Articolo 21 - IDEE IN MOVIMENTO
Enzo Mazzi e l’Isolotto: un caso serio del post-Concilio in Italia
di Luigi Sandri*
La scomparsa di Enzo Mazzi – morto a Firenze il 22 ottobre, ottantaquattrenne – è un grande lutto per quanti, e noi siamo tra quelli, gli vollero bene. Ma, a prescindere da questi legami di amicizia, qui, tra i molti eventi della sua vita, ci sembra utile richiamarne alla memoria uno, cruciale, e cioè la scintilla che quarantatre anni fa innescò la vicenda dell’Isolotto, a modo suo esemplare del clima del post-Concilio in Italia.
L’occupazione della cattedrale di Parma
Il 14 settembre 1968 accade un fatto singolare, che ha vasta eco sui media: a Parma alcuni cattolici – tra essi «I Protagonisti» e alcuni membri del gruppo Mattei – occupano la cattedrale. Perché? Lo spiegano essi stessi: «Non vogliamo che la chiesa di s. Evasio sia costruita con i soldi della Cassa di Risparmio. E’ ora che la gerarchia ecclesiastica abbia il coraggio di fare una scelta discriminante a favore dei poveri contro il sistema capitalistico... Denunciamo il divario economico esistente tra i sacerdoti della diocesi. Non è concepibile che si ripetano all’interno della gerarchia le tipiche situazioni di ingiustizia della società borghese… Riteniamo urgente la riforma dei seminari per evitare che continuino ad uscire preti culturalmente plagiati.
Con rammarico constatiamo che purtroppo queste intollerabili situazioni sono la logica conseguenza della Chiesa intesa come autoritarismo e come supporto del potere costituito. Concordato e immunità varie ne sono il prezzo… La nostra coscienza e il nostro amore verso il popolo di Dio, ci induce a chiedere una netta discriminante tra coloro che sono dalla parte del vangelo dei poveri, e coloro che servono due padroni: Dio e il denaro».
La vicenda di Parma sta diventando talmente clamorosa che lo stesso Paolo VI, all’udienza generale di mercoledì 18 settembre la cita. Erano diversi mercoledì che i discorsi del pontefice ruotavano intorno all’amore alla Chiesa e al dovere dei fedeli di essere obbedienti alle direttive stabilite dal magistero. Ad innescare la preoccupazione del pontefice era stato il coro di proteste – dalla base, dal mondo teologico, da singoli preti e anche da vescovi – che si erano levate contro la Humanae vitae, l’enciclica del 25 luglio precedente che aveva proclamato immorale la contraccezione. Riferendosi al Vaticano II, concluso tre anni prima, papa Montini lamentava: «Alcuni pensano che il Concilio sia già superato; e, non ritenendo di esso che la spinta riformatrice senza riguardo a ciò che quelle solenni assise della Chiesa hanno stabilito, vorrebbero andare oltre, prospettando non già riforme, ma rivolgimenti, che credono potere da sé autorizzare, e che giudicano tanto più geniali quanto meno fedeli e coerenti con la tradizione, cioè con la vita, della Chiesa, e tanto più ispirati quanto meno conformi all’autorità e alla disciplina della Chiesa stessa… Che cosa diremo poi di certi episodi di occupazione di Chiese Cattedrali, di proteste collettive e concertate contro la Nostra recente enciclica, di propaganda della violenza politica per scopi sociali, di conformismo e manifestazioni anarchiche di contestazione globale? Dov’è la coerenza e la dignità proprie di veri cristiani? dov’è il senso di responsabilità verso la propria e verso l’altrui professione cattolica? dov’è l’amore alla Chiesa?».
