di Lorenzo Frigerio*
Occorre mettere in fila tre date, leggere in filigrana tre avvenimenti, per capire il perché delle polemiche sul carcere duro per i mafiosi che stanno arroventando questo scorcio di inizio anno e per tentare di arrivare a dare una spiegazione reale di quanto è avvenuto. La prima data da tenere in evidenza è quella di venerdì 4 dicembre: è il giorno dell’attesa deposizione al processo d’appello contro Marcello Dell’Utri di un importante killer di Cosa Nostra, Gaspare Spatuzza. Tra imponenti misure di ordine pubblico – la corte si è spostata da Palermo a Torino per ragioni di sicurezza – l’ex mafioso pronuncia nell’aula bunker del tribunale il suo duro atto d’accusa nei confronti del senatore e del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Sarebbero stati loro i nuovi referenti politici che avrebbero garantito i boss della mafia, convincendo questi ad abbandonare la stagione delle stragi, che nel 1993 avevano seminato morte e terrore a Roma, Firenze e Milano.
L’uomo d’onore, che oggi collabora con la giustizia, porta a supporto delle sue dichiarazioni quanto apprese dalla viva voce del boss di Brancaccio: “Graviano mi fece il nome di Berlusconi e mi disse che grazie a lui e al compaesano nostro ci eravamo messi il paese tra le mani. Graviano mi disse che avevamo ottenuto tutto quello e questo grazie alla serietà di quelle persone che avevano portato avanti questa storia, che non erano come quei quattro 'crasti' socialisti che avevano preso i voti dell'88 e '89 e poi ci avevano fatto la guerra”. Alle terribili accuse confermate in aula, il “compaesano nostro”, vale a dire Dell’Utri risponde in modo a dir poco lapidario: “Spatuzza? Uno così, Falcone l'avrebbe denunciato”.
La seconda data utilmente rievocabile è quella di venerdì 11 dicembre: a Palermo si tiene la nuova udienza del processo a carico di Dell’Utri e sono previste, in videoconferenza, le deposizioni dei due fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, chiamati a confermare o smentire le accuse di Spatuzza. Il primo smentisce su tutta la linea qualsiasi possibilità di trattativa con l’ex manager di Publitalia e inventore di Forza Italia: “Non ho mai conosciuto il senatore Dell'Utri né direttamente né indirettamente e quindi non ho mai avuto rapporti con lui”.
L’altro Graviano, Giuseppe, invece si avvale della facoltà di rispondere: “Il mio stato di salute non mi consente di rispondere all'interrogatorio. Quando potrò informerò la Corte”. Giuseppe Graviano chiede inoltre che venga letto un suo memoriale in aula, ma la richiesta viene respinta.
Il comportamento tenuto in sede processuale da Giuseppe Graviano fa da corollario alla terza e ultima data: è il primo gennaio dell’anno nuovo quando l’avvocato di Graviano, Gaetano Giacobbe, comunica che il suo cliente ha ottenuto la revoca dell’isolamento diurno previsto dall’articolo 41 bis, la norma che regolamenta il cosiddetto “carcere duro” per gli affiliati alle cosche. Il boss di Brancaccio si trova attualmente recluso nel carcere di Opera, alle porte di Milano, dove sta scontando le condanne all’ergastolo comminategli in questi anni.
In realtà il provvedimento di revoca sarebbe già in vigore dalla metà di dicembre, a pochi giorni dal rifiuto di deporre davanti ai giudici del processo palermitano nei confronti del senatore del PdL.
Ecco queste tre date, questi tre avvenimenti messi uno in fila all’altro hanno provocato in queste ore una serie di reazioni veementi, sia in ambito politico sia da parte di alcune associazioni di familiari delle vittime.
