi di partenza e di origine dei migranti che approdano sulle coste italiane, spesso in cerca di asilo politico, spesso in cerca di un lavoro, spesso in condizioni di disperazione, spesso no*.
In particolare, una grave lacuna è rappresentata dal disinteresse per la ricerca di collegamenti tra la situazione passata e attuale nella vicina Libia, da cui partono la maggior parte delle imbarcazioni che arrivano in Italia. I media italiani presentano una narrativa parziale e incompleta del fenomeno, limitandosi a riportare l’occorrenza dello sbarco o gli episodi di violenza nei centri di detenzione.
Ciò che colpisce di più è che la retorica, la narrativa e la contestualizzazione dell’immigrazione e della situazione nei paesi di origine dei migranti non sono cambiati minimamente da prima a dopo le Rivoluzioni. Ciò di cui si parla ora è proprio lo stesso di cui si parlava nel 2010. La stampa italiana non è ancora riuscita ad interiorizzare il cambiamento, né ad ammettere gli errori di valutazione.
Perciò sta continuando strenuamente a cercare di far entrare questo fenomeno nelle categorie classiche dello scontro di civilizzazioni in cui l’occidente vuole la libertà e un non meglio specificato “medio-oriente” vuole la repressione attraverso la sharia. Si parla del mondo arabo solo quando si verificano episodi di violenza e quando sono coinvolti gruppi islamisti. In questo modo i media stanno contribuendo a lasciare i cittadini nell’ignoranza, privandoli di strumenti fondamentali per decifrare gli eventi e le loro possibili conseguenze future.
Tutti gli italiani vengono danneggiati da questo comportamento, perché in questo modo non viene garantito il diritto di essere informati.
Anche se la Carta di Roma è stata integrata nei programmi universitari e nei master ed è diventata materia di esame per accedere all’Ordine dei Giornalisti, allo stato attuale ciò non fa che aumentare lo scarto tra quelli che hanno a cuore l’etica sull’immigrazione, hanno studiato a fondo la deontologia e hanno una visione ideale (ma sarebbe il caso di dire idealizzata…) della professione del giornalista, e la realtà delle redazioni italiane, in cui le pratiche quotidiane sono ben diverse da ciò che predica l’etica.
I cronisti di giustizia e interni sono quelli che più spesso scrivono di immigrazione, senza conoscere approfonditamente la materia e la terminologia ad essa legata.
L’approssimazione e la semplificazione sono all’ordine del giorno. La maggior parte delle notizie vengono copiaincollate dalle agenzie e non vengono neanche firmate.
E’ necessario il contributo di persone esperte sul tema, come ammettono i promotori della Carta di Roma e gli editori delle principali testate, ma raramente le redazioni prevedono un budget per questo tipo di figure. Roberto Natale, presidente della FNSI, durante la conferenza di presentazione del primo rapporto dell’Osservatorio aveva ammesso : “Il rischio è che la nostra informazione concorra a distorcere anziché ad alimentare l’opinione pubblica. Come giornalisti ci siamo detti che dovevamo smetterla di andare al traino di interessi politici negativi, cioè la strumentalizzazione mediatica (…) che porta consenso elettorale. Quella che Gad Lerner ha chiamato imprenditoria della paura.”
I protagonisti diretti delle vicende e i professionisti che conoscono bene il tema non vengono mai interpellati. I politici vengono citati testualmente nonostante le falsità che declamano.
Il problema riguarda principalmente la scarsità e inadeguatezza delle fonti: non si può parlare solo tramite il Ministero dell’Interno e i commenti dei politici, senza mai far prendere la parola ad uno dei 5 milioni di migranti che vivono e lavorano in Italia.
Ma il problema è anche economico e strutturale. I media campano soprattutto grazie alle entrate pubblicitarie e per questo sono propensi a fare di tutto per aumentare l’audience giocando sull’emotività.
In America e in Inghilterra, attraverso documenti di autoregolamentazione come questo dell’Unione Nazionale dei giornalisti (www.nuj.org.uk/getfile.php?id=214) , si pongono limiti chiari e inequivocabili. La pratica di identificare le persone con la loro provenienza etnica, razziale etc. è praticamente scomparsa.
Ogni giorno dando uno sguardo ai principali giornali italiani, oltre a notare una forte somiglianza tra le agende di tutte le homepage, (dall’Unità a Libero le notizie sono praticamente le stesse, nello stesso ordine e spesso con gli stessi titoli), basta sfogliare un’edizione a caso per incontrare almeno un paio di violazioni settimanali del Codice Deontologico e non solo della Carta di Roma.