Naturalmente, l’occupazione della cattedrale di Parma interpellava soprattutto la Chiesa locale. Il Consiglio pastorale di S. Maria della pace affermava di condividere sostanzialmente molte delle posizioni sostenute dai contestatori, precisando però di non condividere le loro «modalità. Ogni azione nella Chiesa, anche la più audace, non può rompere la comunione con il vescovo». Analoga la posizione della giunta diocesana di Azione cattolica: d’accordo nel merito «con gli argomenti indicati nei documenti di occupazione, degni di attenzione per un ampio e responsabile dibattito… ma sul metodo usato esprimiamo il nostro fraterno e fermo dissenso». Manifestava poi rammarico per il fatto che l’occupazione si fosse conclusa con l’intervento della Forza pubblica. Da parte sua, monsignor Amilcare Pasini, amministratore apostolico di Parma, ammetteva la fondatezza di alcune critiche, ne respingeva fermamente altre, deplorava l’occupazione e ribadiva l’indispensabile compito del vescovo per «autenticare il senso e il contenuto del carisma dei singoli».
La solidarietà dell’Isolotto irrita l’arcivescovo di Firenze
Domenica 22 settembre ’68 nella chiesa parrocchiale dell’Isolotto, guidata da don Enzo Mazzi, viene distribuito un ciclostilato nel quale si esprime solidarietà al gruppo di cattolici che ha occupato la cattedrale di Parma, e alle loro ragioni. L’Isolotto era un quartiere popolare di Firenze, la parrocchia del quale – retta dal 1954 da don Mazzi – si distingueva per uno stile di partecipazione; per una costante attenzione ai problemi delle classi più umili e dunque per una pastorale conseguente; per uno sforzo di riflettere insieme sia sui problemi locali che su quelli globali del mondo, il che incrociava il tema dei poveri risuonato al Vaticano II e una ricerca sulle strutture sociopolitiche che tale impoverimento generavano.
Questo «stile pastorale» piaceva poco all’arcivescovo di Firenze, cardinale Ermenegildo Florit, che già un paio di anni prima della vicenda di Parma aveva espresso la sua disapprovazione a don Mazzi.
La tensione tra la parrocchia e la Curia fiorentina era rimasta tuttavia un fatto interno alla diocesi; a farla diventare un evento che oltrepassò i suoi confini e scosse l’intera Chiesa italiana fu l’adesione dell’Isolotto agli occupanti la cattedrale, con tutte le conseguenze che, a valanga, ne seguirono. Affermava, il ciclostilato di solidarietà: «Concordiamo pienamente con la vostra azione… Viviamo in una Chiesa che non ha a fondamento i poveri, gli oppressi, i rifiutati, gli affamati e assetati di giustizia… Questa è la tragedia della nostra Chiesa cattolica in tanti paesi occidentali: i pastori perdono spesso la coscienza del loro ruolo profetico e dormono nella dolce ubriachezza di un culto finanziato dai grandi padroni del capitale, che stringono la Chiesa con i legami aurei delle loro splendide elemosine. Le nostre mani cristiane hanno perduto la sensibilità evangelica e non si bruciano più nel ricevere l’oro diabolico dei “cristianissimi” sfruttatori della nostra società. Una Chiesa che ammette indiscriminatamente alla mensa eucaristica sfruttati e sfruttatori senza denunziare efficacemente questa degradante situazione non fa che “mangiare e bere senza discernere il Corpo del Signore”, ossia senza attribuire al cibo e alla bevanda eucaristica il loro valore di agglutinante sociale; e, pertanto, un tremendo sacrilegio: “Mangia e beve il proprio castigo” [vedi I Corinti, capitolo 11] ».
Proseguiva, poi, il ciclostilato: «La nostra coscienza cristiana ci impedisce di essere d’accordo col papa quando vi accusa di mancanza di amore per la Chiesa, quando vi rimprovera di esservi impoveriti e svuotati di amore apostolico, fino a diventare molesti e nocivi alla Chiesa di Dio, quando addirittura vi definisce nemici. L’accusa del papa si addice a coloro che hanno chiamato la polizia per cacciarvi fuori dalla vostra casa. Non siamo neppure d’accordo con il vostro vescovo il quale asserisce che il vostro metodo non è evangelico ed è lesivo della dignità e del rispetto che si devono alla persona umana. Come se fosse evangelico e rispettoso il metodo di costruire chiese col denaro proveniente dallo strozzinaggio legalizzato delle banche».
