di Simona Silvestri
1140 croci bianche. Non un numero a caso, ma quello dei morti sul lavoro nel 2008. 1140 persone, che l’Anmil di Piacenza ha deciso di ricordare in questa maniera, piantando un numero equivalente di croci lungo il Vallo delle mura di via XXI Aprile, proprio nel giorno in cui cadeva il 59 anniversario della giornata dedicata alle vittime sul lavoro, domenica 11 ottobre. Ne abbiamo parlato con Bruno Galvani, presidente della sezione locale dell’Associazione nazionale Mutilati e Invalidi sul lavoro.
D: Cosa ha rappresentato l’iniziativa di domenica?
R: Quella di domenica è stata un’iniziativa collaterale alla 59 giornata per le vittime sul lavoro, in appoggio alla manifestazione principale, a Verona; un momento fondamentale per affrontare il tema della sicurezza, ma che ci è sembrato un po’ stanco, a volte soprattutto una passerella per i vari politici e le varie istituzioni. Noi abbiamo sentito l’esigenza di dar vita a un’iniziativa che fosse un po’ più dirompente e più forte. A volte abbiamo la sensazione che quando si parla di 1140 morti, 15 mila invalidi sul lavoro si parli di numeri astratti che non lasciano davvero comprendere quanto dolore c’è dietro. Per questo invece l’idea di riempire un campo lungo 150 metri per 40 di croci credo che dia maggiormente la sensazione di che numeri si parli.
D: Sui media quale è stata la reazione?
R: Dopo aver visto la copertura che ha avuto questa installazione, posso dire oggi che abbiamo avuto ragione a farla e che la giornata deve essere necessariamente affiancata da altre iniziative. Sui media nazionali il 70-80% degli articoli sulla giornata erano dedicati all’iniziativa di Piacenza, oltre agli interventi istituzionali come quello di Napolitano, giustissimo, mentre dei temi affrontati dall’Anmil a Verona se n’è parlato pochissimo. Non era nostra intenzione oscurare la parte istituzionale, però di fatto è accaduto: a un certo punto dalle parole si deve passare alle azioni.
D: In generale però l’attenzione sulle tematiche della sicurezza del lavoro non è altissima...
R: Non mi spiego come ciò possa avvenire in un paese civile. Forse accade perché ci sono enormi interessi dietro l’economia, e il fenomeno degli infortuni è una piccola parte del mercato del lavoro. Altrimenti non mi spiego come di certi temi se ne parli solo quando ci sono casi grossi come quello della Thyssen...
Lo stesso Napolitano, come Presidente della Repubblica e come osservatore che deve far rispettare i dettami della costituzione, nel suo primo discorso da Presidente ha parlato di questo tema importante e fondamentale.
Se non sono i mass media a parlarne, come fa la gente a sapere che ci sono state delle fabbriche che hanno creato dei materiali venduti come eccezionali, che poi si è scoperto che ammazzavano la gente che li lavorava.
Hanno dedicato due o tre trasmissioni alla sicurezza sui luoghi di lavoro o agli infortuni, a fronte però di centinaia fatte ogni giorno con le passerelle dei politici...
D: Per rendere più democratico un paese ci vogliono basi solide, e una di queste è rappresentata da una lavoro sicuro e regolare...
Lavoro nero e insicuro piuttosto... come abbiamo scritto su un manifesto. A me sembra paradossale come anche noi dell’ Anmil, a fronte di più di tre milioni di persone morte, un milione di infortunati che lavorano in nero, poi applaudiamo un piccolo miglioramento dell’uno virgola qualcosa (quando questi dati su morti e infortuni diminuiscono ndr). E’ importante riconoscere che si sta lavorando per ottenere dei risultati, però in queste statistiche non entrano tutti gli incidenti che avvengono in nero con le cause anche mortali che questi producono. Inoltre sono 280 ogni anno le morti per malattie professionali, che bisogna aggiungere alle 1140. Solo per mesotelioma ogni anno in Italia muoiono mille persone.
