di Valter Vecellio
Oscar Misin aveva 68 anni, era un operaio della Sacelit di San Filippo del Mele. Era anche un sindacalista, leader del comitato “Ex esposti amianto”. Quando tutta l’Italia esultava ed esprimeva soddisfazione per la sentenza del tribunale di Torino che condannava i vertici della multinazionale Eternit per le sue responsabilità in quella che non c’è altro modo di definire che una stage consumava e che si consuma, Oscar Misin veniva sepolto a Samarate.
Oscar Misin è la vittima 108 a San Filippo del Mela. “Ha combattuto fino in fondo per la salute di tutti, per i compagni di lavoro, per chi maneggiava l’Eternit, per chi ha avuto la sfortuna di abitare vicino ad un tetto di amianto, e per questo ha perso la vita”.
Oscar Misin è stato stroncato da un tumore provocato dall’amianto, come la metà dei 220 operai della fabbrica, oggi chiusa. Una strage per la quale non ha mai pagato nessuno: "I responsabili dirigenti della centrale di San Filippo del Mela ed altri proprietari e dirigenti di tante altre aziende del comprensorio coma la raffineria di Milazzo, Ferrovie dello Stato, Società Pirelli di Villafranca Tirrena, Sanderson, Cantieri navali, sapevano e sanno che l'amianto è un killer Amianto", dicono i compagni e gli amici di Oscar.
Nel corso del processo celebrato a Torino, il direttore della Sanità della Regione Piemonte Vittorio Demicheli ha fatto una inquietante, fosca previsione: ha parlato di epidemia di amianto, a Casale Monferrato, una maledizione che durerà almeno altri 15 anni.
Non solo Casale Monferrato
Nel suo ultimo rapporto biennale l’ISPESL, l’istituto prevenzione e sicurezza sul lavoro, parla di ameno tremila ammalati l’anno in tutta Italia, persone condannate a morire a causa del mesotelioma e asbestosi provocato dall’amianto; perché anche se l’amianto non si produce più ed è vietato, è ancora presente nell’aria, le micidiali fibre che si conficcano nella pleura fino a farla lentamente marcire; e molti di loro non hanno mai lavorato né in una fabbrica o in uno stabilimento, erano semplici cittadini, con la sola colpa di essere nati o di vivere troppo vicino a una discarica abusiva o a tettoie pericolose.
L’epidemiologo Valerio Gennaro ricorda che si morirà di amianto almeno fino al 2040, il picco arriverà tra quattro o cinque anni, l’Eternit procura il 54 per cento di tutti i tumori professionali; l’Organizzazione Mondiale della Sanità avverte che il picco di mortalità arriverà tra il 2025 e il 2030. Daniela De Giovanni, oncologa all’hospice di Casale Monferrato, dirige il reparto di cure palliative, dice che “la ricerca è andata a rilento perché le case farmaceutiche non investono sulle malattie rare. Ma purtroppo il mesotelioma si sta manifestando anche in regioni dove non veniva estratto l’amianto”.
Tutte queste notizie e informazioni le si ricavano dalle numerose interrogazioni parlamentari che in questi mesi sono state presentate dai parlamentari radicali e del PD. Il problema è che di queste cose, che sono veri e propri problemi sociali, si parla poco o non si parla per nulla. Chi vuole farsi un’idea del fenomeno di cui si parla, si procuri un prezioso libro di una giornalista napoletana specializzata in tematiche ambientali, Stefania Divertito: autrice di “Amianto, storia di un serial killer”, pubblicato nella collana Verdenero dalle Edizioni Ambiente. Costa 14 euro, e mai 14 euro sono ben spesi.
