di Giuseppe Giulietti*
“La Rai rischia il fallimento“, così ha titolato il Fatto, così ha raccontato, cifre e documenti alla mano, Carlo Tecce. Per qualche giorno abbiamo atteso una argomentata smentita da parte di quello che resta del gruppo dirigente dell’ex servizio pubblico, ma nulla è arrivato, o almeno nulla di comprensibile in lingua italiana. Del resto cosa avrebbero mai potuto replicare? L’obiettivo di questi signori non è mai stato quello di risanare la Rai, bensì quello di “bonificare” l’informazione da ogni presenza sgradita al presidente del Consiglio, nonché proprietario della azienda concorrente.
Chi volesse saperne di più potrà utilmente leggersi i testi delle intercettazioni telefoniche acquisite dai giudici di Trani, nelle quali Berlusconi impartisce ordini sulla Rai e sulle epurazioni che, puntualmente, sono state poi portate a compimento.
Il cancro sta tutto qui, e si chiama conflitto di interessi, doppia appartenenza, doppio giuramento di fedeltà, a Dio e a Mammona, per usare una espressione biblica. Molti, troppi dirigenti, non tutti ovviamente, hanno identificato le loro fortune con l’obbedienza dovuta non solo al committente politico, ma anche alle sue proprietà. Questa è l’essenza di quello che viene chiamato il polo Raiset.
La Rai è stata ripulita dalle migliori energie professionali, sono stati cacciati dirigenti, autori, giornalisti non funzionali a questo disegno, alcuni dei quali peraltro esplicitamente di destra, ma non disponibili a piegare la schiena. Sono stati promossi, in molti caso, degli incapaci che, persino nelle stagioni peggiori della lottizzazione della prima repubblica, non avrebbero mai potuto svolgere alcuna funzione dirigente, in alcuna struttura, forse neppure in portineria.
Per anni si sono preoccupati di dare la caccia ai Biagi, ai Santoro, ai Freccero, ai Travaglio, ai Saviano, ai Fazio, alla Dandini, a Ruffini, a Floris, a tanti altri forse non famosi ma altrettanto essenziali per il corretto funzionamento di una impresa, che costituivano la spina dorsale per la conquista degli ascolti, e per contrastare la concorrenza, anche dal punto di vista tecnico e tecnologico.
L’azienda è stata svuotata dall’interno per obbedire a un comando esterno. Ora sarà difficile, quasi impossibile risalire la china. Il piano di “dissolvimento” del servizio pubblico è vicino alla conclusione, esattamente come era stato delineato nel progetto della loggia P2, ereditato dalla P4. Non escludo neppure che la crisi sia stata sapientemente pilotata, magari per imporre un commissario governativo al quale affidare la “cura finale” e la gestione della prossima campagna elettorale. Comunque vada, avranno provveduto a mettere in ginocchio il servizio pubblico, in ogni caso avranno fatto un favore all’amico Silvio e alla sua famiglia.
Se fossimo nei panni dei dipendenti della Rai non aspetteremmo altro tempo per procedere alla convocazione di iniziative clamorose contro la dismissione di un bene comune: di fronte a quello che sta accadendo non è proprio il caso di stare a guardare.
Presto, molto presto, potrebbero veder arrivare le camionette della guardia di finanza incaricate di sequestrare anche il cavallo di bronzo di viale Mazzini: sarà meglio prevenire il loro arrivo con azioni limpide, trasparenti, radicali, capaci di far capire agli italiani che, anche dentro questa Rai, ci sono donne e uomini che hanno più a cuore l’interesse generale che non gli interessi privati del proprietario di Mediaset.
* Pubblicato su Il Fatto Quotidiano
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