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Usa e Ue contro la crisi economica e l'apartheid digitale
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di Un caffe' da Graziella*

Usa e Ue contro la crisi economica e l'apartheid digitale Due notizie importanti si sono accavallate in questi ultimi giorni: la decisione di Obama e del Congresso di riprendersi le frequenze televisive in passato concesse gratuitamente (indennizzando i broadcaster nazionali con 1,75 miliardi di dollari) e bandire un'asta riservata ai giganti delle telecomunicazioni che le userebbero per incrementare i servizi mobili di banda larga.Il Parlamento europeo ha approvato in seconda lettura e a larga maggioranza il Radio Spectrum Policy Programme, l'accordo con il Consiglio Europeo che consente di riallocare le frequenze radio congelate in seguito al passaggio dalla TV analogica al digitale terrestre, verso nuovi utilizzi, come i servizi mobili in banda larga.

Lo scopo finale di Obama, oltre a quello di potenziare il welfare con i proventi dell'asta, è quello di potenziare sia le reti wireless a banda larga che sono indispensabili per velocizzare le connessioni di smartphone, tablet e altri dispositivi mobili, sia di creare una rete nazionale per facilitare la comunicazione tra polizia, pompieri e altri funzionari di sicurezza in caso di emergenza.
Il Parlamento Europeo, invece, ha stabilito che l'allocazione delle frequenze radio è materia spettante alle autorità nazionali, ma le regole su come suddividere lo spettro fra provider internet e utenti devono essere concordate a livello europeo. n base all'accordo raggiunto, la banda 800 MHz, attualmente utilizzata per la televisione, dovrebbe essere resa disponibile per i servizi wireless a banda larga in tutti gli stati membri dal primo gennaio 2013.

Vediamo di approfondire le due notizie, imparando a cosa serve la banda larga e perchè essa può abbattere l'apartheid digitale ( digital divide).La diffusione della banda larga è considerata un fattore di crescita economica e occupazionale di un Paese, in quanto in grado di ridurre il cosiddetto "digital divide", cioè il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione (in particolare personal computer e internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale. Questa situazione rappresenta una discriminazione potente che, come detto, porta all'apartheid di miliardi di persone in tutto il mondo, considerando le disparità tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo.
Una velocità minima di connessione, infatti, è un requisito tecnico irrinunciabile per la diffusione di alcuni servizi quali: telelavoro, telemedicina, IPTV, teleconferenza, video chiamata, l'avvio di un'attività a distanza.
La disponibilità di una connessione a banda larga, inoltre, è praticamente indispensabile in qualunque sede di lavoro che richieda un'interazione via Internet con l'esterno.

In presenza di una connessione lenta, diventano problematiche operazioni quotidiane come l'invio di un file di alcuni megabyte o l'apertura di una pagina Internet che non contiene solo testo. Le aziende non servite dalla banda larga subiscono una perdita di produttività, legata al tempo richiesto per svolgere attività che impegnano molto meno i concorrenti serviti da una connessione veloce. li esclusi dal digitale saranno sempre più poveri e più che mai diffidenti nel progresso; inoltre non diverranno quei lavoratori specializzati o potenziali consumatori necessari per la crescita della economia di Internet. Per questo è indispensabile far crollare il muro tra gli inclusi e gli esclusi dal digitale.
Anche le Nazioni Unite hanno espresso l'impegno a risolvere il problema attraverso gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Goals) presentati all'Assemblea del Millennio. In proposito è stato istituito dall'Assemblea dell'ONU un gruppo di esperti di alto livello che ha presentato nella stessa assemblea il primo piano di azione globale finalizzato al superamento di questo divario. Il digital divide è stato ancora argomento centrale nel primo incontro sulla società dell'Informazione indetto proprio dalle Nazione Unite. L'incontro ha avuto luogo in due fasi. La prima tenuta a Ginevra nel dicembre del 2003 ha avviato un percorso di studi risolutivi conclusi e presentati nella seconda fase dell'incontro, a Tunisi nel novembre del 2005. Nonostante le aspettative, l'incontro non ha però prodotto risultati tangibili.