D: E non si considera che dietro i morti ci sono anche le famiglie...
Esattamente, quello che non si comprende è il dramma sociale che queste morti causano.
D: Forse manca una cultura della sicurezza?
Domenica ho sottolineato ancora una volta che quando si parla di cultura della sicurezza bisogna considerare che non significa soltanto andare davanti ai ragazzini delle scuole e parlare di quanti morti ci sono e delle cause di questi morti. Questo è fondamentale, e noi come Anmil lo facciamo da tantissimi anni, però la scuola non è il posto dove lavare le nostre cattive coscienze. Bisognerebbe ogni tanto dare il buon esempio, e poi la cultura della sicurezza vuol dire che ognuno fa la propria parte, anche i lavoratori devono fare la loro parte. Certo è che però ci dovrebbe essere anche chi difende il lavoratore, nel momento in cui pretende i propri diritti e mette in campo i propri doveri.
D: A livello normativo come vedi la situazione
Le norme ci sono, fin troppe, a volte contraddittorie l’una con l’altra, ma non si fanno rispettare, poi è arrivato l’indulto e su questi temi ha cancellato una buona parte dei reati. Anche il correttivo del decreto dicono che sia positivo perché aumenta la sanzioni pecuniarie amministrative però diminuisce quelle legate ai reati, come se la morte di una persona fosse una questione economica. Infine nessuno tiene conto dei costi sociali, perché qui stiamo parlando indicativamente, secondo le stime dell’Inail, di quaranta miliardi ogni anno dedicati alle cure, alle rendite, alle giornate di lavoro perse.
D: Un nodo dolente è rappresentato dai controlli, ancora troppo scarsi
E’ paradossale, è una concausa gravissima degli incidenti il fatto che i controlli non siano fatti nel modo corretto, però non mi sorprende: nel nostro paese c’è un’illegalità diffusa.
D: Secondo te c’è una differenza tra nord e sud?
Ci sarà indubbiamente essendoci al sud ancora più illegalità però il modello purtroppo non può essere neanche il nord dell’italia. Forse in alcune regioni determinate situazioni vengono tenute più nascoste, non avranno magari gli onori della cronaca, però succedono anche al nord, e non credo che buttando la colpa addosso al nord o al sud la situazione possa migliorare. Parlando della corruzione in Italia la Corte dei Conti ha parlando di una cifra pari a sessanta miliardi ogni anno, e non si parla ne di sud ne di nord.
D.Qual è in conclusione il tuo giudizio su domenica
Le iniziative come le nostre cercano di portare l’attenzione sul problema, devono fare riflettere, e credo che quell’obiettivo sia stato raggiunto, però poi è sul posto di lavoro, con la gente che bisogna fare la parte più importante. A un certo punto bisogna intervenire con provvedimenti legislativi e comportamenti adeguati, cercando di fornire esempi positivi, soprattutto nei confronti dei ragazzi in età scolare... e a farlo per prima dev'essere la classe dirigente. Al momento questo manca.
D: Si può dire comunque che le reazioni delle persone abbiano dato ragione a voi questa volta.
(Quella di domenica, ndr) è stata una cosa molto coinvolgente: Piacenza in genere è nota per essere una città molto fredda e indifferente, ma in questo caso la gente s’è mossa, e ci ha sorpreso.
A sorprendere, negativamente, sono invece le reazioni di alcune persone... come il commento apparso in calce all’articolo de “Il Piacenza” sulla manifestazione:
“Ma nessuno ancora ha avuto il coraggio di dire che è uno scempio oltre a un enorme spreco di area verde?? C'erano mille modi per dedicare un opera a questa giusta causa. Ma questo a me sembra proprio uno scempio!!!! E spero tanto che nessuno si lamenterà delle pisciatine dei cani sulle croci dato che quell'area è una delle poche aree verdi della città in cui si può far sgambettare i cani...”