Articolo 21 - ESTERI
In Spagna vince la destra con i Popolari. Quale lezione per sinistra e Indignados?
di Gianni Rossi
Un gelido vento percorre l’Europa in crisi: quello della Destra vincente, nonostante le dirette responsabilità negli ultimi 20 anni della crisi iperliberista dell’economia reale, della coesione sociale e dei bilanci pubblici. La storia sembra ribellarsi alla statistica. Nei momenti di crisi, infatti, le opposizioni di sinistra, i movimenti radicali, riuscivano ad aumentare i consensi nelle piazze, nei posti di lavoro e nelle urne. Da alcuni anni non sembra più così! La recente, schiacciante, vittoria dei conservatori cattolici spagnoli raccolti nel Partito Popolare a spese del Partito socialista, che aveva governato per 7 anni con Zapatero, conferma un andamento schizofrenico della politica moderna.
Le colpe della crisi finanziaria mondiale, ormai lo sostengono anche i più autorevoli commentatori liberali e conservatori, risiedono nell’uso senza regole e controlli dei mercati mobiliari, nelle speculazioni spesso ai limiti della legalità sui debiti sovrani e sui cosiddetti “derivati”. Dagli inizi degli anni Novanta nel mondo capitalistico è entrato in crisi il modello di sviluppo delle economie e delle potenze industriali basato sul “capitalismo compassionevole”, a favore di scelte indicate dalle varie scuole monetariste e iperliberiste. La recente Grande Depressione del 2008 ha solo aggravato la crisi sistemica, senza per altro indicarne le cure innovatrici e risolutive. Chi si trovava a governare questi processi ha quasi sempre pagato dazio: in Gran Bretagna i laburisti di Gordon Brown a favore dei conservatori di David Cameron; in Irlanda i laburisti hanno invece vinto contro i conservatori al potere, come i socialisti greci di Papandreu contro la destra di Nuova Democrazia (responsabile dei “falsi ideologici” con i bilanci truccati per entrare nell’Euro!), così come la sinistra al potere in Portogallo ha lasciato il posto alla destra.
In Italia, anziché andare alle urne (scelta che avrebbe, secondo i sondaggi, premiato il centrosinistra contro Berlusconi e soci), si è scelta la strada del “governo d’impegno nazionale” con il tecnico-politico Mario Monti. In Islanda, il primo “ribaltone” post-crisi ha creato una situazione degna di un “laboratorio politico”: ai conservatori al governo è subentrata una coalizione rosso-verde, guidata da un primo ministro donna omosessuale, che ha dato vita ad un referendum per decidere se pagare o meno i debiti delle banche responsabili del fallimento del bilancio statale e, dopo la stragrande vittoria dei no, si è avviata una fase di riforma costituzionale davvero innovativa. Ma l’Islanda, che a breve entrerà anche nell’Unione europea, si sa che è piccola e lontana, confinata con i suoi 320 mila abitanti, dediti soprattutto alla pesca d’altura, nel Nord estremo dell’Europa glaciale, spesso alle prese con i capricci dei suoi tanti vulcani irrequieti. Ma è appunto un “laboratorio politico”, specie per la difesa dei diritti civili e fondamentali come la difesa dei cittadini ad avere qualsiasi tipo di informazione, come sui segreti di stato, o la possibilità di decidere che l’interesse pubblico prevale su quello privato, anche se si chiamano banche e istituti finanziari di risonanza mondiale.
Nel resto d’Europa, purtroppo, il “gioco non vale la candela”: vince chi riesce a dominare la scena mediatica, rigettando le colpe della crisi senza neppure avere un progetto alternativo davvero riformista. Basta vedere come si sono mossi i governi di centrosinistra laddove hanno vinto di recente. Hanno adottato le stesse ricette dei loro concorrenti di centrodestra: lacrime e sangue, tagli e sacrifici, nella migliore tradizione neoliberista. Neppure si sono degnati di rispolverare le teorie Keynesiane, come ha cercato di fare l’amministrazione americana di Obama, finora contrastata duramente dai Repubblicani ultraortodossi dei Tea Party e non solo.
