di Duilio Giammaria
Due notizie, si rincorrono nella mia mente. Quella dell’amico Gilles con cui ho condiviso tante missioni, l’ultima in Libia e quella dei giornalisti ungheresi alle prese con una legge liberticida.
Gilles, era il prototipo del giornalista con cui lavorare in piena sintonia e senza stupide competizioni professionali. Con la qualifica di “Grand Reporteur” (Qualcosa di più di Inviato Speciale, una qualifica che esiste nella tradizione giornalistica francese) dopo essere stato cameraman era passato davanti alla telecamera.
Aveva il gusto del racconto, anche dietro le quinte tipico del settimanale di approfondimento per il quale lavorava: “Envoyé Speciale” di France 2. Con Gilles avevamo condiviso il piccolo scoop dell’intervista a Saif Al Islam. Avevamo messo su un piccolo pool televisivo e con le nostre telecamere ne avevamo tirato fuori un memorabile pezzo. Mi piace ricordarlo mentre scambiavamo immagini e notizie, nei duri giorni in cui cercavamo di sfuggire alla censura di Tripoli.
In Siria, una situazione analoga, quella di una visita sotto il controllo, e lui credeva, la protezione del governo siriano, non gli ha lasciato scampo. Il sospetto che l’esplosione che ha preso di mira il convoglio dei giornalisti sia un attacco terroristico costruito per mandare un pesante segnale della stampa internazionale e alla libera informazione, è consistente. Gilles, era già scampato quasi per miracolo alla morte quando durante gli scontri tra palestinesi e israeliani, un proiettile si era conficcato nella spalla a pochi centimetri dal cuore. In quella occasione il giubbotto antiproiettile gli aveva salvato la vita.
Queste foto (di seguito, ndr) me le aveva date lui stesso in una delle interminabili notti di Tripoli passate insieme. Ci scherzava: erano diventate un talismano di protezione. Chiunque sia andato così vicino alla morte esorcizza il pericolo ripensandoci. Sono sicuro che Gilles sarebbe felice oggi come sempre a lavorare con i suoi amici giornalisti, a sostenere quei colleghi, come in Ungheria, il cui proprio governo pensa che la libertà di stampa sia un ostacolo da eliminare.