Prendiamo un caso concreto, Napoli
L’allarme viene dal direttore del servizio di medicina preventiva dell’azienda ospedaliera Monaldi Gerardo Cannella, specialista in malattie respiratorie; allarme per i tumori provocati dall’inquinamento ambientale a Napoli e nei comuni limitrofi. L’incidenza del mesotelioma pleurico, tumore-spia dell’amianto, che può essere provocato solo dal contatto con le polveri di questa sostanza, supera il 50-70 per cento rispetto alla media delle zone limitrofe alle discariche abusive”. i picchi, si registrano nei quartieri di Pianura-Soccavo, Fuorigrotta-Bagnoli, Barra-Ponticelli; e per quanto riguarda l’hinterland, nei comuni di Somma Vesuviana, San Giorgio e Cremano e Portici. Attraverso l’esame di ogni singola diagnosi, è stato possibile chiarire che il rischio di contrarre il mesotelioma pleurico non è lavorativo, ma abitativo, ossia legato al territorio di residenza: significa che l’amianto non uccide solo le persone che vi entrano in contatto per lavoro; per quel che riguarda l’identikit dei pazienti, uno su quattro è donna, l’età media oscilla tra i 58 e i 63 anni. Una situazione che il professor Antonio Mariella, tossicologo dell’ospedale Pascale, è il risultato di “forsennati ritardi e omissioni di un autentico disastro ambientale sinora negato”.
Il solito Sud? E allora saliamo al Nord, a Milano
Non è un sospetto, è una certezza: ci sono una quantità di scuole pubbliche imbottite di amianto. Al tempo della Giunta Moratti il comune ne ha censite una ventinaelenco però incompleto; e che sia incompleto lo si ricava dal fatto che almeno un altro paio di scuole - scuole elementari - sono risultate inquinate dall'amianto, e lo si è scoperto solo dopo che i genitori degli alunni hanno fatto fare autonomamente delle perizie. E si tratta, come ho detto, di scuole che non sono comprese nell'elenco predisposto dal Comune. Del resto, gli stessi esperti dell'amministrazione hanno ammesso che è necessaria una mappatura, un censimento, e che nessuno sa dire quali siano gli edifici a rischio e quelli sicuri.
Il guaio è che non è solo una situazione milanese o lombarda; è un problema che riguarda un po' tutte le regioni, e quello che si chiede ai due ministri è appunto di predisporre, nell'ambito delle loro facoltà e prerogative, le necessarie e urgenti iniziative perchè attraverso questa mappatura, questo censimento si possa almeno cominciare ad avere una dimensione esatta del fenomeno.
Non si tratta, evidentemente, solo di procedere alla necessaria ed urgente azione di bonifica. Si tratta anche di predisporre gli adeguati controlli medici e sanitari sugli alunni e sul personale insegnante e scolastico che è - e continua ad essere - a contatto con l'amianto.
Una questione di competenza dei Comuni, delle Regioni e dei Ministeri della Salute e della Pubblica Istruzione. Una questione nazionale, perchè l'amianto, l'eternit è stato utilizzato e disseminato un po' ovunque.
Un problema molto più ampio e complesso. Le navi militari all’amianto
Se l’amianto è stato messo al bando nel 1992, le navi militari con amianto – dai macchinari alle tubature alle cabine – sono state messe in disarmo solo cinque anni fa. Il Cocer Marina – la rappresentanza sindacale interna – parla di almeno 250 militari morti in conseguenza dell’esposizione all’amianto, ma dice che potrebbero essere molti di più, anche 400. E non sappiamo che cosa accadrà nei prossimi anni, perchè gli effetti dell’esposizione all’amianto si manifestano anche dopo vent’anni.
Alla fine di agosto del 2009 il Ministero della Difesa ha di fatto riconosciuto l’esistenza del problema, perchè ha risarcito i famigliari di due vittime dell’amianto, elargendo loro, con la formula della transazione, 800mila euro per la morte di un sottoufficiale, e 850 mila euro per la morte di un capitano di vascello. E vai a capire perchè la vita di un sottoufficiale vale 50mila euro in meno rispetto a quella di un capitano.
C’è poi la storia di Tina e Luigi Leone. Luigi aveva 35 anni, si era imbarcato a 16 anni sulla “Vittorio Veneto”, alle spalle 19 anni di servizio, sette anni e mezzo a bordo. Nel 1988 accusa un dolore alla spalla sinistra, sei mesi dopo la morte. “E allora”, racconta Tina, “comincia il vero calvario. Tre bambini piccoli, la Marina mi vuole sfrattare dall’alloggio militare. Decido di restare a La Spezia. Tre medici scrivono che mio marito è morto per cause di servizio, ma di amianto allora non si parlava. Chiedo la pensione privilegiata, me la negano. Faccio causa. Sono ancora in attesa di una risposta dai tribunali”.
