di Aldo Garzia*
Alfredo Pérez Rubalcaba è da dieci giorni il candidato ufficiale del Partito socialista spagnolo (Psoe) per le elezioni politiche del marzo 2012. L’8 luglio si è infatti dimesso dagli incarichi di ministro dell’Interno e di vicepresidente del Consiglio. Ora deve impostare a tempo pieno una campagna elettorale che per i socialisti assomiglia alla scalata dei Pirenei a bordo di una bicicletta. I sondaggi continuano infatti a dare Mariano Rajoy, candidato premier del Pp (Partito popolare), in testa di ben 10 punti su Rubalcaba. Tutto il peso della crisi economica divampata in Spagna nel 2008 è sulle spalle dei socialisti e di José Luis Rodriguez Zapatero, premier dal 2004. L’identificazione tra la crisi e Zapatero è tale agli occhi dell’opinione pubblica che il leader socialista ha dovuto annunciare con un anno di anticipo il suo ritiro dalla politica.
Malgrado i sondaggi e il rovinoso esito delle elezioni amministrative dello scorso maggio, quando il Psoe è stato sconfitto quasi dappertutto perdendo anche la roccaforte Barcellona, Rubalcaba è un candidato che venderà cara la pelle. Sessant’anni il prossimo 28 luglio, nato in Cantabria, laureato in chimica e poi professore presso l’Università di Madrid, iscritto al Psoe nella clandestinità dal 1974 (il dittatore Francisco Franco è morto nel novembre 1975), passato giovanile da sportivo (11,2 secondi nei 100 metri, medaglia d’argento nelle Universiadi spagnole del 1975), Rubalcaba ha una carriera politica di lungo corso. Dopo le elezioni vinte per la prima volta da Felipe González nel 1982 (quattro legislature da premier), è nominato segretario di Stato. Nel 1992 diventa ministro dell’Educazione. L’anno dopo è ministro per i Rapporti con il Parlamento. Nel 1996, anno della sconfitta di González, è eletto deputato nella circoscrizione di Madrid. Nel 2000, quando Zapatero fu eletto a sorpresa segretario del Psoe, Rubalcaba – pur non facendo parte del gruppo di dirigenti più in sintonia con il neoleader – fu chiamato a far parte del Comitato federale del partito. È stato responsabile della campagna elettorale del 2004 vinta da Zapatero e subito dopo nominato portavoce del Gruppo parlamentare del Psoe. Nel 2006 è diventato ministro degli Interni. Incarico in cui è stato confermato nel 2008 (a lui si devono il dialogo con l’Eta, l’organizzazione dei separatisti baschi, per la fine del terrorismo e poi l’inflessibile politica repressiva seguita all’attentato del 30 dicembre 2006 all’aeroporto Barajas di Madrid). Nel 2010 è stato nominato vicepremier.
Biografia di lungo corso
La biografia politica di Rubalcaba denota come sia l’unico leader che abbia avuto un ruolo di rilievo sia nei governi di González, sia in quelli di Zapatero. Quindi è in grado di rassicurare al tempo stesso la “vecchia guardia” del Psoe e i quarantenni che hanno condiviso gli ultimi otto anni di governo. Tra questi, c’è Carme Chacón, ministro della Difesa, tentata per qualche settimana di sfidare Rubalcaba in possibili primarie ma poi ritiratasi per favorire l’unità del partito. «Se dobbiamo immolare un candidato sull’altare di una sconfitta elettorale pressoché certa – si vociferava nelle scorse settimane nel Psoe – meglio sacrificare un sessantenne come Rubalcaba che una quarantenne come Chacón». Pur con i malumori di qualche settore, come è inevitabile che avvenga in qualsiasi partito chiamato a una scelta di leadership, il Psoe ha dato prova di unità e determinazione nel decidere la candidatura di Rubalcaba. Come accadde del resto anche nel caso dell’elezione di Zapatero a leader del Psoe nel 2000, il gruppo dirigente del partito ha mostrato invidiabili coesione e solidarietà.
