di Ettore Siniscalchi
Il voto spagnolo ha premiato il Partido Popular di Mariano Rajoy e punito duramente il Psoe di Alfredo Rubalcaba, sceso sotto la soglia psicologica del 30 percento: il risultato più basso della democrazia. La Spagna cambia rotta, archivia Zapatero e inizia un nuovo percorso con Rajoy. Un cammino difficile, tra le secche della crisi economica e la crisi del consenso della politica. Ci illumina il percorso possibile Fernando González Urbaneja (nella foto), presidente dell'Associazione dei giornalisti madrileni e autorevole personalità del giornalismo spagnolo, economico in particolare, ottimo conoscitore anche del nostro Paese e attuale presidente dell'Associazione della stampa di Madrid.
«È successo ciò che ci si aspettava, le inchieste erano molto chiare, c'è stato un duro castigo del governo Zapatero che si è tradotto in questa perdita storica di 4 milioni di voti che sono scappati in multiple direzioni: una parte a partiti minoritari, diciamo un voto prestato, UPyD [dell'ex socialista Rosa Díez - NdR], Izquierda Unida, una parte anche a CiU [il partito liberal-democristiano nazionalista catalano - Ndr]. Anche al PP e questo è un fatto importante perché sinora mai c'era stato un travaso a destra e ora pare che quasi un milione di voti siano andati ai popolari. Poi, il Pp ha fatto il pieno di voti ma meno di quanto le inchieste prevedevano, il che vuol dire che il richiamo di Rubalcaba a stare attenti alla destra ha avuto qualche effetto».
Quali passaggi per arrivare al nuovo esecutivo?
Il 20 dicembre ci sarà il nuovo governo ma già prima un embrione di governo sarà in contatto col governo facente funzioni e lavoreranno insieme, non solo per il passaggio di consegne [in effetti è di oggi la notizia che Zapatero e Rajoy si incontreranno venerdì per la crisi e per preparare il vertice europeo del 9 dicembre – NdR].
Quali saranno le principali sfide del nuovo governo?
Principalmente, ottenere la credibilità delle istituzioni internazionali. Poi, l'argomento principe dei popolari era che lo spread è un prezzo da pagare al malgoverno socialista e che loro avrebbero dato serenità, quindi la prima sfida è l'abbassamento di questo valore di 200 punti. la seconda è assestare il deficit all'obiettivo 2012, il 4,5 percento del Pil, il che richiede di mettere ordine nelle comunità autonome. Terza sfida è modificare le aspettative di riduzione di impiego, ossia frenare la distruzione di posti di lavoro e creare un clima per la creazione di nuovo impiego. Poi ci sono altri due temi, che sono specificamente spagnoli e che queste elezioni hanno messo in evidenza, la questione catalana e l'ingranaggio basco. In Catalogna e nel Paese basco c'è una maggioranza di partiti autonomisti/indipendentisti, questo è un tema che deve gestire il nuovo governo per il quale Rajoy ha bisogno della collaborazione del Psoe. E già con questo, hanno una buona legislatura.
Quali misure dovrà prendere Rajoy?
Credo che saranno molto simili a quelle che farà il signor Monti in Italia: bisogna aumentare le entrate fiscali e diminuire le spese. Se devono ridurre di tre punti del Pil il deficit pubblico, probabilmente un punto dovrà arrivare da maggiori imposte e due punti da minori spese e questo richiede di governare con molta linearità, molta credibilità e spiegando bene le cose. Per questo la figura che ricoprirà il ministro dell'economia sarà la chiave, Rajoy farà un dicastero potente, come fece Suarez con Fuentes Quintana nel '77 e come fece Felipe González con Miguel Boyer nel 1982.
Ci sarà spazio per figure tecniche?
Io non credo nei tecnocrati, credo nelle competenze. La tecnocrazia ha a che vedere con le dittature. In una dittatura un professionista competente che non vuole impegnarsi ideologicamente dice che è indipendente o tecnocrate. Ma questo è un regime democratico, dove comanda il Parlamento, e ciò di cui c'è bisogno è che sia gente competente, che siano deputati o no, militanti di partito o meno. Pretendere che Monti non sia un politico mi sembra ridicolo, perché si è dedicato tutta la vita alla politica. In una democrazia matura la politica ha molte accezioni, un rettore di università fa politica. Quindi credo che il ministro economico che Rajoy sceglierà, che ancora non sappiamo chi è, dovrà essere competente.
Siamo forse per la prima volta davvero davanti all'inizio della fine del terrorismo basco, come gestirà Rajoy questo tema?
Sarà molto difficile, la fine del terrorismo vuol dire la fine del terrore. L'altro giorno parlavo con una persona nel mirino del terrorimo che mi diceva: prima ci uccidevano e ora non ci fanno vivere. È una descrizione precisa perché adesso l'Eta non uccide ma i fiancheggiatori dell'Eta non fanno vivere. Bisognerà aspettare molti anni perché queste persecuzioni cessino.
C'è stato un grande successo della lista degli indipendentisti di sinistra
In buona misura il voto di Batasuna, il voto a Amaiur [333.628 voti, 1,37%, 7 seggi alla Camera - NdR] è quello che io chiamere il «dividendo della fine della violenza». Ovverosia, perché cessi la violenza, i cittadini baschi sono disposti a votare questa gente, ma non è, in buona misura, un voto convinto: è un voto di opportunità. La soluzione del tema basco richiederà molti anni, una gestione prudente, pacifica, molto di lungo periodo. Il Pp non ha guadagnato nessun voto nel Paese basco e il Psoe ne ha perduti più di dieci. Vuol dire che la situazione lì è eccezionale, non c'è violenza fisica ma c'è ancora molta violenza morale.