La politica “mediatizzata”, in effetti, sta orientando le scelte governative e le coscienze delle opinione pubbliche, più dei partiti e dei movimenti. La stessa NetDemocracy con la sua ultima “Application politica”, quella degli Indignados, è riuscita finora solo a creare momenti di opposizione di piazza virtuale e reale di tipo “situazionista”. L’indignazione e la partecipazione ha solo frammentato le opposizioni, senza dar loro una sintesi di progettualità e una spinta di unitarietà né di visione continentale, europea. In questo modo, alle illusioni ventennali propagandate dal “sogno berlusconiano” o alle promesse mirabolanti del “capitalismo compassionevole” non si è contrapposta una visione di società alternativa, basata sulla fuoriuscita pacifica e riformista dall’unico sistema ancora rimasto in piedi dopo la caduta delle “ideologie storiche” e dei paesi governati dal “socialismo reale”.
Certo, viviamo una fase di transizione e di profondi mutamenti, ma le storie statistiche delle ultime elezioni in Europa (come quelle di “medio termine” negli Stati Uniti, che hanno visto la schiacciante vittoria dei neo-conservatori repubblicani) non promettono nulla di buono. In alcuni paesi del Nord Europa hanno vinto coalizioni “rosso-verdi”, ma sono cresciuti anche i piccoli partiti neo-nazionalisti, razzisti, e si sono affermati movimenti espressioni della NetDemocracy come quelli dei “Pirati” in Svezia e in Germania, a cavallo tra la sinistra radicale e l’irredentismo antisistema. Per l’Italia, questo “strano interludio” instauratosi col governo Monti, a più voci contrastate, spesso sussurrate o solo pensate ad alta voce, è un’occasione per uscire definitivamente dalle macerie istituzionali e social-culturali del Ventennio berlusconiano, ma potrebbe anche riportare la barra del timone verso il neo-centrismo cattolico, anziché favorire le chiare tendenze a sinistra dell’elettorato attuale. La crisi, si sa, significa occasione e pericolo.
E’ comunque una sfida da raccogliere questa per le forze del centrosinistra, per i riformisti e i movimenti nati con la NetDemocracy, purchè sappiamo al più presto incontrarsi attorno ad un tavolo paritariamente per elaborare un programma che ci faccia uscire dalla crisi e ridia a noi tutti speranza in un futuro equo, solidale e sostenibile, dove la legalità e il senso di responsabilità siano prerogative della nuova classe dirigente.
Le colpe della crisi finanziaria mondiale, ormai lo sostengono anche i più autorevoli commentatori liberali e conservatori, risiedono nell’uso senza regole e controlli dei mercati mobiliari, nelle speculazioni spesso ai limiti della legalità sui debiti sovrani e sui cosiddetti “derivati”. Dagli inizi degli anni Novanta nel mondo capitalistico è entrato in crisi il modello di sviluppo delle economie e delle potenze industriali basato sul “capitalismo compassionevole”, a favore di scelte indicate dalle varie scuole monetariste e iperliberiste. La recente Grande Depressione del 2008 ha solo aggravato la crisi sistemica, senza per altro indicarne le cure innovatrici e risolutive. Chi si trovava a governare questi processi ha quasi sempre pagato dazio: in Gran Bretagna i laburisti di Gordon Brown a favore dei conservatori di David Cameron; in Irlanda i laburisti hanno invece vinto contro i conservatori al potere, come i socialisti greci di Papandreu contro la destra di Nuova Democrazia (responsabile dei “falsi ideologici” con i bilanci truccati per entrare nell’Euro!), così come la sinistra al potere in Portogallo ha lasciato il posto alla destra.
