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Articolo 21 - ECONOMIA
I tecnici di cui abbiamo bisogno
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di Paolo Cacciari

I tecnici di cui abbiamo bisogno

Di E’ vero: abbiamo un gran bisogno di tecnici, esperti, sapienti. Non se ne può più di politici generici, buoni solo per i talk-show. Basta chiacchiere, al governo servono persone che sappiano il fatto loro. Ma tecnici di che?
Innanzitutto tecnici contro il più evidente, tragico e paradossale spreco di risorse: il lavoro. Incominciando dal 30 e oltre per cento di giovani che non trovano lavoro a fronte di immensi bisogni sociali insoddisfatti: cura delle persone, del territorio, del patrimonio storico e culturale. Sì, ma come remunerare questi lavori socialmente utili se soldi non ce ne sono? Serve allora un tecnico alla circolazione della moneta: il denaro non va più dato per pagare rendite finanziarie, ma solo a chi lavora.
Obiezione: se non si pagano più gli interessi sul debito pubblico (il 50%  dei titoli sono posseduti da istituti finanziari esteri e il 50% del restante da istituti finanziari italiani. Solo un quarto è risparmio vero di persone fisiche) nessuno più ci farà credito e la bancarotta sicura.
Per liberarci dal ricatto di strozzini e speculatori che chiedono interessi sempre più alti (spread) dobbiamo allora riuscire a fare a meno dei loro pelosi servigi (prestiti). Serve quindi un tecnico al bilancio che sappia tenere le poste in equilibrio, che sappia cioè spendere solo quello che incassa. Per raggiungere l’ “attivo primario” del bilancio dello stato non manca poi molto. Qualche sforzo lo potrebbe fare se tagliasse spese assurde (spese militari, grandi opere inutili, privilegi di caste varie, ecc.) e se facesse una riforma fiscale vera (evasioni, proporzionalità, trasparenza, ecc.).
Obiezione: per liberarci dalla morsa del debito non basta tenere in equilibrio le spese pubbliche, è necessario tenere in equilibrio anche la bilancia commerciale: siamo bravi ad esportare (made in Italy, piccole imprese, ecc.) e a incassare valuta estera (turismo, rimesse degli emigrati, ecc.), ma spendiamo sempre troppo per le importazioni.
Serve allora un tecnico all’economia reale che sia capace di combattere il secondo più grande e costoso spreco di risorse che appesantisce la bilancia commerciale: l’energia fossile e le materie prime. Immaginare un’economia post-oil e sempre più “dematerializzata” è oggi possibile: risparmio energetico, efficienza, rinnovabili, studio del ciclo di vita dei materiali, riuso, riciclo, recupero, allungamento della durata delle merci… insomma: green economy. Le tecnologie già sono a disposizione ed è qui che si gioca la vera “competitività strategica” tra i sistemi industriali nel mondo.
Obiezione: è vero, ma per compiere questa conversione ecologica degli apparati produttivi e di consumo serve investire in ricerca vera, sperimentare ed innovare non solo i sistemi produttivi e le tecnologie (imparando dai cicli naturali), ma cambiare anche comportamenti e stili di vita. E’ evidente, infatti, che se i risparmi che si ottengono con l’efficienza vengono impiegati per consumare di più, il bilancio globale energetico e dei materiali rimarrà in deficit (paradosso di Jevons).
Serve allora un altro tecnico: ai saperi, che sappia cioè liberare quel che rimane dei centri di ricerca, delle università,delle scuole di ogni ordine e grado dalla coltre di ignoranza con cui sono stati coperti da uno stato insipiente. E questo, sicuramente, è il tecnico più difficile da trovare: un tecnico del pensiero, che sappia liberarlo dalla dominazione dei tecnici delle scienze applicate dominanti ad incominciare dall’economia, per arrivare all’ingegneria, passando per la farmacologia, le scienze agrarie, la sociologia… e chi si sente escluso dall’asservimento alla logica sviluppista, produttivistica, della accumulazione e del profitto, si faccia da parte.


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