Assai irritato per questo ciclostilato, il 30 settembre Florit scriveva a don Mazzi: «Tu abiti in una canonica e ti servi per le tue opere (asilo) e per la diffusione delle tue idee di un immobile e di una chiesa che sono tra le più belle di quante ne siano state costruite dal cardinale Dalla Costa [l’arcivescovo predecessore], col contributo dello Stato e con la cooperazione di tutti, non esclusi i ricchi e le banche, che vollero dare a suo tempo il loro obolo». Il porporato accusava poi Mazzi di criticare le ricchezze della Chiesa, ma di «ricevere intanto dallo Stato una “congrua” [la sovvenzione data a tutti i parroci] che ti configura automaticamente nel numero di coloro che tu chiami privilegiati e compromessi col “sistema” di una Chiesa che sarebbe legata a doppio filo alle strutture di questo mondo».
E quindi poneva un dilemma: «O sei disposto a ritrattare pubblicamente un atteggiamento così offensivo verso l’autorità della Chiesa, come quello assunto con la “lettera aperta” del 22 settembre, atteggiamento tanto contrario al tuo dovere di sacerdote e di parroco, oppure, riconoscendo che è assurdo continuare a far parte di “strutture” così violentemente condannate, intendi dimetterti dall’ufficio di parroco».
Il 9 ottobre la comunità parrocchiale – quella coinvolta nelle iniziative del parroco – con un ciclostilato replica a Florit; dopo aver osservato che il documento del 22 settembre era stato composto e sottoscritto da quattro sacerdoti e da molti laici, si domanda: «Perché il vescovo si rivolge solo a don Mazzi? Perché chiama in causa solo la persona del parroco? Il questo modo il vescovo dimostra di considerare gli altri sacerdoti e i laici come un branco di pecore che (salvo un piccolo numero di dissenzienti) si lascia coinvolgere, influenzare, trascinare?... Don Mazzi è ritenuto responsabile di avere coinvolto nelle proprie idee il popolo dell’Isolotto, togliendo al vescovo questa prerogativa. Non è forse vero anche l’inverso e cioè che il popolo ha coinvolto i sacerdoti nelle sue aspirazioni più profonde e più sentite?... Non solo il vescovo o il parroco, ma tutti i membri del popolo di Dio hanno lo Spirito profetico di Cristo; quindi tutti hanno il diritto di parlare e di esprimere quello che Dio suggerisce loro; e il magistero del vescovo è servizio e non dominio verso la libertà di coscienza e di parola del Popolo di Dio. Queste cose le ha dette il Concilio e noi abbiamo cercato di realizzarle, perché è inutile dirle se poi rimangono lettera morta non essendoci gli strumenti per realizzarle».
I nodi di fondo: come intendere la Chiesa sognata dal Concilio
Il seguito della vicenda è conosciuto: dopo una serie di risposte e controrisposte, tra la Curia e l’Isolotto, e l’invito di centoeotto sacerdoti fiorentini a creare strutture di dialogo che permettano di superare il contrasto in atto tra don Mazzi e l’arcivescovo, si apprende che lo stesso pontefice è disposto a ricevere il parroco; ma l’ipotesi rimane tale, perché in Vaticano, come del resto nella Curia di Firenze, si continua a voler trattare con il solo parroco, e non si accetta minimamente che egli venga accompagnato da esponenti della sua comunità. Intanto, Florit vieta in tutta la diocesi l’adozione del «Catechismo dell’Isolotto», accusato di presentare Cristo «inteso solo come agitatore sociale». Il 4 dicembre ’68 l’arcivescovo emana il decreto di rimozione di don Mazzi dall’ufficio di parroco; un mese dopo, protetto dalla polizia (perché mai?), l’arcivescovo fa riprendere la chiesa dell’Isolotto. Quanti, nella parrocchia, erano legati all’esperienza precedente, continuano la loro vita ecclesiale nella Comunità cristiana di base dell’Isolotto, una delle più note fra tutte quelle italiane; malgrado molte difficoltà, e certo più piccola rispetto ai decenni passati, essa ha continuato fino ad oggi. Diceva Enzo: noi non siamo eterni, moriremo, ma altre esperienze nasceranno per cercare di tradurre l’evangelo in linguaggi ed attuazioni comprensibili alla gente.