La prima a reagire alla notizia battuta dalle agenzia è Giovanna Maggiani Chelli, dell’Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili che in una lettera infuocata al ministro della Giustizia Angiolino Alfano, scrive: “è scandaloso che in questo clima di buonismo a buon mercato a Graviano Giuseppe sia stato fatto un regalo di natale che gli ammorbidisce il 41 bis. Butti via le chiavi per il mafioso che ci ha rovinato la vita ammazzando i nostri figli e rendendone di invalidi alla mercé di organismi di stato tutt'altro che buoni, o chieda a Graviano Giuseppe di dirci, collaborando con la giustizia, la verità sulla morte dei nostri figli, quella che spavaldamente ha sempre negato in tribunale ricattando i governi”.
Tornano sulla possibilità di una qualsiasi forma di ricatto, anche i commenti rilasciati da alcuni politici. Il leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro sottolinea come “ciò avviene pochi giorni dopo il silenzio omertoso del boss e, al di là delle intenzioni, rischia di apparire come una ricompensa”. Laura Garavini (PD) e Fabio Granata (PdL), entrambi in Commissione antimafia, esprimono con toni diversi profonda preoccupazione per l’accaduto e chiedono l’acquisizione degli atti della Corte d’Appello di Palermo, sollecitando altresì un intervento chiarificatore del ministro della Giustizia Alfano.
Nell’immediatezza di queste ore, resta di difficile lettura quanto sta realmente avvenendo, vuoi perché il periodo festivo rallenta ogni decisione e presa di posizione da parte dell’autorità, vuoi perché ancora una volta ci si districa con difficoltà tra i fatti e la loro interpretazione.
Senza voler a tutti i costi fare della dietrologia, resta sicuramente singolare lo sviluppo dei tre fatti che abbiamo ricordato: non è detto però che alla concatenazione temporale di una serie di avvenimenti si accompagni sempre e comunque anche una loro concatenazione logica.
È sembra proprio questo il caso per una volta.
Infatti, occorre ricordare che Giuseppe Graviano si trova in carcere dal gennaio del 1994 e che l’isolamento diurno è una sanzione penale accessoria che non incide sul regime disposto dal 41 bis. A tale proposito occorre ricordare che l’art. 72 del vigente Codice Penale (Concorso di reati che importano l'ergastolo e di reati che importano pene detentive temporanee) è molto chiaro: “Al colpevole di più delitti, ciascuno dei quali importa la pena dell'ergastolo, si applica la detta pena con l'isolamento diurno da sei mesi a tre anni. Nel caso di concorso di un delitto che importa la pena dell'ergastolo, con uno o più delitti che importano pene detentive temporanee per un tempo complessivo superiore a cinque anni, si applica la pena dell'ergastolo con l'isolamento diurno per un periodo di tempo da due a diciotto mesi.”.
Il tetto massimo disposto dalla legge sarebbe stato superato nel caso di Graviano, che pure sta scontando più condanne all’ergastolo e che resta comunque sottoposto al “carcere duro”. Sono queste le ragioni alla base della decisione presa dalla terza sezione della Corte d'Assise d'appello di Palermo che ha disposto l’immediata cessazione della sanzione penale accessoria.
Saremmo quindi in presenza di “rumors” di inizio anno assolutamente ingiustificati, che tuttavia non devono far passare in secondo piano che la scelta processuale diversa tenuta dai fratelli Graviano deve comunque essere analizzata per capire cosa realmente i due nascondano a distanza di tanti anni dalle stragi del 1993.
Fare il contrario e alimentare le polemiche, anche quando sembrerebbe inutile, serve soltanto ad alzare un polverone inutile, dietro al quale si possono nascondere facilmente ragioni, motivazioni e attività quelle sì profondamente censurabili.
Si può essere pienamente e umanamente solidali con le ragioni dei familiari delle vittime, si può provare civile indignazione all’idea che un pluriassassino sia messo nelle condizioni di socializzare con altri criminali, ma non si deve dimenticare che la battaglia contro le mafie deve essere condotta secondo le regole dello Stato di diritto, pena la barbarie contro la barbarie.
*da Liberainformazione