Cosa succederà con le conquiste civili, come aborto e matrimonio omosessuale?
È un problema per Rajoy. Io credo che lui non voglia far niente e lasciare tutto com'è, come fece Aznar ai suoi tempi, ma ha una base del partito molto rumorosa che vorrà faccia qualcosa. Suppongo che Rajoy, che mi pare abbastanza freddo su questi temi, tenterà di non far nulla, dirà che ci sono altre priorità, economiche, e non queste.
Perché una tale punizione del governo Zapatero?
Delle dieci legislature che abbiamo avuto in Spagna, tre sono state buone, tre mediocri e quattro cattive. La prima di Zapatero fu mediocre, perché perse l'opportunità di agire in una situazione eccellente del paese, quando avrebbe potuto far cose che non si fecero, e la seconda è stata cattiva, tanto come la quarta di González o la seconda di Suarez: son legislazioni perdute. Questa lo è stata perché il governo ha sbagliato il pronostico dei problemi e se fai questo errore tutto quello che fai dopo è sbagliato. Se il governo avesse fatto nel 2008, quando ci fu il fallimento di Lehman Brothers, le cose che ha fatto nel 2010, adesso lo spread sarebbe come quello francese.
Come si è evoluta la politica economica spagnola negli anni?
Il patto economico, che è tecnico e politico, si fece con i Patti della Moncloa. Questi patti significarono il trionfo dell'idea economica per la quale il mercato e il libero commercio valgono la pena. Questo patto del 1977 ha guidato tutti i governi spagnoli della democrazia. Al governo González toccò la riforma industriale e l'entrata in Europa e al governo di Aznar toccò l'entrata nell'euro. Tutti i governi hanno fatto lo stesso, il sistema fiscale è quello del 1978. Dal 1980 al 2010 il Pil della Spagna è cresciuto ogni anno un punto più della media europea, uno e mezzo più dell'Italia, uno più della Germania. Si tratta di un successo colossale, i problemi ci sono stati negli ultimi due anni ma c'è stata sostanziale continuità. Quello che succede è che ora ci vuole un altro patto, quello che chiamerei il «Patto di sembrare nordici». Il Patto della Moncloa fu molto semplice, un documento di 50 fogli scritto da economisti che diceva: «facciamo un'economia come quella europea, francesa, oitaliana, tedesca». Ora avremmo bisogno di un patto alla nordica, ossia come si può perseguire una società con un alto benessere, con imposte ragionevoli, con competitività e capacità di esportare? Perché l'economia spagnola ha bisogno di due cose: risparmiare e esportare. Smettere di dipendere dai finanziamento esterni, quello che abbiamo fatto in questi anni perché c'era bisogno di capitali da investire. Adesso che abbiamo infrastrutture tra le migliori d'Europa bisogna risparmiare e dipendere meno, investire e esportare. È quello che stanno facendo le imprese spagnole. Nella crisi gli unici dati positivi sono le esportazioni e il turismo, bisogna quindi seguire questo cammino con una società più competitiva, migliori prodotti, non è tanto complicato, quello che non so è se i politici di oggi dedicano un po' di tempo a studiare e a capire.
Le maggioranze di governo europee pagano la crisi?
Il problema di base europeo è che il disegno dell'euro fu insufficiente, si è fermato troppo presto e non ha tenuto conto dei rischi della recessione. I trattati sono insufficienti e non c'è la forza politica per ricomporre la situazione. I problemi sono abbastanza semplici, il difficile è prendere le decisioni per risolverli. Che bisogna risolvere il problema del debito, è evidente. C'è una rottura della fiducia tra la Germania e i paesi del sud e bisogna ricostruire questa fiducia tra nord e sud e sarà complicato. Perché i tedeschi non sono più lavoratori degli spagnoli, probabilmente meno, né più produttivi, anche in questo caso forse lo sono meno, ma certamente sono più risparmiatori. Per questo una delle cose che Rajoy deve fare è l'alleanza con la signora Merkel. Misure come il tetto al deficit in Costituzione sono importanti come impegni, come dichiarazioni di principio ma se non si è conseguenti non servono. Qui si dice che una vendita non è conclusa finché non si è incassato. È la stessa cosa: finché non hai compiuto gli impegni, niente fiducia. Non si può fare come Rubalcaba che al dibattito elettorale in televisione ha detto: «Chiediamo due anni di più». I mercati non ti finanziano. Non ho dubbi che la Spagna sia pronta per misure dure, è quello che le famiglie e le imprese spagnole, quelle che agiscono seriamente, stanno già facendo. E le persone capiscono.
E il Psoe che deve fare?
Ci sono due tesi. Una è tornare all'essenza del partito L'altra ipotesi è un rinnovamento completo e gente nuova. Io credo che questi son tempi per gente d'esperienza, per persone cresciute e molto sperimentate. E qui il meglio sarebbe Rubalcaba segretario generale e Felipe González presidente.
Anche dopo un tale tracollo, col Psoe sotto la soglia psicologica del 30 percento, non è il fallimento di Rubalcaba?
Il crollo socialista non è il crollo di Rubalcaba ma è il crollo Rubalcaba - Zapatero - crisi economica - otto anni di governo perduti: una sconfitta colossale. Anche Mitterand ha avuto per anni numeri bassi, i laburisti inglesi pure, poi hanno dominato la scena: il recupero in politica può essere molto rapido, bisogna lavorare e costruire credibilità. Il Psoe ha tempo fino a febbraio [quando si farà il congresso ordinario del partito - NdR] per ricomporre l'opposizione.
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