In Italia, anziché andare alle urne (scelta che avrebbe, secondo i sondaggi, premiato il centrosinistra contro Berlusconi e soci), si è scelta la strada del “governo d’impegno nazionale” con il tecnico-politico Mario Monti. In Islanda, il primo “ribaltone” post-crisi ha creato una situazione degna di un “laboratorio politico”: ai conservatori al governo è subentrata una coalizione rosso-verde, guidata da un primo ministro donna omosessuale, che ha dato vita ad un referendum per decidere se pagare o meno i debiti delle banche responsabili del fallimento del bilancio statale e, dopo la stragrande vittoria dei no, si è avviata una fase di riforma costituzionale davvero innovativa. Ma l’Islanda, che a breve entrerà anche nell’Unione europea, si sa che è piccola e lontana, confinata con i suoi 320 mila abitanti, dediti soprattutto alla pesca d’altura, nel Nord estremo dell’Europa glaciale, spesso alle prese con i capricci dei suoi tanti vulcani irrequieti. Ma è appunto un “laboratorio politico”, specie per la difesa dei diritti civili e fondamentali come la difesa dei cittadini ad avere qualsiasi tipo di informazione, come sui segreti di stato, o la possibilità di decidere che l’interesse pubblico prevale su quello privato, anche se si chiamano banche e istituti finanziari di risonanza mondiale.
Nel resto d’Europa, purtroppo, il “gioco non vale la candela”: vince chi riesce a dominare la scena mediatica, rigettando le colpe della crisi senza neppure avere un progetto alternativo davvero riformista. Basta vedere come si sono mossi i governi di centrosinistra laddove hanno vinto di recente. Hanno adottato le stesse ricette dei loro concorrenti di centrodestra: lacrime e sangue, tagli e sacrifici, nella migliore tradizione neoliberista. Neppure si sono degnati di rispolverare le teorie Keynesiane, come ha cercato di fare l’amministrazione americana di Obama, finora contrastata duramente dai Repubblicani ultraortodossi dei Tea Party e non solo.
La politica “mediatizzata”, in effetti, sta orientando le scelte governative e le coscienze delle opinione pubbliche, più dei partiti e dei movimenti. La stessa NetDemocracy con la sua ultima “Application politica”, quella degli Indignados, è riuscita finora solo a creare momenti di opposizione di piazza virtuale e reale di tipo “situazionista”. L’indignazione e la partecipazione ha solo frammentato le opposizioni, senza dar loro una sintesi di progettualità e una spinta di unitarietà né di visione continentale, europea. In questo modo, alle illusioni ventennali propagandate dal “sogno berlusconiano” o alle promesse mirabolanti del “capitalismo compassionevole” non si è contrapposta una visione di società alternativa, basata sulla fuoriuscita pacifica e riformista dall’unico sistema ancora rimasto in piedi dopo la caduta delle “ideologie storiche” e dei paesi governati dal “socialismo reale”.
Certo, viviamo una fase di transizione e di profondi mutamenti, ma le storie statistiche delle ultime elezioni in Europa (come quelle di “medio termine” negli Stati Uniti, che hanno visto la schiacciante vittoria dei neo-conservatori repubblicani) non promettono nulla di buono. In alcuni paesi del Nord Europa hanno vinto coalizioni “rosso-verdi”, ma sono cresciuti anche i piccoli partiti neo-nazionalisti, razzisti, e si sono affermati movimenti espressioni della NetDemocracy come quelli dei “Pirati” in Svezia e in Germania, a cavallo tra la sinistra radicale e l’irredentismo antisistema. Per l’Italia, questo “strano interludio” instauratosi col governo Monti, a più voci contrastate, spesso sussurrate o solo pensate ad alta voce, è un’occasione per uscire definitivamente dalle macerie istituzionali e social-culturali del Ventennio berlusconiano, ma potrebbe anche riportare la barra del timone verso il neo-centrismo cattolico, anziché favorire le chiare tendenze a sinistra dell’elettorato attuale. La crisi, si sa, significa occasione e pericolo.
E’ comunque una sfida da raccogliere questa per le forze del centrosinistra, per i riformisti e i movimenti nati con la NetDemocracy, purchè sappiamo al più presto incontrarsi attorno ad un tavolo paritariamente per elaborare un programma che ci faccia uscire dalla crisi e ridia a noi tutti speranza in un futuro equo, solidale e sostenibile, dove la legalità e il senso di responsabilità siano prerogative della nuova classe dirigente.
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