Volendo, al di là della cronaca, sintetizzare il senso della vicenda dell’Isolotto, questi ci sembrano i punti nevralgici:
1/ Una diversa comprensione dell’affermazione del Vaticano II che la Chiesa è il popolo di Dio pellegrinante nella storia. Nel concreto, come inverarla? Se si dà la voce alla gente, come fece don Mazzi, e la si ascolta veramente, è possibile che molte norme canoniche vengano disattese; ma se il metro di misura decisivo è, come lo fu per Florit, il Codice di diritto canonico, si finisce per espropriare il popolo, e svuotare un’affermazione costitutiva del Concilio.
2/ Una diversa pastorale nella Chiesa. Vista dai vertici, e senza alcuna mediazione, porta all’intransigenza di Florit; vista dalla base, porta a ridisegnare la concreta esistenza della Chiesa locale, diocesi e parrocchia.
3/ Il rapporto Chiesa e povertà, sul quale il Vaticano II aprì qualche varco, porta inevitabilmente a ridiscutere le scelte concrete dell’istituzione-Chiesa, i suoi rapporti con lo Stato e, quindi, a ridiscutere dalle fondamenta i privilegi che la Chiesa cattolica italiana si è garantita anche con il Concordato del 1984.
4/ Se Florit diede giudizi sferzanti su don Mazzi e sull’Isolotto, il suo secondo successore, il cardinale Silvano Piovanelli, riconobbe invece, di fatto, che la Chiesa fiorentina non aveva saputo accogliere semi evangelici presenti in quell’esperienza. Anche questa variabilità da vescovo a vescovo dimostra come, nella complessità della storia, le gerarchie ecclesiastiche, prima di giudicare e condannare, farebbero bene a discernere.
Con i suoi grumi risolti ed irrisolti, la vicenda di Enzo Mazzi e dell’Isolotto, rappresenta a tutt’oggi – ci pare – un caso serio del post-Concilio nella Chiesa cattolica italiana. Rimuoverla non sarebbe una scelta saggia; misurarsi con essa, invece, un’occasione rara per capire dal di dentro una storia che forse rimarrà nella Grande Storia, con le sue asperità e le sue luci.
*redattore e vaticanista di Confronti
L’occupazione della cattedrale di Parma
Il 14 settembre 1968 accade un fatto singolare, che ha vasta eco sui media: a Parma alcuni cattolici – tra essi «I Protagonisti» e alcuni membri del gruppo Mattei – occupano la cattedrale. Perché? Lo spiegano essi stessi: «Non vogliamo che la chiesa di s. Evasio sia costruita con i soldi della Cassa di Risparmio. E’ ora che la gerarchia ecclesiastica abbia il coraggio di fare una scelta discriminante a favore dei poveri contro il sistema capitalistico... Denunciamo il divario economico esistente tra i sacerdoti della diocesi. Non è concepibile che si ripetano all’interno della gerarchia le tipiche situazioni di ingiustizia della società borghese… Riteniamo urgente la riforma dei seminari per evitare che continuino ad uscire preti culturalmente plagiati.
Con rammarico constatiamo che purtroppo queste intollerabili situazioni sono la logica conseguenza della Chiesa intesa come autoritarismo e come supporto del potere costituito. Concordato e immunità varie ne sono il prezzo… La nostra coscienza e il nostro amore verso il popolo di Dio, ci induce a chiedere una netta discriminante tra coloro che sono dalla parte del vangelo dei poveri, e coloro che servono due padroni: Dio e il denaro».
