di Mattia Stella*
“Giovani confidate nell’Italia. Confidate nella sua fortuna se sarà sorretta dalla vostra disciplina e dal vostro coraggio: confidate nell’Italia che deve vivere per la gioia e il decoro del mondo, nell’Italia che non può cadere in servitù senza che si oscuri la civiltà delle genti. In questo giorno 9 novembre dell’anno 1943 in nome di questa Italia dei lavoratori, degli artisti, degli scienziati, io dichiaro aperto l’anno 722° dell’Università padovana”.
Con queste parole Concetto Marchesi inaugurò l’anno accademico dell’Università di Padova, aprendolo non nel nome del Re e del regime ma del popolo italiano. Pochi giorni dopo il grande latinista e futuro membro dell’Assemblea Costituente si dimise da Rettore con parole durissime contro il regime fascista.
Dico in premessa che non intendo usare questa citazione per sostenere che in Italia ci sia un dittatura, anzi reputo profondamente sbagliata una tale affermazione. Piuttosto uso le parole di Marchesi, quell’esortazione ai giovani che lui fa, per rivolgermi ai tanti miei coetanei impegnati in iniziative sociali, civili e politiche. Scrivo a questo vasto e ricco mondo di ragazze e ragazzi per chiedere un duplice impegno.
Il Primo. Essere giovani in questo Paese non è cosa semplice, molti accreditati osservatori economici, tra questi Tito Boeri, chiaramente stanno denunciando che sono le nuove generazioni a pagare il prezzo più alto della crisi economica in atto. La funzione dei ragazzi impegnati a vario titolo e modo nella comunità politica e sociale è duplice: da un lato, lottare per ridurre le diseguaglianze sostanziali che affliggono la nostra generazione, dall’altro, immaginare un radicale cambiamento della democrazia nel nostro Paese. Proprio in relazione a questo secondo obiettivo è facile osservare che lo stato di salute della democrazia italiana non sia dei migliori. La democrazia si è via via ridotta ad un rapporto diretto ed unilaterale tra “Capo” e “popolo” determinando così la morte di tutte le istanze intermedie, funzionali ad un sano sviluppo di una democrazia matura. Ogni questione di interesse generale diventa una prova muscolare tra buoni e cattivi, tra guelfi e ghibellini, tra chi sta con il “Capo” e chi contro di lui.
Una democrazia ridotta ai minimi termini, banalizzata, tutta concentrata sui vizi e le virtù di un capo piuttosto che di un altro, il tutto centrifugato dai palinsesti televisivi che fanno la vera cultura italiana. Una democrazia sempre più illiberale, sia nel campo delle libertà civili che in quello economico dove troppo spesso l’interesse corporativo soffoca la libera determinazione del futuro professionale di migliaia di giovani. Imputare tale degenerazione al solo Silvio Berlusconi è da sciocchi, lui ha dato un contributo determinante ma quantomeno su tutti gli altri attuali protagonisti della vita politica italiana pesa una grave e dolosa omissione, se non addirittura una piena condivisione di tale degenerazione.
Di fronte a questo scenario occorre riflettere e condividere un comune sforzo per ridare pieno significato alla parola democrazia, sottraendola alle sabbie mobili della sua banalizzazione. Se da un lato internet e i social network possono fungere da detonatore per una riappropriazione della democrazia, dall’altra però occorre recuperare il valore dei luoghi fisici nei quali si fa materialmente la democrazia e dei metodi propri di essa che non si esauriscono nel circuito della rappresentanza, guardando alle nuove forme di democrazia partecipata sino alla dimensione della cittadinanza attiva che su circoscritti ambiti del vivere sociale si fa Stato.
Il secondo invito che faccio è da inquadrare nella battaglia per la piena attuazione della Costituzione, declinando in senso propositivo questo impegno, evitando in tal modo di recintarsi dentro una mera attività di difesa.
La Costituzione andrà difesa nel momento in cui ci saranno interventi legislativi che ne colpiranno i principi irrinunciabili. Tra questi c’è la forma repubblicana del nostro Stato, la centralità del Parlamento, la sovranità popolare nelle forme e nei limiti stabiliti dalla stessa Carta, il riconoscimento e la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la libera manifestazione del pensiero, la centralità del lavoro sia esso dipendente o autonomo.
Di fronte a possibili stravolgimenti di taluno di questi principi, la risposta dovrà essere ferma e netta, ma compito di chi, giovane, si impegna nella e per la comunità dovrà essere anche di realizzare quelle parti della Costituzione che fino ad oggi sono rimaste inapplicate nella vita di tutti i giorni.
Un tale duplice invito deve per sua natura rivolgersi a tutti, non essendo ammissibile l’evocazione di una sorta di “partito” della Costituzione. La Carta è di tutti gli italiani e nessuno può usarla come vessillo “di parte”. Tanto più se la si vuole difendere, bisogna prima di tutto rivendicare la valenza trasversale ed universale del suo contenuto.
Spero che presto si possa arrivare ad un manifesto generazionale per la democrazia e la Costituzione.
*www.giovaniperlacostituzione.it