di Piero Bontadini*
Le giuste considerazioni di Paolo Cacciari lasciano aperta, a mio avviso, una domanda: chi deve stare meglio con meno? In effetti, le dinamiche del capitalismo finanziario senza controlli già ora comportano che lo sfruttamento esasperato delle risorse si accompagna ad una forte crescita delle disuguaglianze sociali, con punte di esasperazione nei paesi non inclusi nell’area di predominio capitalistico.
L’ipotesi lafferiana che la crescita per la ricerca del successo economico dei pochi si ripercuotesse in un miglior livello di vita per tutti, è stata sconfessata dalla realtà. Va notato, quindi, come siano fallite le cosiddette rivoluzioni liberali promosse da Reagan e dalla Thatcher, anche sull’onda di entusiasmo per la crisi del comunismo sovietico, che hanno portato all’affermarsi del pensiero unico.
Questa impostazione di fondo prevale ancor oggi sull’atteggiamento dei governi occidentali verso la crisi attuale, come hanno sottolineato i giovani nelle piazze citati da Cacciari. E’ opinione comune che la crisi sia stata causata dalla speculazione finanziaria delle banche, che ne sono state poi coinvolte e viene ancora affrontata con un sacro rispetto verso le banche stesse, soprattutto verso i loro vertici, non giustificato in pieno dai “debiti troppo grandi per essere lasciati insolvibili”, affermazione giustamente definita da Cacciari come “disarmante”.
Rimane quindi da chiarire, anche nel quadro delle giuste critiche all’ideologia del progresso economico infinito, quali debbano essere le nuove regole del gioco per portarci ad una situazione più equa e sostenibile.
Qui il discorso si rivolge alla ricerca di forze e modalità politiche che sappiano riaffermare l’equità sociale, oltre i limiti concettuali del welfare state.
Si tratta di dare una scala di priorità politico-sociali al dispiegarsi delle attività economiche orientativa delle attività dei singoli come “nuove regole del gioco”.
E’ vero, come osserva Cacciari, che il mercato e le monete esistevano prima del capitalismo, ma operavano entro regole della convivenza basate su valori – oggi più o meno condivisibili – che non si ispiravano alla prevalenza assoluta degli “spiriti animali” dell’accumulazione di capitale fine a sè stessa. Se pensiamo ai decenni di sviluppo e successo del capitalismo industriale, precedente alla affermazione del capitalismo finanziario, in qualche modo il successo stesso era collegato al soddisfacimento di esigenze diffuse e condivise nella società.
In definitiva, lo stare meglio con meno è possibile solo nella ridefinizione delle regole base della convivenza democratica, diverse da quelle oggi prevalenti nei sistemi capitalistici predominanti.
* Già professore di Teoria delle Organizzazioni complesse all’Università di Bologna, di Sistemi Organizzativi al Politecnico di Milano, di Scienza dell’Amministrazione alla LUMSA, Roma
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