La vicenda di Parma sta diventando talmente clamorosa che lo stesso Paolo VI, all’udienza generale di mercoledì 18 settembre la cita. Erano diversi mercoledì che i discorsi del pontefice ruotavano intorno all’amore alla Chiesa e al dovere dei fedeli di essere obbedienti alle direttive stabilite dal magistero. Ad innescare la preoccupazione del pontefice era stato il coro di proteste – dalla base, dal mondo teologico, da singoli preti e anche da vescovi – che si erano levate contro la Humanae vitae, l’enciclica del 25 luglio precedente che aveva proclamato immorale la contraccezione. Riferendosi al Vaticano II, concluso tre anni prima, papa Montini lamentava: «Alcuni pensano che il Concilio sia già superato; e, non ritenendo di esso che la spinta riformatrice senza riguardo a ciò che quelle solenni assise della Chiesa hanno stabilito, vorrebbero andare oltre, prospettando non già riforme, ma rivolgimenti, che credono potere da sé autorizzare, e che giudicano tanto più geniali quanto meno fedeli e coerenti con la tradizione, cioè con la vita, della Chiesa, e tanto più ispirati quanto meno conformi all’autorità e alla disciplina della Chiesa stessa… Che cosa diremo poi di certi episodi di occupazione di Chiese Cattedrali, di proteste collettive e concertate contro la Nostra recente enciclica, di propaganda della violenza politica per scopi sociali, di conformismo e manifestazioni anarchiche di contestazione globale? Dov’è la coerenza e la dignità proprie di veri cristiani? dov’è il senso di responsabilità verso la propria e verso l’altrui professione cattolica? dov’è l’amore alla Chiesa?».
Naturalmente, l’occupazione della cattedrale di Parma interpellava soprattutto la Chiesa locale. Il Consiglio pastorale di S. Maria della pace affermava di condividere sostanzialmente molte delle posizioni sostenute dai contestatori, precisando però di non condividere le loro «modalità. Ogni azione nella Chiesa, anche la più audace, non può rompere la comunione con il vescovo». Analoga la posizione della giunta diocesana di Azione cattolica: d’accordo nel merito «con gli argomenti indicati nei documenti di occupazione, degni di attenzione per un ampio e responsabile dibattito… ma sul metodo usato esprimiamo il nostro fraterno e fermo dissenso». Manifestava poi rammarico per il fatto che l’occupazione si fosse conclusa con l’intervento della Forza pubblica. Da parte sua, monsignor Amilcare Pasini, amministratore apostolico di Parma, ammetteva la fondatezza di alcune critiche, ne respingeva fermamente altre, deplorava l’occupazione e ribadiva l’indispensabile compito del vescovo per «autenticare il senso e il contenuto del carisma dei singoli».
La solidarietà dell’Isolotto irrita l’arcivescovo di Firenze
Domenica 22 settembre ’68 nella chiesa parrocchiale dell’Isolotto, guidata da don Enzo Mazzi, viene distribuito un ciclostilato nel quale si esprime solidarietà al gruppo di cattolici che ha occupato la cattedrale di Parma, e alle loro ragioni. L’Isolotto era un quartiere popolare di Firenze, la parrocchia del quale – retta dal 1954 da don Mazzi – si distingueva per uno stile di partecipazione; per una costante attenzione ai problemi delle classi più umili e dunque per una pastorale conseguente; per uno sforzo di riflettere insieme sia sui problemi locali che su quelli globali del mondo, il che incrociava il tema dei poveri risuonato al Vaticano II e una ricerca sulle strutture sociopolitiche che tale impoverimento generavano.
Questo «stile pastorale» piaceva poco all’arcivescovo di Firenze, cardinale Ermenegildo Florit, che già un paio di anni prima della vicenda di Parma aveva espresso la sua disapprovazione a don Mazzi.