Ma non basta essersi indignati per una buona causa…
Questo articolo è un invito a tutte le persone interessate all’argomento a segnalare razzismo, uso di terminologia scorretta, violazioni del Codice Deontologico e della Carta di Roma per le informazioni riguardanti i migranti attraverso twitter, usando gli hashtag (Alcuni esempi potrebbero essere #cartadiroma #violazionecartadiroma #razzismomediaitaliani #mediavsmigration #osservatoriocartadiroma) e collezionando in questo modo le diverse segnalazioni di tutti i network interessati all’argomento, oltre ai singoli individui, per fare in modo che le iniziative di questo tipo non restino isolate e frammentate negli innumerevoli appelli alla correttezza.
Si potrebbe veramente cominciare a dare le pagelle.
La raccolta delle segnalazioni attraverso twitter potrebbe diventare uno strumento ad memoriam per individuare quelli che si adattano al “così fan tutti” e quelli che invece hanno il coraggio di cambiare.
*P.S.
Anche Roberto Natale ha dimostrato di avere una visione leggermente distorta della realtà dell’immigrazione quando alla conferenza ha affermato che “la parola clandestino rimanda a qualcuno che vive nell’ombra e mira a far qualcosa di negativo o di criminale, mentre se (sono richiedenti asilo che fuggono da una guerra) e sono in cerca di libertà meritano la nostra solidarietà”.
Ma il rispetto e la solidarietà li meritano anche i clandestini. Come tutti gli esseri umani. Non soltanto quelli disperati.
Ed ecco un tipico commento dell’italiano medio quando, per l’ennesima volta, sente parlare di “disperati”. (Da “Il Fatto quotidiano”. Commento alla recensione del film “Terraferma” di Emanuele Crialese).
finferlo
4 settembre 2011 alle 18:38
arrivo di eserciti di immigrati ” disperati”.. tutti fuggono dalla guerra, ( anche dove questa non c’è ) tutti in fuga dalla fame,( mi sembra che sian ben pasciuti ed in carne, fors’anche troppa..)poi sempre donne incinte..( indigestione di cazz..)..sempre a dire che l’accoglimento è inadeguato… che c’è il menefreghismo sociale.. che c’è la paura dello straniero……..PALLE….in un paese ormai ridotto alla miseria per sprechi, ruberie e malagestione dalla cosa pubblica…. CONTINUANO ad errivare i…” disperati “….tutti da accudire anche quando non ci son risorse per i VERI CITTADINI DI QUESTO PAESE ridotto ormai, ( come anche definito dal primo ministro….)in ….m.e.r.d….Risiedo nel bresciano, ma non scambiatemi per questo come ..leghista…il mio comune è perennemente assediato da extracomunitari che continuamente chiedono e pretendono..l’ufficio inps, a malapena i nostri riescono a prender il numeretto da tanto è affollato da tutta stà gente…sul giornale di stamane è stato arrestato un gruppo di migranti per rapina… da pochi giorni in città..provenivan tutti da….lampedusa…scippi a danno di donne, anziani furti, rapine,svuotamenti di bancomat (con l’espolisione di bombolette di gas)…furti e rapine nelle case… botte ai rapinati…spaccio di droga e tutti gli angoli delle strade..decine di queste persone che occupano i prati dei parchi dove sporcano e dove, purtroppo, nessuno di noi italiani osa più andarci….provate ad andare in stazione ferroviaria, specialmente la sera se trovate il coraggio e guardate nei servizi igienici,poi i pronto soccorso degli ospedali,monopolizzato da questa gente ma dove a pagare il tikets spetta solo al coglion..italiano,guardate ai catorci in giro per le strade dove sicuramente non verrà pagato non solo il bollo ma neanche l’assicurazione,.CATORCI tenuti insieme con lo spago,col nastro adesivo,con fogli di plastica trasparente al posto dei finestrini e del lunotto.ma per favore è ora di finirla col buonismo…
La Haine, Mathieu Kassovitz, 1995, Hubert Koundé
C’est l’histoire d’un homme qui tombe d’un immeuble de cinquante étages. Le mec, au fur et à mesure de sa chute se répète sans cesse pour se rassurer : jusqu’ici tout va bien, jusqu’ici tout va bien, jusqu’ici tout va bien. Mais l’important c’est pas la chute, c’est l’atterrissage.
La haine attire la haine.
Carta dei doveri del giornalista.
«Il giornalista ha il dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua dignità ed il suo diritto alla riservatezza e non discrimina mai nessuno per la sua razza, religione, sesso, condizioni fisiche o mentali, opinioni politiche»; «Il giornalista non deve omettere fatti o dettagli essenziali alla completa ricostruzione dell'avvenimento. I titoli, i sommari, le fotografie e le didascalie non devono travisare, né forzare il contenuto degli articoli o delle notizie»; il giornalista «non deve inoltre pubblicare immagini o fotografie […] comunque lesive della dignità della persona»
*ricercatrice e giornalista free lance
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