La campagna elettorale di Rubalcaba parte con tre parole d’ordine: ascoltare, fare, spiegare. Nel suo primo discorso da candidato, tenuto lo scorso 8 luglio, ha annunciato che le sue idee-forza ruotano intorno a quattro cardini su cui lancia la sfida alla destra ultraliberista di Rajoy: occupazione, economia, welfare e qualità della democrazia. Sul primo punto è stato chiaro: non c’è possibilità di recuperare i 2 milioni di posti di lavoro persi nei vecchi settori economici; bisogna cercarli in nuova occupazione, per esempio nella green economy. «Intanto, occorre che le banche concorrano a costruire nuovi posti di lavoro investendo i propri guadagni», ha aggiunto. Sul fronte economico, Rubalcaba ipotizza «politiche redistributive, affinché coloro che non sono stati toccati dalla crisi collaborino a uscirne». Da qui la proposta di una imposta patrimoniale progressiva. Quanto al welfare, ha ribadito che «la sanità pubblica è intoccabile» e che nel settore della pubblica istruzione «occorre fare ingenti investimenti perché sapere e cultura servono per uscire dalla crisi e progettare il futuro». Sulla democrazia, il candidato socialista annuncia una campagna a fondo contro la corruzione e la proposta di un sistema elettorale più proporzionale «simile al modello tedesco, in grado di riavvicinare gli elettori alla politica» (in Italia sono rimasti gli ultimi cultori europei del maggioritario?). Difficili restano pure per Rubalcaba i rapporti con la sinistra di Izquierda unida (Iu), che dopo le elezioni amministrative di maggio ha rifiutato coalizioni con il Psoe fino al punto, in alcuni Comuni, di favorire giunte del Pp che non si sarebbero formate se avesse prevalso l’unità tra socialisti e Iu.
Il discorso d’investitura – giudicato dai media spagnoli come un’ipotesi di riforma della tradizionale socialdemocrazia – Rubalcaba lo ha chiuso con una frase che è un impegno politico e morale: «Se non vivi come pensi, finisci per pensare come vivi». Una dichiarazione d’intenti che ha fatto tornare alla mente quanto dichiarato da Zapatero nella notte del 14 marzo 2004, quando vinse per la prima volta le elezioni: «La politica non mi cambierà».
L’addio di Zapatero
Con l’uscita di scena di Zapatero esce ammaccato quel “socialismo dei cittadini” che era la bussola con cui il leader socialista aveva cercato di voltar pagina rispetto al Psoe di González. Zetape, come lo chiamano in Spagna, pensava che nell’era della globalizzazione economica e della fine dei vincoli interni in economia una nuova idea di socialismo andasse praticata più sul terreno della democrazia politica, dei diritti e della laicità rispetto alle tradizionali politiche socialdemocratiche di welfare all’insegna di piena occupazione e ridistribuzione dei redditi. La Spagna del dopo Aznar, tornata per otto anni a una politica di destra estrema, sembrava la società ideale per praticare quel nuovo socialismo che aveva nel filosofo Philip Pettit il teorico ispiratore. La prima legislatura di Zapatero ha avuto il vento in poppa, favorita dagli autogol di Aznar dopo l’attentato terrorista dell’11 marzo 2004 alla stazione ferroviaria di Madrid e da un decennio di ininterrotto sviluppo economico. Le leggi all’insegna della laicità (il matrimonio gay in primis), l’attenzione alle politiche sociali a favore delle donne, l’abbattimento delle statue franchiste, la riapertura del dibattito sugli anni della guerra civile (1936-1939), il sostegno economico fornito ai settori disagiati (il «quarto pilastro» del welfare), il ritiro immediato dall’Iraq, erano diventati una bandiera di riferimento perfino da noi in Italia, condannati come siamo all’eterno centrismo che produce né riforme economiche né riforme sui diritti. Nel 2008, anno della conferma elettorale, i venti della crisi economica assomigliavano inoltre più alle brezze di mare che a un ciclone. Zapatero, che in quel momento era all’apice della suo prestigio, fece però l’errore fatale di sottovalutare la dimensione della crisi economica in arrivo. Anche se è indubbio che le decisioni economiche per ogni singolo Paese del vecchio continente le prende la Banca europea, il “socialismo dei cittadini” si scoprì nudo di fronte alla crisi non avendo una sua politica trasformatrice che aggredisse il modello economico.
Gli ultimi tre anni sono stati un calvario per Zetape: riforma penalizzante delle pensioni, riduzione dei salari pubblici, disoccupazione al 20 per cento, stop alla crescita economica, riforme impopolari del mercato del lavoro. Il leader socialista è diventato via via un parafulmine. A poco più di cinquant’anni Zapatero cambierà vita (tornerà a insegnare diritto all’Università di León?), come toccò a González a 54 anni appena compiuti (due episodi da manuale, impensabili in Italia, di cambio di leadership).
da www.ilmondodiannibale.it