La tensione tra la parrocchia e la Curia fiorentina era rimasta tuttavia un fatto interno alla diocesi; a farla diventare un evento che oltrepassò i suoi confini e scosse l’intera Chiesa italiana fu l’adesione dell’Isolotto agli occupanti la cattedrale, con tutte le conseguenze che, a valanga, ne seguirono. Affermava, il ciclostilato di solidarietà: «Concordiamo pienamente con la vostra azione… Viviamo in una Chiesa che non ha a fondamento i poveri, gli oppressi, i rifiutati, gli affamati e assetati di giustizia… Questa è la tragedia della nostra Chiesa cattolica in tanti paesi occidentali: i pastori perdono spesso la coscienza del loro ruolo profetico e dormono nella dolce ubriachezza di un culto finanziato dai grandi padroni del capitale, che stringono la Chiesa con i legami aurei delle loro splendide elemosine. Le nostre mani cristiane hanno perduto la sensibilità evangelica e non si bruciano più nel ricevere l’oro diabolico dei “cristianissimi” sfruttatori della nostra società. Una Chiesa che ammette indiscriminatamente alla mensa eucaristica sfruttati e sfruttatori senza denunziare efficacemente questa degradante situazione non fa che “mangiare e bere senza discernere il Corpo del Signore”, ossia senza attribuire al cibo e alla bevanda eucaristica il loro valore di agglutinante sociale; e, pertanto, un tremendo sacrilegio: “Mangia e beve il proprio castigo” [vedi I Corinti, capitolo 11] ».
Proseguiva, poi, il ciclostilato: «La nostra coscienza cristiana ci impedisce di essere d’accordo col papa quando vi accusa di mancanza di amore per la Chiesa, quando vi rimprovera di esservi impoveriti e svuotati di amore apostolico, fino a diventare molesti e nocivi alla Chiesa di Dio, quando addirittura vi definisce nemici. L’accusa del papa si addice a coloro che hanno chiamato la polizia per cacciarvi fuori dalla vostra casa. Non siamo neppure d’accordo con il vostro vescovo il quale asserisce che il vostro metodo non è evangelico ed è lesivo della dignità e del rispetto che si devono alla persona umana. Come se fosse evangelico e rispettoso il metodo di costruire chiese col denaro proveniente dallo strozzinaggio legalizzato delle banche».
Assai irritato per questo ciclostilato, il 30 settembre Florit scriveva a don Mazzi: «Tu abiti in una canonica e ti servi per le tue opere (asilo) e per la diffusione delle tue idee di un immobile e di una chiesa che sono tra le più belle di quante ne siano state costruite dal cardinale Dalla Costa [l’arcivescovo predecessore], col contributo dello Stato e con la cooperazione di tutti, non esclusi i ricchi e le banche, che vollero dare a suo tempo il loro obolo». Il porporato accusava poi Mazzi di criticare le ricchezze della Chiesa, ma di «ricevere intanto dallo Stato una “congrua” [la sovvenzione data a tutti i parroci] che ti configura automaticamente nel numero di coloro che tu chiami privilegiati e compromessi col “sistema” di una Chiesa che sarebbe legata a doppio filo alle strutture di questo mondo».
E quindi poneva un dilemma: «O sei disposto a ritrattare pubblicamente un atteggiamento così offensivo verso l’autorità della Chiesa, come quello assunto con la “lettera aperta” del 22 settembre, atteggiamento tanto contrario al tuo dovere di sacerdote e di parroco, oppure, riconoscendo che è assurdo continuare a far parte di “strutture” così violentemente condannate, intendi dimetterti dall’ufficio di parroco».
Il 9 ottobre la comunità parrocchiale – quella coinvolta nelle iniziative del parroco – con un ciclostilato replica a Florit; dopo aver osservato che il documento del 22 settembre era stato composto e sottoscritto da quattro sacerdoti e da molti laici, si domanda: «Perché il vescovo si rivolge solo a don Mazzi? Perché chiama in causa solo la persona del parroco? Il questo modo il vescovo dimostra di considerare gli altri sacerdoti e i laici come un branco di pecore che (salvo un piccolo numero di dissenzienti) si lascia coinvolgere, influenzare, trascinare?... Don Mazzi è ritenuto responsabile di avere coinvolto nelle proprie idee il popolo dell’Isolotto, togliendo al vescovo questa prerogativa. Non è forse vero anche l’inverso e cioè che il popolo ha coinvolto i sacerdoti nelle sue aspirazioni più profonde e più sentite?... Non solo il vescovo o il parroco, ma tutti i membri del popolo di Dio hanno lo Spirito profetico di Cristo; quindi tutti hanno il diritto di parlare e di esprimere quello che Dio suggerisce loro; e il magistero del vescovo è servizio e non dominio verso la libertà di coscienza e di parola del Popolo di Dio. Queste cose le ha dette il Concilio e noi abbiamo cercato di realizzarle, perché è inutile dirle se poi rimangono lettera morta non essendoci gli strumenti per realizzarle».
