Articolo 21 - CULTURA
Con Sanremo si ritorna a Giovinezza?
di Nicola Tranfaglia
Mancava soltanto il richiamo a Giovinezza per rendere più somigliante il populismo autoritario di Silvio Berlusconi al regime fascista che quella canzone, nata in Toscana tra gli universitari negli anni precedenti alla prima guerra mondiale, aveva trasformato, subito dopo la conquista del potere da parte di Mussolini e delle sue squadre di mazzieri, nell’inno della dittatura ossessionata dal giovanilismo. E non a caso - potremmo dire - ha pensato il direttore artistico del Festival di Sanremo, Gianmarco Mazzi, a evocare l’inno e a pensare addirittura di metterlo nella serata storica del festival per i centocinquant’anni dell’unità italiana, il 17 febbraio, per giunta insieme con la canzone delle mondine Bella ciao adottata dai partigiani nella guerra di Liberazione.
Non ha torto il signor Mazzi a evocare lo scenario grottesco del regime anche perchè ogni tanto lo stesso Berlusconi è sorpreso a citare frasi e modi di dire che erano del dittatore romagnolo come quando ha detto, alcune settimane fa, citando i diari apocrifi di Mussolini, spacciati dal consocio Dell’Utri e ormai in via di pubblicazione: “Dicono di me che sono un dittatore ma il vero potere ce l’hanno i miei gerarchi. Quello che io posso è dire al mio cavallo di andare a destra o a sinistra.”
Ma è davvero incredibile che in questo paese la storia tenda a ripetersi con così piccoli cambiamenti. Certo Berlusconi - secondo i giornali di tutto il mondo - sta attraversando l’ultima fase del suo ciclo e si avvia in maniera ormai ineluttabile verso il tramonto ma atti gratuiti di servilismo come quelli del direttore di Sanremo indicano l’atmosfera sempre torbida del tempo che passa e le idee balzane che vengono a chi non conosce la nostra storia.
A meno che si concepisca la storia come il seguito indistinto di parole e avvenimenti che non si distinguono tra loro e segnano soltanto il tempo come pedine equivalenti di un cammino che non registra sbalzi né mutamenti di rilievo.
In un’Italia ancora ricca dei suoi mali storici e che, in questi ultimi anni, li ha visti crescere pericolosamente, dal clientelismo all’arretratezza civile e al trasformismo, dalle mafie fiorenti al culto crescente del capo, non si capisce in nessun modo l’intento di far eseguire l’una dopo l’altra, (come se potessero stare sullo stesso piano) Bella ciao e Giovinezza.
Insieme la canzone della lotta per la libertà e quella dell’oppressione fascista: ma questo è il ritratto di chi non sa distinguere tra la luce e le tenebre, tra i momenti di riscatto e quelli di soggezione e schiavitù del nostro popolo.
Non sarebbe allora il caso di chiedere alle vittime ancora in vita, o a quelli che sono venuti dopo ma conoscono il passato dei loro cari, se vivere durante la dittatura equivalga alla democrazia che è venuta dopo la seconda guerra mondiale al prezzo di lutti e di sofferenze che non si possono dimenticare?
Giriamo la domanda a Gianni Morandi e a tutti quelli che dividono con il signor Mazzi la responsabilità del Festival del 2011, quello che dovrebbe ricordare i centocinquant’anni della nostra storia.
Non ha torto il signor Mazzi a evocare lo scenario grottesco del regime anche perchè ogni tanto lo stesso Berlusconi è sorpreso a citare frasi e modi di dire che erano del dittatore romagnolo come quando ha detto, alcune settimane fa, citando i diari apocrifi di Mussolini, spacciati dal consocio Dell’Utri e ormai in via di pubblicazione: “Dicono di me che sono un dittatore ma il vero potere ce l’hanno i miei gerarchi. Quello che io posso è dire al mio cavallo di andare a destra o a sinistra.”
Ma è davvero incredibile che in questo paese la storia tenda a ripetersi con così piccoli cambiamenti. Certo Berlusconi - secondo i giornali di tutto il mondo - sta attraversando l’ultima fase del suo ciclo e si avvia in maniera ormai ineluttabile verso il tramonto ma atti gratuiti di servilismo come quelli del direttore di Sanremo indicano l’atmosfera sempre torbida del tempo che passa e le idee balzane che vengono a chi non conosce la nostra storia.
A meno che si concepisca la storia come il seguito indistinto di parole e avvenimenti che non si distinguono tra loro e segnano soltanto il tempo come pedine equivalenti di un cammino che non registra sbalzi né mutamenti di rilievo.
In un’Italia ancora ricca dei suoi mali storici e che, in questi ultimi anni, li ha visti crescere pericolosamente, dal clientelismo all’arretratezza civile e al trasformismo, dalle mafie fiorenti al culto crescente del capo, non si capisce in nessun modo l’intento di far eseguire l’una dopo l’altra, (come se potessero stare sullo stesso piano) Bella ciao e Giovinezza.
Insieme la canzone della lotta per la libertà e quella dell’oppressione fascista: ma questo è il ritratto di chi non sa distinguere tra la luce e le tenebre, tra i momenti di riscatto e quelli di soggezione e schiavitù del nostro popolo.
Non sarebbe allora il caso di chiedere alle vittime ancora in vita, o a quelli che sono venuti dopo ma conoscono il passato dei loro cari, se vivere durante la dittatura equivalga alla democrazia che è venuta dopo la seconda guerra mondiale al prezzo di lutti e di sofferenze che non si possono dimenticare?
Giriamo la domanda a Gianni Morandi e a tutti quelli che dividono con il signor Mazzi la responsabilità del Festival del 2011, quello che dovrebbe ricordare i centocinquant’anni della nostra storia.
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