Ora stanno intervenendo gli USA e l'Europa solo perché costrette a "far cassa", minacciati dallo spettro della recessione che si è abbattuta nei paesi occidentali, che sta portando alla necessità di ridurre la pressione fiscale sui contribuenti e ad aumentare il welfare a favore delle classi deboli della società. La banda larga potrebbe, infatti, dare un contributo alla crescita e nel contempo, con la vendita delle frequenze relative, portare appunto soldi alle casse dello Stato. Sarebbe un risultato ovviamente ineccepibile dal punto di vista economico e sociale, di qui la grande importanza delle azioni mirate degli USA e della UE!

In Italia?

Al 2010, una famiglia italiana su 2 non ha un collegamento e solo una su 3 possiede Internet in banda larga, sia via cavo che in wireless. Il numero di italiani del tutto privi di copertura on line è di 2,3 milioni. Un numero che raggiunge quota 23 milioni (il 38% della popolazione), se si considerano i servizi d'accesso più tecnologici in grado di consentire fino a 100 Megabit al secondo.
Il "piano Romani" (sullo sviluppo di internet) varato nel 2009 sembrava rappresentare una prima soluzione parziale per il territorio italiano, piuttosto arretrato dal punto di vista della connettività internet (il 12% degli italiani non può avere nemmeno i due Megabit.) Infatti per attuare il "piano Romani" erano previsti 800 milioni di euro in un progetto complessivo da 1,47 miliardi. Per mesi quei fondi sono rimasti indisponibili: un decreto già da prima dell'estate 2009 li stanziava solo per la banda larga, ma il Cipe, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, ne aveva rimandato l'assegnazione. Nonostante le pressioni, il 4 novembre del 2009 l'allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, dichiarava un "congelamento" del piano. Sosteneva inoltre che i fondi erano sempre rimasti al Cipe, e non quindi dirottati altrove come si era talvolta paventato. Questi stessi fondi, però, affermava Letta, sarebbero stati sbloccati solo una volta usciti dalla crisi, non essendo la banda larga una priorità. Invece, il 17 settembre 2010 veniva annunciata una definitiva riduzione dei fondi a soli 100 milioni, che avrebbero già ricompreso la quota di finanziamento proveniente dalle regioni. L'investimento quindi, era stato ritenuto nuovamente una spesa da evitare in tempo di crisi economica, e non un'opportunità di sviluppo. L'annullamento del piano aveva, ovviamente, suscitato allora fortissimi dubbi sul futuro sviluppo economico e culturale italiano. Del resto era quasi inevitabile tale annullamento, in una Italia nella quale comandava e ancora oggi comanda la logica del predominio della comunicazione televisiva rispetto alle altre piattaforme che potrebbero, per di più, crearle concorrenza.

Tale strategia è, come si vede, esattamente opposta a quella che sta ispirando gli USA e la UE per quanto riguarda la risoluzione della crisi economica che sta attanagliando le economie occidentali, compresa l'Italia.

