Articolo 21 - ESTERI
Khamenei e l’incubo di finire come Bashar
di Ali Izadi
Non scherzo, tutti sanno che quando sale la polemica con Londra il regime ritira fuori una vecchia favola khomeinista per la quale la sede dell’ambasciata britannica a Tehran non è realmente di proprietà di Sua Maestà, loro l’avrebbero presa illegittimamente ai tempi dello scià, tanto che più volte voci vicine al regime hanno affermato che se Londra la vuole davvero ci deve dare in cambio Hyde Park. Ma non credo che i duecento “studenti” che l’altro giorno hanno assaltato l’ambasciata britannica intendessero verificare la carte di acquisto dell’immobile, né chiedere informazioni su Hyde Park. Intendevano dare diverse lezioni, a partire da Ahmadinejad. Non è un’ipotesi, è una certezza, visto che lui, a poche ore da quegli eventi, ha mandato in televisione il ministro degli esteri a criticare gli assalitori. L’ha fatto perché si considera un furbo, il nostro presidente, e voleva dire al mondo e agli iraniani che lui non fa le frittate. Ma una reazione del genere, mandare un ministro in televisione a criticare un’azione così importante, non si fa a cuor leggero. Lui sa benissimo che il primo destinatario di quella “mossa” era lui, che Khamenei gli stava dicendo “i pasdaran stanno con me, li comando io, e tu puoi fare la stessa fine dei leader del movimento verde, anche domani”.
Ecco, proprio il movimento era il secondo destinatario di questa “mossa”: chi non accetta di sottostare al potere sappia bene che cosa lo attende. Ma perché, c’erano dei dubbi?
Sì, c’erano dei dubbi, secondo Khamenei, che vive un incubo; la crisi siriana. Innanzitutto perché considera Bashar al-Assad un amico personale, e poi perché teme che l’Iran possa seguire una parabola simile a quella siriana. Questo è il suo incubo, l’assilo quotidiano. E allora è meglio una guerra, provocare una guerra! Così, pensano i suoi, si potrebbe ricreare una situazione simile a quella che vivemmo quando Khomeini ci portò in guerra contro l’Iraq. La guerra unisce, l’aggressione straniera unisce. E la società si ricompatta dietro al suo leader. Dunque Khamanei auspica una guerra, piuttosto che vivere l’incubo di uno scenario siriano.
Ma il tempo passa, il tempo passa anche in Iran, e la popolazione è talmente disgustata dal regime, dalla sua violenza, dalla sua arbitrarietà, dalle tenebre in cui ci fa vivere ogni singolo giorno, che alcuni cominciano a preferire l’idea di una guerra contro di noi al seguitare a vivere sotto Khamenei e i suoi.
Ecco, proprio il movimento era il secondo destinatario di questa “mossa”: chi non accetta di sottostare al potere sappia bene che cosa lo attende. Ma perché, c’erano dei dubbi?
Sì, c’erano dei dubbi, secondo Khamenei, che vive un incubo; la crisi siriana. Innanzitutto perché considera Bashar al-Assad un amico personale, e poi perché teme che l’Iran possa seguire una parabola simile a quella siriana. Questo è il suo incubo, l’assilo quotidiano. E allora è meglio una guerra, provocare una guerra! Così, pensano i suoi, si potrebbe ricreare una situazione simile a quella che vivemmo quando Khomeini ci portò in guerra contro l’Iraq. La guerra unisce, l’aggressione straniera unisce. E la società si ricompatta dietro al suo leader. Dunque Khamanei auspica una guerra, piuttosto che vivere l’incubo di uno scenario siriano.
Ma il tempo passa, il tempo passa anche in Iran, e la popolazione è talmente disgustata dal regime, dalla sua violenza, dalla sua arbitrarietà, dalle tenebre in cui ci fa vivere ogni singolo giorno, che alcuni cominciano a preferire l’idea di una guerra contro di noi al seguitare a vivere sotto Khamenei e i suoi.
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