di Domenico D’Amati
Egregio Dott. Scalfari,
nel Suo editoriale di ieri, Lei scrive, a proposito dell'articolo 18, che si deve poter licenziare se il lavoratore non rispetta i ritmi di lavoro previsti dal contratto, se rompe la disciplina che il contratto prevede, se l'azienda deve ridurre la produzione per ragioni economiche dimostrate. Ma l'articolo 18 non impedisce tutto ciò. Le aziende possono licenziare per ragioni organizzative o disciplinari e il giudice non annulla il licenziamento se la sua motivazione risulta veritiera. Mi consenta un ricordo personale. Ci siamo incontrati davanti al giudice del lavoro più di trenta anni fa in un paio di occasioni. Una volta difendevo tre giovani giornaliste, trattate dal Suo giornale come "collaboratrici" e allontanate dal lavoro alla scadenza del contratto. Il giudice ritenne che esse avessero in realtà lavorato come redattrici e che avessero diritto di continuare a lavorare a tempo indeterminato, non essendovi ragione per porre termine al loro rapporto. E ne ordinò la reintegrazione in base all'articolo 18. Un'altra volta difendevo un bravo giornalista di Repubblica, licenziato per aver reagito alla mancata pubblicazione di un servizio di cronaca. Il giudice ritenne che egli, difendendo la sua professione, non fosse venuto meno al suo dovere di fedeltà verso il giornale e, in base all'articolo 18, annullò il licenziamento. Le do' atto che, deponendo, come testimone, Lei si comportò, in entrambe le occasioni, con lealtà e correttezza, dando atto dei fatti. Dal momento che dopo quelle lontane vicende giudiziarie il Suo giornale ha continuato la sua rotta a gonfie vele, Le domando quali inconvenienti abbiano prodotto le decisioni adottate dal giudice in base all’articolo 18.
Con i migliori saluti.