di Santo Della Volpe
Una corona d’alloro ai piedi della lapide che ricorda i lavoratori: a quattro anni dalla tragedia della ThyssenKrupp, le sette vittime del rogo sono state commemorate al cimitero monumentale di Torino, tra silenzio , ricordo e ancora tanto dolore, soprattutto per i parenti , i genitori, le fidanzate, sorelle e fratelli. La tragedia avvenne poco dopo la mezzanotte del 6 dicembre 2007; le scintille scaturite dalle lamine d’acciaio che sfregavano irregolarmente contro un parapetto intelaiato di metallo, diedero fuoco alla carta impregnata di olio che si trovava sotto la linea 5 dell’acciaieria. Carta che non doveva essere lì, ma che invece non era stata raccolta perché manutenzione e pulizia della linea erano state abolite, perché, quella linea doveva essere smantellata a Torino e portata a Terni. Ma intanto 8 persone ci lavoravano, quella notte di 4 anni fa, nonostante il pericolo fosse chiaro a tutti. Ai dirigenti dello stabilimento, ai dirigenti della Thyssenkrupp che decisero di lasciare in piedi e richiamare al lavoro quegli operai perché non volevano perdere quella commessa milionaria di acciai speciali: un pericolo che era noto anche agli operai, che però non potevano dire di no, per paura di perdere l’ultima possibilità di continuare a lavorare , anche quando lo stabilimento fosse stato delocalizzato. Un rischio mortale per una speranza di lavoro futuro: quella carta si incendiò, come era già accaduto altre volte, ma quella sera , la vampata di fuoco innescò l’incendio ad una vasca d'olio che non doveva essere lì... Ma c’era e prese fuoco in un istante vaporizzando a 3000 gradi olio bollente che uccise l’intera squadra di operai. A perdere la vita furono Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi. Si salvò solo Antonio Boccuzzi, perché si piegò per prendere la manichetta d’acqua proprio nel momento dell’esplosione dell’olio che invece avvolse gli altri operai che invece non avevano fatto in tempo a prendere gli estintori, forse scarichi, forse pieni ma inutili, quando tutto accade in una frazione di pochi secondi.
L’inchiesta giudiziaria, condotta dai pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso, ha portato, lo scorso 15 aprile, e dopo soli 3 anni dalla tragedia, alla condanna di Gerald Espenhahn, amministratore delegato della ThyssenKrupp, a 16 anni e mezzo di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale; e di altri cinque dirigenti a pene tra 10 anni e 10 mesi e 13 anni e mezzo per omicidio colposo con colpa cosciente. I difensori degli imputati stanno per presentare ricorso in appello.
I familiari e i colleghi delle vittime nel rogo della Thyssen si costituiranno parte civile anche negli altri due filoni processuali legati a quello principale, che è già arrivato al giudizio di primo grado. Lo ha annunciato, nel quarto anniversario della tragedia, l’associazione Legami d’acciaio. L’iniziativa riguarda il processo a dirigenti e dipendenti dell’azienda per falsa testimonianza e quello che vede coinvolti alcuni dirigenti dell’Asl To1.
L’associazione intanto denuncia il «vertiginoso aumento delle morti sul lavoro» in Italia e sollecita il sindaco di Torino Piero Fassino affinchè le istituzioni «trovino un posto di lavoro utile e dignitoso per i 12 ex operai Thyssen entro giugno 2012, quando finirà la mobilità». Intanto la Thyssen di Corso Regina Margherita a Torino ha chiuso i battenti: solo la linea 5 resta lì, al suo posto, ancora sotto sequestro sino alla fine dell’iter giudiziario. Un monumento alla “deindustrializzazione”, nel deserto di un’area che continua ad essere appetita da chi pensa di farne una zona residenziale. Ma quella linea 5 è ancora un segno della memoria: di quel che accade quando si vuol continuare a lavorare anche nel momento più difficile, in questo caso quello della chiusura degli impianti ; ma anche di quando si vuol far passare il lavoro nella cruna dell’ago , stretta, della mancanza di prevenzione, sperando che non accada l’irreparabile; di quando si rischia, scegliendo tra sicurezza e guadagno di soldi, magari (come nel caso Thyssen) insperati e non preventivati. Un calcolo del rischio che non tiene conto, in tutti i casi , che in gioco ci sono le vite delle persone, di chi non può dire di no, soprattutto in momenti difficili, di crisi, di necessità economica. Giovani vite e professionalità uccise dalla noncuranza, ha affermato in sintesi il processo che si è chiuso a Torino. Una “non cultura”, di fronte alla quale si può reagire solo con la cultura della prevenzione a tutti i livelli: dai sindacati ai datori di lavoro. Sapendo che oggi l’applicazione della legge può portare anche a conseguenze gravi per le aziende: in termini di condanne e di risarcimenti. Non sarà mai come la vita delle persone quella cifra di milioni di Euro da pagare ai familiari delle vittime, ma almeno può scoraggiare chi pensa che al massimo se la potrebbe cavare con una multa ed una condanna ad un anno e mezzo con la condizionale….
Anche per questo sono importanti le parole del sindaco di Torino, Piero Fassino, nel messaggio inviato ai familiari delle vittime, mettendo nero su bianco il proprio impegno in prima persona perchè: «una tragedia simile non accada mai più». «Il loro tragico sacrificio – ha scritto il sindaco - ci indica quanto sia indispensabile battersi ogni giorno perché il lavoro sia riconosciuto nella sua dignità e chi lavora sia garantito nella sua incolumità psico-fisica e nella sua professionalità».
Niki Vendola, l'Unità, Liberazione, Don Ciotti... crescono le adesioni all'appello
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