di Raffaele Siniscalchi
Tutta la discussione sulle nuove frequenze da assegnare si svolge sull’alternativa beauty contest o asta. Tra gli argomenti a favore del bc (che vedrebbe favorite Rai e Mediaset) ci sono anche questi: che questa prassi è stata seguita in molti paesi, che l’asta sarebbe un flop per mancanza di concorrenti e da essa non si ricaverebbe nulla e che annullare il bc esporrebbe lo stato alla richiesta di rimborsi per danni da parte dei partecipanti. A favore dell’asta l’argomento forte è l’interesse generale: in tempi di crisi di bilancio pubblico così drammatica non si può rinunciare alla somma, non certo piccola, che si potrebbe ricavare dalla vendita della concessione dell’uso delle frequenze. Inoltre, si fa rilevare, che l’immissione di nuovi operatori amplierebbe il pluralismo del nostro sistema televisivo.
C’è, tuttavia, un altro aspetto dell’interesse generale che non viene considerato. Prendiamo a esempio Santoro: ha raccolto grazie a una sottoscrizione pubblica una somma di denaro che gli ha consentito di realizzare una trasmissione di livello professionale non solo giornalistico ma anche tecnico (la scenografia e le riprese, sia video che audio, erano anch’esse di livello professionale). Per poterla trasmettere ha dovuto mettere insieme una catena di piccole televisioni locali e questo non ha certo favorito l’ascolto che è stato perfino difficile quantificare.
Se Santoro avesse avuto la possibilità di “affittare” frequenze e mezzi trasmissivi nel giorno prescelto e per il solo segmento di tempo della sua trasmissione non sarebbe stato tutto più semplice? Quanti produttori sarebbero interessati a realizzare programmi di generi diversi coprendo, a esempio, mediante la prevendita di spazi pubblicitari, i costi produttivi, e quelli delle frequenze e dei mezzi trasmissivi?
Questo sarebbe possibile se lo stato stornasse dal fascio di frequenze che intende attribuire, quelle necessarie a realizzare questo “canale-bus” (si paga il biglietto, si sale, alla fine del proprio viaggio si scende e si lascia il posto a altri).
Così si potrebbe dare un serio contributo all’ampliamento degli spazi di pluralismo con la formazione di un’ulteriore rete (una rete senza padroni) nutrita di contenuti da soggetti diversi che, con le loro offerte di programmi, ne comporrebbero il palinsesto.
Forse per un obiettivo simile varrebbe la pena di rinunciare a una parte degli introiti che l’asta delle frequenze potrebbe portare nelle casse sofferenti dello stato. Considerando però che gli “affitti” delle frequenze sarebbero comunque un introito, sia pure diluito nel tempo, per le casse dello Stato.
Infine: a chi affidare la gestione di questa nuova rete e delle frequenze relative? Toccherebbe all’AGCOM formulare un regolamento e stabilire il costo dei segmenti di tempo, diverso a seconda degli orari, e alla Rai la messa a disposizione (naturalmente a pagamento) dei mezzi trasmissivi.
Questa è l’idea, parliamone.