di Antonella Napoli*
Che la questione siriana sia ormai fuori controllo e abbia travalicato di gran lunga i confini regionali è sotto gli occhi di tutti. Dalla comunità internazionale, in primis Stati Uniti e Francia, è stato chiesto a Bashar Assad (nella foto) di fare un passo indietro. Ma il presidente – dittatore non sembra intenzionato ad assecondare tali richieste e la situazione rischia di precipitare, fino ad arrivare a una possibile risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Per tentare di scongiurare un intervento del Palazzo di vetro che possa degenerare in un’azione militare, è scesa in campo la Lega Araba sulla cui mediazione e sull’invio di una delegazione di osservatori in Siria sono stati però sollevati non pochi dubbi.
Sono in pochi a scommettere sul reale impegno dei paesi ‘amici’ di Damasco a voler fermare la violenta repressione di Assad nei confronti dei manifestanti. E mettendo un generale sudanese con stretti legami con il presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir, accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità in Darfur, non hanno fatto altro che alimentare tale interrogativo.
Mohammed Ahmed Mustafa al-Dabi, 63enne con trascorsi militari non sempre limpidi, guida una missione di monitoraggio composta da 150 persone, i cui primi 50 membri sono già in Siria dal 26 dicembre.
Obiettivo degli osservatori, assicurarsi che siano ritirate le forze di sicurezza dalle città siriane in rivolta, garantire la scarcerazione dei prigionieri politici e permettere che si possano svolgere liberamente le dimostrazioni anti governative.
Al-Dabi divenne capo dell'intelligence militare del Sudan nel 1989, anno in cui Bashir prese il potere con un colpo di stato. La sua carriera è continuata con l’incarico di direttore dell'agenzia di spionaggio estero del Sudan ed è stato vice comandante delle forze armate sudanesi per le operazioni militari tra il 1996 e il 1999. Da quell’anno ha rivestito incarichi di grande rilevanza connessi al Darfur e alla crisi che ha toccato il suo apice nel 2003, quando gli oppositori al regime di Khartoum, imbracciarono le armi e attaccarono l’aeroporto militare della Capitale. L’ultima posizione ricoperta prima di assumere la guida della delegazione araba in Siria è stata quella di coordinatore tra Khartoum e le forze di pace internazionali inviate in Sudan dopo l’inizio del conflitto.
Come c’era da attendersi, la missione di al-Dabi non ha preso il via sotto i miglior auspici. Dopo aver visitato la città di Homs, teatro di numerose uccisioni da parte delle forze governative, il generale ha dichiarato alla BBC che " a parte un po 'di confusione in alcuni quartieri, non c'era niente di spaventoso da segnalare". Peccato che le violenze nei confronti dei dimostranti sono continuate anche in presenza degli osservatori.
Almeno 50 persone sono state uccise dal 31 dicembre ad oggi dai cecchini del governo, ha rilevato il portavoce del Dipartimento di Stato americano Victoria Nuland sottolineando che la Siria è "ben lungi dal compiere azioni distensive in grado di ‘soddisfare’ gli impegni assunti con la Lega Araba”.
Le più importanti organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, hanno manifestato grande preoccupazione per la composizione della squadra inviata a Dmasco. La delegazione, secondo gli atticisti, è costituita da “burocrati con inadeguata preparazione e scarsa esperienza”, personalità poco adatte a scoprire e denunciare gli abusi o ad ottenere l'accesso ai siti militari dove i prigionieri potrebbero essere detenuti.
Insomma l'atteggiamento dei delegati sembra essere "See No Evil, Hear No Evil", se il male non si vede…
giornalista, africanista eperta di questioni arabe