I nodi di fondo: come intendere la Chiesa sognata dal Concilio
Il seguito della vicenda è conosciuto: dopo una serie di risposte e controrisposte, tra la Curia e l’Isolotto, e l’invito di centoeotto sacerdoti fiorentini a creare strutture di dialogo che permettano di superare il contrasto in atto tra don Mazzi e l’arcivescovo, si apprende che lo stesso pontefice è disposto a ricevere il parroco; ma l’ipotesi rimane tale, perché in Vaticano, come del resto nella Curia di Firenze, si continua a voler trattare con il solo parroco, e non si accetta minimamente che egli venga accompagnato da esponenti della sua comunità. Intanto, Florit vieta in tutta la diocesi l’adozione del «Catechismo dell’Isolotto», accusato di presentare Cristo «inteso solo come agitatore sociale». Il 4 dicembre ’68 l’arcivescovo emana il decreto di rimozione di don Mazzi dall’ufficio di parroco; un mese dopo, protetto dalla polizia (perché mai?), l’arcivescovo fa riprendere la chiesa dell’Isolotto. Quanti, nella parrocchia, erano legati all’esperienza precedente, continuano la loro vita ecclesiale nella Comunità cristiana di base dell’Isolotto, una delle più note fra tutte quelle italiane; malgrado molte difficoltà, e certo più piccola rispetto ai decenni passati, essa ha continuato fino ad oggi. Diceva Enzo: noi non siamo eterni, moriremo, ma altre esperienze nasceranno per cercare di tradurre l’evangelo in linguaggi ed attuazioni comprensibili alla gente.
Volendo, al di là della cronaca, sintetizzare il senso della vicenda dell’Isolotto, questi ci sembrano i punti nevralgici:
1/ Una diversa comprensione dell’affermazione del Vaticano II che la Chiesa è il popolo di Dio pellegrinante nella storia. Nel concreto, come inverarla? Se si dà la voce alla gente, come fece don Mazzi, e la si ascolta veramente, è possibile che molte norme canoniche vengano disattese; ma se il metro di misura decisivo è, come lo fu per Florit, il Codice di diritto canonico, si finisce per espropriare il popolo, e svuotare un’affermazione costitutiva del Concilio.
2/ Una diversa pastorale nella Chiesa. Vista dai vertici, e senza alcuna mediazione, porta all’intransigenza di Florit; vista dalla base, porta a ridisegnare la concreta esistenza della Chiesa locale, diocesi e parrocchia.
3/ Il rapporto Chiesa e povertà, sul quale il Vaticano II aprì qualche varco, porta inevitabilmente a ridiscutere le scelte concrete dell’istituzione-Chiesa, i suoi rapporti con lo Stato e, quindi, a ridiscutere dalle fondamenta i privilegi che la Chiesa cattolica italiana si è garantita anche con il Concordato del 1984.
4/ Se Florit diede giudizi sferzanti su don Mazzi e sull’Isolotto, il suo secondo successore, il cardinale Silvano Piovanelli, riconobbe invece, di fatto, che la Chiesa fiorentina non aveva saputo accogliere semi evangelici presenti in quell’esperienza. Anche questa variabilità da vescovo a vescovo dimostra come, nella complessità della storia, le gerarchie ecclesiastiche, prima di giudicare e condannare, farebbero bene a discernere.
Con i suoi grumi risolti ed irrisolti, la vicenda di Enzo Mazzi e dell’Isolotto, rappresenta a tutt’oggi – ci pare – un caso serio del post-Concilio nella Chiesa cattolica italiana. Rimuoverla non sarebbe una scelta saggia; misurarsi con essa, invece, un’occasione rara per capire dal di dentro una storia che forse rimarrà nella Grande Storia, con le sue asperità e le sue luci.
*redattore e vaticanista di Confronti
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