Del resto basta vedere cosa sta succedendo in Italia sull'asta delle frequenze liberate dal digitale terrestre, per accorgersi che vi sono troppi interessi da parte di aziende detenute da un "privato" che, addirittura, gestisce ancora un potere politico e pretende, quindi, di anteporre i suoi profitti a quelli legittimi dello Stato.
Sto ovviamente parlando dell'incredibile "beauty contest", (Legge Romani sulla "assegnazione delle frequenze"), una legge ad aziendam, che regalerebbe frequenze di gran pregio a due soggetti: Rai e Mediaset, già detentori del monopolio televisivo.
Non dimentichiamo che, a proposito del monopolio televisivo, quando fu varata la Legge Gasparri sul digitale terrestre, l'Europa aprì una procedura di effrazione contro l'Italia, ancora in corso, non tanto per l'assegnazione gratuita quanto per "mancanza di pluralità nella informazione", giacché, con quella legge, veniva impedito l'ingresso nel mercato ad altri soggetti. Quest'ultimi, poi, con i loro ricorsi presso l'autorità giudiziaria hanno ottenuto solo le briciole del suddetto mercato.
Continuando il discorso sul "beauty contest", la liberazione delle frequenze, specialmente di quelle a carattere nazionale e di gran pregio (sono frequenze che attraversano bene gli ostacoli e quindi non necessitano di grossi investimenti in ripetitori di segnali), e la necessaria assegnazione delle stesse frequenze hanno riacceso gli appetiti voraci di Mediaset, società in evidente conflitto di interessi, in quanto, ripeto, di proprietà di un "soggetto privato" che detiene, oltre alla editoria, anche un potere politico.
Solo in Italia esiste questa anomalia, per altro, apparentemente sanata, ad arte, da una modifica alla legge sul "conflitto di interessi", (altra legge ad personam), che permette l'ingresso in politica anche ai proprietari di attività economiche incompatibili, purché "essi non amministrino in prima persona tali attività."
Assurdo!
Ma come abbiamo potuto permettere tutto ciò, noi italiani?
Comunque ora una serie di circostanze, fra cui l'avvento di Monti, sembrerebbe avere rimesso la situazione in una posizione di vantaggio per noi cittadini, ma il ministro Passera ha, purtroppo, solo sospeso l'asta e non l'ha annullata per poi riproporla con regole diverse, come avrebbe dovuto, per studiare, secondo la sua giustificazione, la vicenda, avendo timore di ricorsi onerosi per lo Stato Italiano. Infatti Mediaset ha minacciato ricorsi invocando addirittura "lo stravolgimento della legalità" e poi adducendo il concetto che "l'etere non è un bene giuridico, per cui lo Stato non può far pagare l'aria".
Questi argomenti fanno parte del solito bagaglio propagandistico che finora ci ha irretito.No comment, al più si può dire: "ridicolo"! Tornando al governo Monti, in questo periodo di grandi sacrifici, regalare le frequenze appare una idea assolutamente improponibile a gente che sta tirando la cinghia e che si aspetta, sia lo sviluppo del paese tramite questi strumenti, sia un alleggerimento dei conti pubblici. Inoltre appare impraticabile anche quella ipotesi, riportata dai giornali, per cui verrebbe data, a compenso di un annullamento dell'asta, la possibilità a Mediaset di trasformare alcune frequenze TV in suo possesso, in frequenze telefoniche. Sarebbe lo stesso un regalo sempre troppo grande da parte dello Stato!
Credo, perciò, sia "perfettamente legale" oltre che "opportuno", annullare l'asta, tout court , perché, per primo, essa è in contrasto con le risoluzioni della Commissione e del Parlamento Europei, che invece pretendono dagli Stati membri la pluralità della informazione e poi perchè, comunque, sono stati annunciati ricorsi anche da altri soggetti internazionali, esclusi da una asta fasulla, come l'attuale.
Credo che in questo caso, i danni sarebbero molto più pesanti, perché avremmo sia le multe dall'Europa ( ricordo che la procedura di infrazione è ancora in atto), sia la richiesta danni da parte di altri soggetti economici, una volta favorita Mediaset. Monti, al più, faccia come ha fatto Obama che ha previsto un risarcimento minimo ( nel nostro caso, al più, 100 o 150 mln) a fronte di un alto introito ( circa 5 mld), necessario, invece, alle casse dello Stato. In caso di un eventuale contenzioso da parte di Mediaset in sede Europea, si potrà, comunque, opporre l'illegittimità di una procedura contraria alla normativa europea e, per di più, viziata, come detto, da un vistoso "conflitto di interessi" anche se coperto, in Italia, da una legge ad personam!

http://uncaffedagraziella.blogspot.com/


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