di Daniela De Robert
Si chiamavano Raul, Fernando, Patrizia e Sebastian. Avevano 4, 5, 9 e 11 anni. Erano rumeni, vivevano in un accampamento di fortuna nei pressi dell’Appia Nuova alla periferia Sud di Roma. Un anno fa, il 6 febbraio del 2011, sono morti nella loro baracca. Non di freddo ma per il freddo: le fiamme con le quali cercavano di scaldarsi li ha avvolti. Sono morti bruciati vivi. La loro colpa era di essere nati poveri e immigrati, come disse il Cardinale Vicario di Roma Agostino Vallini, con l’aggravante di essere rom.
Il sindaco Alemanno chiese poteri speciali e altri soldi per affrontare “l’emergenza rom”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano andò a trovare Erdei e Elena, i genitori dei piccoli, all’obitorio. Poche parole - perché c’è poco da dire davanti a un dolore così immenso -, ma una carezza sul volto di Elena, la mamma dei bambini.
È trascorso un anno da quel rogo, un anno da quelle morti. Un anno passato invano: i rom continuano a essere un’emergenza e essere rom è ancora una colpa.
Dopo il lutto cittadino, a ricordarli c’è solo la Caritas di Roma, che denuncia: “La situazione non è affatto cambiata. Come con la nevicata, si continuano a porre in essere interventi di emergenza”.
E mentre la neve comincia a sciogliersi a Roma, vogliamo salutare Raul, Fernando, Patrizia e Sebastian, quattro bambini arsi vivi nella loro baracca per cercare di scaldarsi. Morti in nome dell'emergenza più cronica della città.
- La neve è di destra o di sinistra? - di Stefano Corradino
- Il senso di Gianni per la neve - di Giulio Gargia