di Aldo Garzia
Poco dopo le 21 di domenica 22 maggio la tv spagnola iniziava a trasmettere i dati sulle elezioni amministrative. Negli stessi momenti l’assemblea degli indignados di Puerta del Sol, che occupavano la centralissima piazza di Madrid dalla domenica precedente, decideva di prolungare la mobilitazione di un’altra settimana ancora. Le altre sessanta piazze spagnole occupate votavano lo stesso ordine del giorno. Il movimento degli indignados ignorava il bollettino elettorale trasmesso dalle tv che indicavano la peggior sconfitta elettorale del Partito socialista (Psoe) da quando nel 1978 è tornata la democrazia in Spagna. I socialisti perdevano perfino le roccaforti di Barcellona e Siviglia, fermandosi al 28%, dieci punti sotto il Partito popolare (Pp) guidato da Mariano Rajoy. Del resto, dalle piazze occupate alla vigilia del voto amministrativo era stato lanciato un appello o ad astenersi o a votare per i partiti minori e a penalizzare lo storico bipartitismo rappresentato dal braccio di ferro tra Psoe e Pp. Da questo invito degli indignados ha forse tratto giovamento Izquierda unida che con il 6,3% ha quasi raddoppiato i voti rispetto alle elezioni politiche del 2008, crescendo però di appena mezzo punto se si raffronta il dato con le omogenee amministrative del 2007. La partecipazione al voto si è inoltre fermata al 66%. Il che indica un fenomeno astensionista assai preoccupante.
Quanto è accaduto domenica scorsa è la rappresentazione più vistosa della crisi della politica che avvolge anche la Spagna. Precari e giovani senza lavoro sono una metà della mela che ormai non parla con l’altra metà, quella della politica ufficiale, dei partiti e del governo anche se è guidato dal 2004 da un leader come José Luis Rodríguez Zapatero che ha saputo risvegliare gli entusiasmi della sinistra laica e libertaria. Il problema è che Zapatero diventato premier si è convinto che bisognasse innovare il paradigma tradizionale della sinistra dando più importanza ai temi dei diritti di libertà e del ridisegno di una democrazia partecipativa rispetto a quello socialdemocratico tradizionale fondato sugli obiettivi di piena occupazione e redistribuzione del reddito. Zapatero ha infatti scelto come bussola il filone del pensiero teorico originato dal repubblicanesimo e rinverdito dal filosofo della politica Philip Pettit che insegna presso l’Università di Princeton (in Italia potremmo tradurlo nella tradizione politica minoritaria dell’azionismo e nel pensiero politico di Norberto Bobbio), ritenendo che i margini nazionali di intervento in politica economica si fossero ridotti al minimo per via del ruolo della Banca centrale europea e delle altre istituzioni dell’economia globalizzata. Il premier socialista era inoltre persuaso che il boom economico spagnolo sarebbe proseguito permettendogli di concentrarsi su laicità dello Stato e diritti d’inclusione, riaprendo anche il dibattito democratico sulla storia di Spagna e della guerra civile degli anni Trenta. I segnali della crisi che arrivavano già nel 2008, appena Zapatero aveva vinto per la seconda volta le elezioni, sono stati un ceffone inaspettato. Come inaspettato era fino a poche settimane il movimento di giovani che occupa le piazze di sessanta città di Spagna.
I dati che motivano il movimento degli indignados sono lì a dimostrare che una innovativa politica di sinistra, pur nell’era della globalizzazione economica, non può fare a meno di avere un’idea e un progetto anche sul terreno del rimodello del welfare e dell’occupazione, a iniziare da quella giovanile. In Spagna, un giovane su tre con meno di 30 anni è disoccupato (è la più alta percentuale europea). Il 45,3% di disoccupati è concentrato nella fascia d’età tra i 16 e i 25 anni: il doppio rispetto alla media europea. Il 45,4% dei giovani occupati ha un contratto a termine. L’assenza di prospettive di lavoro ha provocato negli ultimi anni l’incremento dell’abbandono scolastico: il 28,4% si ritira dagli studi prima di concludere le scuole superiori. Il 40% dei giovani occupati in lavori precari è impiegato in mansioni al di sotto del proprio livello di studio o di qualificazione. Il 53,9% dei giovani fino ai 34 anni di età riceve denaro dalle famiglie d’origine per integrare il proprio reddito. A tutto questo va aggiunto che su una popolazione che ormai sfiora i 46 milioni, il 12% d’incremento nell’ultimo decennio è dovuto al fenomeno immigratorio che in tempi di crisi accentua la competizioni tra giovani precari.
Sotto la cenere dei successi politici di Zapatero covava dunque una bomba ad orologeria che è puntualmente esplosa. Al di là di una legge che incentiva le assunzioni di giovani dopo un periodo di precariato, il governo socialista non ha fatto granché per i giovani. Tutto è poi precipitato in modo casuale, come avviene per i movimenti che nascono da malesseri sociali. Un gruppo di giovani, usando internet e sms, prepara per mesi una manifestazione di protesta a Madrid che si tiene il 15 maggio e che vede una partecipazione insperata. Immediata e spontanea la decisione di occupare piazza Puerta del Sol. Effetto imitativo seguito in altre decine di piazze. Primi volantini e documenti che prendono le distanze dalla politica di Palazzo “irreale e lontana dalle nuove generazioni”, chiedendo innanzitutto “ascolto” e rivendicando “’partecipazione”.
È tuttavia troppo presto per analizzare semanticamente e nelle modalità organizzative il movimento degli indignados che qualcuno analizza già come il “’68 spagnolo” perché la Spagna – sotto la dittatura di Francisco Franco – non ha vissuto il suo ’68. Qualcun altro si affretta a paragonare gli indignados ai nostri “grillini”. Il quotidiano El País ha scritto perfino di un uso imitativo delle piazze occupate mutuato dai recenti movimenti di rivolta in Egitto, Tunisia e Siria. Staremo a vedere come il movimento si svilupperà nei prossimi giorni. Di sicuro dovrà iniziare a prendere le misure anche ai Popolari che promettono, in capo di vittoria nelle elezioni politiche del 2012, privatizzazioni e tagli al welfare per incamminarsi verso una economia finalmente priva di lacci e laccioli.
Cosa succede intanto in parallelo nel corpo ferito del Psoe? Zapatero ha annunciato il suo ritiro dopo undici anni da segretario del partito e otto da premier. Non sarà lui a guidare la sfida a Rajoy fra dodici mesi. In campo ci sono le candidature di Carme Chacón, ministro della Difesa, e di Alfredo Pérez Rubalcaba, ministro degli Interni e vicepremier. Forse si sfideranno in autunno nelle primarie del Psoe, anche se nel partito si fanno strada l’idea di un tandem e la richiesta ai due di rinunciare alla contrapposizione. Quarantenne e di Barcellona la Chacón, sessantenne Rubalcaba e con una esperienza di governo già negli anni Ottanta, è probabile che il secondo sia favorito nella corsa alla leadership di un partito che dopo la batosta delle amministrative cerca più rassicurazioni che innovazioni. Staremo a vedere cosa accadrà anche su questo versante.
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