Di Eternit sono imbottite anche le carceri
Partiamo ancora una volta da un’interrogazione radicale, riguarda il carcere di Pisa che prende le mosse da una denuncia di un sindacato della polizia penitenziaria, che segnalava, tra le altre cose, la presenza di una grossa tettoia di eternit, che si stava progressivamente deteriorando, spargendo così le su emicidiali microfibre nell’aria. In proposito è anche stato presentato un esposto, e del caso è stato investito il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria.
Certamente quello del carcere di Pisa non è l’unico caso. Un anno fa, per esempio, il segretario provinciale della UIL Penitenziaria Donato Sabia denunciava la presenza di amianto all’interno del carcere di Potenza, in particolare nel corridoio del piano semi-interrato; nel soffitto di questo corridoio pare che corrano dele condutture rivestite con materiale oggi fuorilegge. Un rivestimento che sta subendo l’usura del tempo e si sta sfibrando. Già un anno fa vennero chieste analisi chimico-fisiche per accertare la natura di quel materiale. A quella richiesta è stato opposto uno sconcertante silenzio. Silenzio che tuttavia non serve a fugare dubbi e sospetti. Tanto più che circola la voce – che è forse qualcosa di più di una semplice voce – che tra il 2006 e il 2007 l’amministrazione penitenziaria aveva disposto delle analisi. Analisi che avevano confermato i timori: quelle condutture sono rivestite di amianto; e tuttavia aspettano ancora di essere bonificate. Ora delle due l’una: o l’amianto in quei tubi c’è, e allora è semplicememnte da criminali non rimuoverlo. Oppure non c’è, ma in questo caso non si capisce il silenzio di chi dovrebbe e potrebbe dare una risposta chiarificatrice.
Carcere di Pisa, carcere di Potenza...Ma in chissà quanti altri carceri ci sono tubature, rivestimenti, tettoie, pensiline, serbatoi, rivestiti di eternit che si sta decomponendo.
La prima sentenza di condanna per la pericolosità dell'amianto e sui suoi effetti nocivi sui lavoratori fu emessa nel 1906 dal tribunale di Torino
Lo ricorda il medico legale Francesco Carnevale, che insegna medicina del lavoro ed è stato consulente dei pubblici ministeri del processo di Torino. La sentenza del 1906 è una delle circostanze citate da Carnevale nel suo excursus storico sull'amianto e sulle conoscenze a proposito della fibra. Altro dato storico fornito dal medico: già nella Germania nazista vennero assunte iniziative di prevenzione per preservare i lavoratori dai rischi derivanti dalla lavorazione. Si intendevano però solo i lavoratori di razza ariana: tant'è vero che le cautele adottate vennero meno a partire dal 1938, data di inizio della guerra, quando gli operai ariani vennero chiamati alle armi e il loro posto fu preso da appartenenti a razze giudicate inferiori. Il testo tedesco da cui si trae l'informazione è un libro che venne tradotto da Primo Levi, e introdotto dall'autore nell'antologia sugli scritti basilari per la sua formazione. Carnevale ha citato poi molti studi, pubblicazioni, articoli di giornali, che danno conto della pericolosità dell'amianto molto tempo prima che si arrivasse al riconoscimento ufficiale della sostanza come cancerogena. Ad esempio, tra il 1964 e il 1967, su molti quotidiani inglesi come “The Times”, “Sunday Times”, “Guardian”, “Daily Telegraph”, vennero pubblicate storie personali riguardanti gli effetti dell'amianto. Di grande impatto fu poi un servizio trasmesso dalla “BBC Tv” nel 1967 in cui erano illustrati i casi di mesotelioma tra i portuali addetti al trasporto di amianto in sacchi da cui fuoriusciva frequentemente materiale.
Nonostante il proliferare di studi che definivano l'amianto una fibra killer, Carnevale racconta che in Italia, per avere dei risultati, e il riconoscimento dell'amianto come elemento cancerogeno, bisognava fare quasi una rivoluzione. Insomma, le grandi industrie dell’amianto nascosero per più di trent’anni i dati sul collegamento fra i tumori e l’esposizione al minerale. Carnevale ha detto che negli anni Cinquanta uno studio svolto negli Stati Uniti accertò, partendo dal decesso di due lavoratori in Canada, il nesso con le malattie. Ma di questo studio, commissionato da una grande azienda, la comunità scientifica internazionale venne sempre tenuta all’oscura, finché negli anni Novanta, non fu scoperto da un magistrato americano che si occupava del caso.